16 gennaio 1945 - L'ultimo appello

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La sveglia risuonò nel campo anche quella mattina fredda di gennaio; Helena aprì gli occhi e come un automa scese dal letto. Erano gesti che si ripetevano tutti i giorni da ormai quasi tre anni, sempre uguali.
Uscì dalla baracca che condivideva con le compagne; della formazione iniziale erano rimaste solo lei e Roinka. La madre era mancata poco tempo dopo l'arrivo al campo, Maryia aveva resistito fino all'anno precedente, quando una brutta malattia aveva intaccato il suo debole corpo: aveva cominciato a sputare sangue, sempre di più, ed era morta soffocata, dopo atroci sofferenze. Helena l'aveva vista spegnersi, ma erano cose che erano diventate la normalità e il cinismo aveva ormai preso il sopravvento.
Si schierò in fila, fuori dalla baracca, al fianco della sorella, in attesa dell'appello; ma sembrava ci fosse qualcosa di diverso quel giorno. C'era fermento nel campo, soldati delle SS correvano da una parte all'altra, era mattina presto, ma c'era già tanto movimento. Roinka si avvicinò all'orecchio di Helena e disse: «Sai cosa sta succedendo?»
«Posso intuirlo, in base a quello che mi ha detto Franz l'ultima volta che ci siamo visti. Mi ha accennato che i sovietici si stanno avvicinando alla Germania, che stanno avendo la meglio sui tedeschi. L'ultima cosa che rimane quindi da fare qui è sgombrare il campo, per non lasciare traccia di ciò che è successo qua dentro.»
Roinka non replicò; si mise sull'attenti, aspettando che le guardie pronunciassero il suo numero. Poi la giornata cominciò come al solito; colazione con quel poco che rimaneva di pane e acqua sporca di caffè, e via, al lavoro.
Helena, però, dalla baracca dove lavorava, sentiva voci concitate, le tute sul tavolo da rammendare erano poche, per lei non c'era quasi lavoro da fare. Stava effettivamente succedendo qualcosa. Non aveva il coraggio di guardare fuori, ma dopo l'ennesimo comando tedesco gridato, socchiuse la porta e guardò fuori. I prigionieri erano in fila indiana, magri, scheletrici, che faticavano a camminare; una fila lunghissima, che si avviava verso l'uscita del campo di concentramento. Al loro seguito alcuni soldati con la divisa delle SS e con i fucili puntati verso dei poveri uomini che si reggevano a malapena in piedi. Questa triste marcia si avviò verso l'uscita del campo, poi, a poca distanza di tempo, un'altra venne formata. Altri prigionieri vennero costretti a mettersi in fila indiana e a procedere verso l'uscita. Fu un via vai di questo tipo per tutto il giorno.
Helena non faticò a capire: stavano evacuando Auschwitz. La ragazza si chiese se anche a lei sarebbe toccata una simile sorte, che ne sarebbe stato di suo padre e di sua sorella. Non vedeva l'ora di uscire da dentro quella baracca, di poter parlare con Roinka, di poter vedere Franz per chiedergli spiegazioni.
Quando fu l'ora di abbandonare il posto di lavoro, nessuno la venne a chiamare, nessuno bussò alla sua porta per avvisarla che il suo turno era finito. Tutto taceva. Helena si avviò verso le baracche dormitorio in un silenzio irreale, poche persone in giro, niente grida, nessun lamento.
Arrivò a destinazione e tirò un sospiro di sollievo quando vide Roinka che l'aspettava sulla porta. «Qui non c'è più nessuno» disse.
«Ho visto file interminabili di prigionieri uscire dal campo. Stanno evacuando questo posto per cercare di non lasciare nessuna traccia. I sovietici stanno arrivando, forse la guerra sta finendo.»
Roinka accennò un sorriso, velato di malinconia. «Finalmente usciamo di qua?»
«Penso di si...»
Le due si abbracciarono, entrambe scoppiarono in un pianto liberatorio, l'incubo stava per finire.
