XLIX: Il tempo dell'attesa

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Per Mistiss la sofferenza era diventata naturale. Svegliarsi nel cuore della notte col fiato spezzato, la pelle che si squagliava sotto i polpastrelli e le colava sulle guance, entrambi accompagnati dal rombo del fuoco e le pugnalate di dolore. Erano la normalità, ormai.

In fondo, sapeva bene che riprendere possesso del proprio involucro sarebbe stato sempre faticoso, terribile, qualcosa che l'avrebbe portata a desiderare di non essere mai nata e di non aver mai compiuto una simile fattura, capace di farla morire e rinascere a un ritmo difficile da sostenere. L'aveva saputo fin dalla lontana notte di luna piena in cui aveva tentato di portare a termine l'incantesimo, per poi lasciarsi scivolare tra le braccia del sovrano e seppellire ciò a cui aveva assistito. Non poteva dire di aver mentito a Taron, in quanto lei stessa aveva dimenticato cosa comportasse il sortilegio. Eppure, gli dèi dovevano aver deciso di punire il suo peccato carnale, spostando i fili del destino con annoiata crudeltà e ingarbugliandoli nell'infinito ciclo di vita e morte, pace e dolore, in cui era intrappolata.

La prima volta che era tornata se stessa aveva urlato a tal punto da perdere la voce. Aveva compreso l'incomprensibile, bruciando viva nel limbo in cui era rimasta intrappolata fino a quando non aveva aperto di nuovo gli occhi, i suoi occhi, e si era trovata davanti il viso di Taron piegato dalla disperazione. Per un attimo aveva pensato fosse lui, ma il modo in cui le si era rivolto le aveva ricordato che l'uomo aveva solo l'aspetto del generale, non l'anima.

"Ho pensato sareste morta."

Mistiss aveva ingoiato le lacrime di dolore che tanto desideravano correrle sulle guance, scostando le lenzuola. "Anch'io" aveva risposto, camuffando la sofferenza con una rabbia che non riconosceva. Si era alzata e, ancora tremante, si era messa al lavoro sotto lo sguardo solerte di Winloas, così da preparare una nuova pozione.

Da allora aveva preso a contare i giorni trascorsi nelle spoglie della regina. Se solo fosse stato possibile, avrebbe goduto nello sfigurare l'involucro in cui era costretta con le sue stesse dita sottili, strappandosi le lunghe ciocche ramate, graffiandosi il viso pallido, mordendosi le mani o lasciando lividi violacei sulla pelle in cui aveva scelto di imprigionarsi. Ma non poteva far altro che stringere i denti, ripetendosi che le voglie animalesche erano il prodotto dell'incantesimo e sarebbero sparite quando avrebbe ripreso possesso della sua carne. Non sempre riusciva a contenersi, però. Alcune notti si era svegliata di soprassalto per scoprire di essersi grattata a sangue la delicata cute delle braccia, o delle gambe, o quella nascosta del collo, e il piacere che aveva sentito correrle dentro, più forte di qualsiasi scarica provata con Cain, l'aveva sopraffatta e portata a farsi ancora più male, nonché a desiderare di avere qualcuno disposto a ferirla in ogni modo possibile.

La vergogna provata le mattine successive era stata grande, ma era riuscita a scacciarla grazie ai frenetici preparativi in cui era immerso l'accampamento. Nonostante non sapessero ancora nulla della sorte del piccolo gruppo inviato a Feluss, avevano deciso di muoversi verso la capitale con l'esercito. Oltretutto, la stanchezza e l'abitudine avevano fatto cessare le urla.

"Mia signora, è permesso?"

Mistiss alzò la testa dal tavolo sul quale l'aveva lasciata cadere, assopitasi senza neppure essersene accorta. Lanciò un'occhiata torva al Reggente dei Ghiacci che, intanto, si era avvicinato in silenzio, con un sorriso felino che la irritò ancora di più; trattenuto un sospiro di sconforto, si rassettò l'abito.

"Vi disturbo?" continuò lui.

"Mi avete svegliata." Mistiss si massaggiò le tempie con la punta delle dita. "Immagino sia a causa di notizie importanti."

Lögi sorrise e mosse qualche passo per coprire la distanza che li separava. "È qualcosa di fondamentale importanza" rispose con un tono che lei non riuscì a identificare né come serio, né di scherno.

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