XIV: La scelta

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Odore di malattia.

Elias aveva imparato a conoscerlo fin da giovane, quando il fratello era scivolato prima tra le braccia di un morbo impossibile da curare e, poco dopo, tra quelle della morte stessa, che l'aveva rapito quando ancora l'anima non si era macchiata di alcun peccato imperdonabile. Ne riconosceva la fragranza dolciastra della putrefazione, unita al freddo pizzicore dei medicamenti.

Dopo aver seppellito il fratello, aveva sperato di non dover più avere a che fare con nulla di simile nel corso della sua vita, tanto che era giunto a desiderare di perire in battaglia al posto che di vecchiaia, dove sarebbe stato costretto a sentire il suo stesso corpo marcire. Il destino, beffardo come al solito, aveva deciso di accogliere parte del desiderio, donandogli una salute ottima, ma proteggendolo durante la rivolta e lasciando la moglie in pasto a una malattia che, anno dopo anno, l'aveva divorata un poco per volta, distruggendone la bellezza e la leggerezza di cui era rimasto incantato quando l'aveva conosciuta. Nella carcassa pallida e dagli occhi spiritati c'era talmente poco della giovane di un tempo da lasciare Elias sempre più cupo e privo di speranze.

Everett, al contrario, non pareva sconvolto dall'aspetto della donna, tanto da parlarle all'orecchio con la stessa dolcezza con cui le si era rivolto in un passato lontano, facendola sorridere. Lui non ne sarebbe mai stato capace, complici sia i dolorosi ricordi, sia i sensi di colpa per i recenti tradimenti di cui si era macchiato.

"Avresti meritato di meglio" pensò, mentre Everett le posava un casto bacio in fronte e le sussurrava un'ultima frase all'orecchio, capace addirittura di suscitare in lei una leggera risata che, ne era certo, l'avrebbe ossessionato durante la veglia. Lui non era più riuscito a farla ridere.

Davanti all'occhiata lunga che gli riservò l'amico, fu costretto ad avvicinarsi alla moglie, a cui accarezzò i capelli. "Più tardi verrà a trovarti Taron" le disse. "Ti racconterà di certo della cerimonia e, spero, anche della figlia di Rögnvar."

Ethel annuì a fatica. "Non penso gli piaccia..." mormorò con voce di carta velina. "Temo... temo non sia stata una buona scelta."

"Ha bisogno di tempo" replicò subito Elias, un sospiro fermo sulle sue labbra. "Sono certo che riuscirà a trovare qualcosa di buono in lei."

La donna annuì ancora, distendendo le labbra pallide in una smorfia rassegnata. "Speriamo gli dèi lo vogliano."

Elias ripeté le stesse parole a bassa voce, per poi darle un'altra carezza e salutarla. Uscì dalla stanza sentendosi in parte più leggero, visto che il lezzo della malattia non era ancora riuscito ad attaccare il corridoio antistante. Fece comunque un cenno sconsolato all'amico e si diresse verso la sala delle udienze, dove avrebbe dovuto trascorrere un paio di ore a trattare con i Guardiani – le loro idee per le successive celebrazioni avevano un che di eccessivo.

"Non sopravviverà all'inverno" constatò freddo Everett, seguendolo. "Se me lo avessi detto, avrei fatto in modo di venire prima."

"Interrompendo le celebrazioni?" Elias storse il naso. "Sappiamo entrambi che non sarebbe stato possibile."

Il sovrano lasciò aleggiare il silenzio per qualche minuto, prima di decidersi a rispondere. "Purtroppo hai ragione" ammise, per poi lasciar cadere il discorso nel vuoto.

Entrambi camminarono senza scambiarsi più alcuna parola, anche se un pensiero, imbozzolato al caldo già dalla sera precedente, aveva iniziato a scavarsi la sua strada fino alle labbra di Elias; sentiva il bisogno di parlare a Everett del mutaforma, di raccontargli cos'era accaduto e chiedergli spiegazioni, ma d'altro canto aveva paura che un simile argomento distruggesse la sottile armonia su cui si erano mossi fino a quel momento. Non voleva che l'amico lo fraintendesse, o prendesse le parole come una velata accusa. Stava ancora cercando il giusto modo con cui introdurre l'argomento, quando l'altro lo precedette.

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