Quando si asciugarono le lacrime, Helena si guardò attorno. «Devo trovare Franz!» disse.
«Non puoi andare in giro per il campo a quest'ora, se qualcuno ti trova ti potrebbe fucilare!»
«C'è molta meno gente in giro, molti ufficiali sono scappati insieme ai prigionieri, e poi conosco una via poco battuta per arrivare alla casa di Franz.»
Diede un bacio sulla fronte alla sorella e se ne andò. Doveva trovare l'SS per chiedere spiegazioni di ciò che stava succedendo, di cosa avrebbe riservato a loro il futuro. Si diresse sicura verso la sua casa, senza trovare intoppi. Il campo sembrava deserto. Bussò alla porta, ma nessuno andò ad aprire, ed Helena temette che Franz fosse andato via insieme ad un gruppo di prigionieri senza nemmeno salutarla. Poi vide le tende spostarsi e vide il viso del ragazzo affacciarsi. Velocemente sentì girare la chiave della porta e una mano la tirò all'interno.
«Helena cosa ci fai qui?»
«Sono venuta a vedere che succede»
«Vai subito via, io sto per andarmene, qualcuno verrà a prendermi per fuggire. Stiamo evacuando il campo, stanno arrivando i sovietici!» disse Franz, agitato.
Helena annuì. «Lo avevo immaginato, me lo avevi accennato»
«Non pensavo che sarebbero arrivati così velocemente. Le cose stanno precipitando, la Germania sta per perdere la guerra e io faccio parte di quell'ingranaggio che presto andrà distrutto. Devo andarmene»
«Lo so, devi mettere in salvo la tua vita» disse con un filo di voce.
Franz la tirò a se e la strinse forte. «Non posso prometterti che ci rivedremo, non posso dire una bugia a me stesso. Questi sono stati anni particolari, io devo nascondermi e tu tornare alla tua vita. Spero mi ricorderai con un sorriso e non con il terrore con il quale ti tornerà in mente questo luogo.»
Helena pianse. «Ti ricorderò sempre con piacere, non potrò mai avere un brutto ricordo di te, mi hai salvato la vita, quella di Roinka e quella di papà. Come potrei odiarti?»
«Grazie Helena...»
I due rimasero in silenzio, abbracciati per un po', poi fu Franz a continuare. «Tuo padre è ancora nel campo, ho fatto in modo che non venisse inserito in quelle lunghe file di prigionieri che stiamo portando via. Quando qui, domani mattina, non ci sarà più nessuno a controllare, vallo a cercare. Lo troverai.»
Helena, stretta a Franz, continuò a piangere, incapace di dire qualcosa. I due rimasero in silenzio, fino a che qualcuno non bussò.
«Sono venuti a prendermi. Nasconditi prima che io apra la porta...»
I due si guardarono negli occhi, poi Franz si avvicinò alle labbra di Helena e i due si scambiarono il loro ultimo bacio.

***

Il campo di concentramento di Auschwitz venne liberato il 27 gennaio 1945 dalle truppe sovietiche dell'Armata Rossa. Ciò che i soldati russi trovarono fu solo desolazione e morte, fosse comuni, scheletri viventi che si aggiravano come fantasmi all'interno del campo, senza più nessuno a controllarli. I tedeschi erano tutti scappati dopo "l'ultimo appello", tra il 16 e il 17 gennaio, portando con sé più prigionieri possibili, per cercare di mascherare l'orrore che si era perpetrato in quel luogo per cinque lunghi anni.


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Buonasera,
come avrete sicuramente intuito leggendo questo capitolo, stiamo giungendo al termine della storia. Il prossimo sarà l'epilogo.
I ringraziamenti li farò definitivamente tutti alla fine, intanto ne faccio uno: grazie, perché questa storia ha raggiungo le 1000 (e più) visualizzazioni, e non pensavo di arrivare a questo traguardo. Quindi un abbraccio a tutti quelli che l'hanno letta e seguita.
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Al prossimo, e ultimo.
Moni

Anche all'Inferno Sbocciano le RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora