Capitolo 4

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Mia madre è pallida in viso, immobile come una statua "Dove l'hai trovata?" mi chiede, cautamente
"Me l'ha data il postino. Ce ne sono altre?" le chiedo subito e lei si irrigidisce: ho fatto centro.  "dammele" le ordino, impassibile
Mentre lei cerca di dissuadermi "Alaska, L'ho fatto per te... per proteggerti" si giustifica, ma io la interrompo, gridandole
"HO DETTO DAMMELE!"

Lei annuisce, si dirige nello studio di Richard, dove sfila un'asse dal pavimento. Qui tira fuori una scatola di latta decorata, me la porge e io immediatamente la apro.
All'interno vi sono almeno una ventina di lettere, tutte con mittente "James Wood".

Una rabbia folle si impossessa di me
"Come hai potuto!" urlo, scoppiando in lacrime
"tesoro... volevo proteggerti" cerca di spiegare lei, ma io non voglio sentir ragione. Corro in camera, chiudo la porta e giro la chiave, per poi sedermi sul letto per leggere la prima lettera.

"Cara Alaska, è da quando me ne sono andato che mi manchi. Mi mancano le tue risate, la tua voce, ma sopratutto i tuoi magnifici occhi, che mi scrutavano sin dalla tenera età. Ti prego di rispondermi, solo per sapere se anche io ti manco come tu a me. Vorrei vedere la tua bellissima grafia impressa sulla carta, sapere che hai scritto tu le parole di risposta a questa lettera. Spero che tu mi risponda al più presto, tuo
Papà."

A fine lettura sento i miei occhi pizzicare e riempirsi di lacrime pronte a scendere sulle guance; l'aria intorno a me diventa soffocante, facendomi sentire il bisogno di allontanarmi da questa casa e da mia madre.

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All'improvviso Alaska si alzò dal letto, frugó nell'armadio e infilò in una borsa piuttosto piccola un paio di indumenti.
Poi aprí la finestra della camera e, pur di evitare altri contatti con la madre dalla quale era stata delusa, scelse quell'altra uscita alternativa.

Montata sulla sua moto sfrecciò lungo le strade di Brooklyn, fino a trovarsi, per l'ennesima volta, nel tugurio pieno di ragazzi di strada e gente poco raccomandabile.

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"Hey ragazzi" saluto il gruppo che sta fumando a fianco dell'entrata.
"Ciao Alaska.." mi saluta Caleb, con fare lascivo: è un ragazzo biondo con gli occhi scuri, indossa sempre un berretto frequenta spesso il locale. Da quando ci siamo conosciuti è diventato una distrazione nei momenti di difficoltà -una botta e via insomma.

"Come mai qui?"mi chiede, ridacchiando, Polly, una ragazza dai capelli scompigliati e verdi, con la quale in alcune serate ho diviso la passione per gli shots.
"Mia madre" rispondo con nonchalance, alzando le spalle.
"Beh, sembra che tua abbia bisogno di una distrazione... allora dolcezza, ti va una altro giro?" Coglie l'occasione Caleb, mentre lascia una scia di baci umidi lungo la mia mascella.
Tento di liquidarlo con un "non ho voglia Caleb", che però non è efficace, poichè continua, sotto le risate delle persone intorno a noi.
"Dai piccola... ci divertiamo, come al solito"dice scendendo sul mio collo.

Ora è troppo, penso, mentre sbuffo spazientita. Lo spingo via da me con forza, mentre scocciata dico "Che cazzo Caleb, ti ho detto di no!", accompagnato da uno schiaffo rumoroso.

Mi allontano anche dal gruppo, torno in sella alla moto, e guido verso la città, ma senza una meta precisa.
Continuo a vagare in moto finchè non attira la mia attenzione un parco, piuttosto spazioso, pieno di panchine e di persone, pronte ad ammirare il tramonto imminente.
Mi fermo, ammaliata dall'ambiente, e come le altre persone cerco una panchina libera, sulla quale sedermi ad ammirare il tramonto.

𝐒𝐡𝐮𝐭 𝐮𝐩 𝐚𝐧𝐝 𝐤𝐢𝐬𝐬 𝐦𝐞 // 𝐌𝐚𝐭𝐭𝐡𝐞𝐰 𝐃𝐚𝐝𝐝𝐚𝐫𝐢𝐨Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora