5 febbraio 1972 - La deposizione di Franz

1.2K 61 12
                                    

I testimoni della follia nazista avevano già finito le loro deposizioni, al tribunale di Vienna cominciava la seconda parte del processo per crimini contro l'umanità, iniziavano i racconti dei carnefici di Auschwitz.
Gli accusati erano in fila dietro le sbarre, con le manette ai polsi; Franz era il secondo che avrebbe dovuto parlare, e la sua testimonianza sarebbe cominciata verso le due di quel freddo pomeriggio austriaco.
Helena doveva assistere a tutte le deposizioni; avrebbe, così, risentito la voce di Franz dopo 27 anni. Aveva il cuore in gola quando il giudice finì di ascoltare la testimonianza del primo imputato. Aveva rivissuto una tragedia senza fine, che ancora le procurava gli incubi la notte, nonostante fossero passati tanti anni. Auschwitz era una cosa impossibile da dimenticare, che faceva parte della sua vita, nel bene e nel male.
Toccava a Franz, che si alzò in piedi quando il giudice fece il suo nome, salutò con un cenno del capo e aspettò che gli portassero il microfono. Poi la sua voce riecheggiò nell'aula di tribunale. Era diversa da come Helena la ricordava, più gracchiante, probabilmente rovinata dalle tante sigarette che il ragazzo già fumava durante gli anni nel campo di concentramento.
Salutò e iniziò il suo racconto.
«Sono entrato nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1941, quando avevo 19 anni, appena finito il servizio militare. Ero figlio di un grosso esponente del partito nazista, in me, i capi della divisione a cui appartenevo, vedevano un grosso potenziale. Sono stato subito promosso come supervisore delle SS, a me spettava il compito di decidere chi doveva vivere e chi doveva morire nel campo di concentramento. All'inizio ho fatto il mio dovere senza battere ciglio, sono cresciuto con una sola ideologia, quella nazista, e pensavo davvero di fare ciò che era giusto. All'inizio della mia avventura ero cattivo e violento, non ho mai risparmiato colpi con la canna di fucile sulle costole dei detenuti, se qualcuno trasgrediva non avevo pietà a sparare un colpo di pistola per ucciderlo. Ho mandato tanti innocenti alle camere a gas solo perché erano ebrei, malati, anziani o bambini, che erano inservibili per il regime nazista e per il campo. Ero io che decidevo e non mi importava niente di chi mandavo a morire, l'importante era perpetrare e portare avanti la follia voluta da Hitler.
Il mio mondo è cambiato la sera del mio ventesimo compleanno. Dopo una giornata di lavoro al campo, dove avevo mandato a morire più di centocinquanta persone, mi ritirai nella mia casa, dove mi aspettava una festa. Io amavo, e amo tuttora, la musica e il canto e i miei sottoposti, per farmi una sorpresa, portarono una ragazza ebrea a cantare per me. L'avevano selezionata mentre le giovani lavoravano, le sorveglianti le costringevano a cantare e quella con la voce più bella la portarono da me. Era la qui presente Helena Citronova. Appena la vidi mi colpirono i suoi occhi scuri e il suo modo di fare impacciato, un po' impaurito da tutta quella situazione. Era arrivata al campo da un mese esatto. Cantò per me tutta la sera, e da quel giorno niente è più stato lo stesso. Le ho mandato una scatola di biscotti, con un foglietto in cui le dichiaravo il mio amore, ma lei, inizialmente, e anche giustamente, non era interessata a me. Non le ho mai fatto nessun tipo di pressione, non sono mai stato violento nei suoi confronti, non ho mai cercato di ottenere nulla, come invece facevano altri ufficiali all'interno del campo. Alcuni miei compagni erano soliti prendere di mira alcune prigioniere, portarle nei loro appartamenti e abusare di queste malcapitate donne, io non ho mai voluto fare una cosa del genere, per una forma di rispetto che avevo nei confronti di Helena. Avrei potuto far valere la mia superiorità di aguzzino, avrei potuto costringerla con la forza, ma non mi sembrava giusto. Non potevo andare contro la volontà di una giovane ragazza. Ho cercato di aiutarla come meglio potevo, ho cambiato lavoro a lei e alla sorella, salvandole dal lavoro forzato e, probabilmente, dalle camere a gas a cui sarebbero state destinate un giorno o l'altro, ho sempre prestato attenzione al padre di Helena e Roinka, chiudendo un occhio se sbagliava qualcosa nel suo lavoro, evitando che il suo nome finisse sull'elenco delle persone destinate ad andare a morire. Ho anche provato a salvare i figli di Roinka, ma, con mio grande rammarico, non ci sono riuscito, rischiando anche di essere scoperto. Mi ero esposto troppo. Da quel momento, per un periodo lungo di tempo non ho più avuto incontri con Helena, ho cercato di evitare che mi vedessero insieme a lei, accusandomi di tradimento. Ho ripreso i contatti con la giovane quando le acque si erano ormai calmate, e da lì abbiamo iniziato una relazione che è durata fino alla liberazione del campo di Auschwitz.
L'amore per Helena mi ha cambiato, sono diventato un'altra persona grazie a lei, ma non potevo sottrarmi al lavoro che facevo all'interno del campo, sarei stato accusato di alto tradimento, giudicato davanti alla corte marziale e probabilmente ucciso. Ma, da quando l'ho conosciuta, ho cercato di diventare una persona migliore. Avevo scoperto che la divisa delle SS mi stava stretta, non era quello che volevo nella vita, non volevo fare del male alla gente. Ero stato cresciuto con le foto di Hitler appese a casa, con l'odio verso le razze inferiori, con l'ideologia della supremazia della razza ariana, ma quando ho visto Helena la prima volta tutte quelle certezze sono crollate. Io non ero diverso da lei, così piccola e fragile, come non lo ero da tante altre persone che quotidianamente passavano da Auschwitz e venivano spedite direttamente alle camere a gas.
Non nego di aver compiuto delle atrocità sia prima che dopo il mio incontro con Helena, non posso sottrarmi da questo grave peso che mi porto sulle spalle. Ho, però, cercato di compensare aiutando persone in difficoltà quando ho capito che non c'è una razza superiore ad un'altra e che siamo tutti uguali davanti a Dio.
Voi giudici avete il compito di giudicarmi per ciò che ho fatto, ed è giusto così. Accetterò qualsiasi pena deciderete di darmi.»
Franz Wunsch concluse così la sua deposizione, si sedette, chinò la testa e aspettò che il giudice chiamasse il suo vicino per iniziare il racconto.


_______

Buonasera, che ve ne pare? Le due deposizioni, quella di Helena e quella di Franz, erano le due parti della storia che mi incutevano più timore, non sapevo se sarei riuscita a raccontare e a descrivere ciò che sentivo. Insomma, non so se ho fatto un buon lavoro, non riesco a giudicarle da sola.
Spero vi sia piaciuto.
Al prossimo capitolo.
Moni

Anche all'Inferno Sbocciano le RoseDove le storie prendono vita. Scoprilo ora