Capitolo 11

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4 settembre 1939, Berlino

Kathrein si guardò intorno con aria meravigliata, lasciandosi incantare dalle proiezioni e dai giochi d'ombra dei lampadari di cristallo sulle pareti dell'immensa sala.

Nella sua vita aveva partecipato a tantissimi ricevimenti dell'alta società, ma nessun palazzo l'aveva mai estasiata come la sala ricevimenti della dimora di herr Lippert, il sindaco di Berlino.

Non avrebbe mai creduto che potesse esistere un edificio altrettanto maestoso, ma quella sera Kathrein si dovette ricredere.

«Questo posto è splendido».

Dietrich le riservò un mezzo sorriso mentre scostava la sua sedia per farla accomodare. Passò dall'altro capo del tavolo e si sedette di fronte a lei.

«Immaginavo ti sarebbe piaciuto, è stato aperto recentemente. Il proprietario è iscritto al partito».

Kathrein lo guardò con disappunto ed evitò di roteare gli occhi perché sapeva l'avrebbe irritato, tuttavia voltò il viso verso un altro tavolo per impedire che l'uomo notasse la sua espressione infastidita.

«Naturalmente» asserì Kathrein in modo eccessivamente enfatico che temette la sua ironia fosse stata estremamente evidente.

Parlare del partito e dei piani nazionalsocialisti erano 'ultimo argomento che avrebbe voluto affrontare quella sera. Almeno per il giorno del suo compleanno avrebbe voluto allontanare dalla mente il pensiero gravante ed incombente della guerra. Ringraziò tacitamente Dietrich per non aver indossato la divisa quella sera.

Ad ogni modo Dietrich perve non udirla, mentre assottigliava lo sguardo e lo puntava su una coppia che si sedeva poco più in là alle spalle di Kathrein.

Si voltò incuriosita ed osservò bene l'uomo in divisa che prendeva posto accanto ad una donna dai tratti delicati ed il viso estremamente famigliare. Kathrein aguzzò un attimo la vista e riconobbe i fluidi e fulgidi capelli di Hellen, la giovane ragazza che aveva incontrato sul treno due giorni prima e che Schulze aveva barbaramente cacciato via dal suo scompartimento.

Si chiese cosa facesse in compagnia di un soldato che, come risaputo, era addestrato a mostrare aperta ostilità agli ebrei. Pochi secondi dopo realizzò che la divisa dell'uomo non somigliasse per niente a quella dei bozzetti che aveva personalmente realizzato per l'esercito tedesco.

L'uniforme russa differiva per colore, mostrine e distintivi da quella tedesca. Una fascia rossa con una stella gialla si stagliava prepotentemente sul contrasto grigio del tessuto. Tuttavia la sordida analogia che individuò tra questo simbolo e quello della svastica nazista la fece sobbalzare. Entrambi s'inquadravano su uno sfondo rosso vermiglio a smorzare la sobrietà della divisa stessa, come una macchia di sangue fa su un lenzuolo candido. Kathrein rabbrividì davanti a tale associazione e solo negli anni successivi si rese conto che tanto sangue innocente sarebbe stato versato davvero e che entrambe le nazioni, insieme ad altre potenze, avrebbero contribuito, in maniera deleteriamente irreversibile, a perpetrare un simile crimine macchiandosene le mani di uno scarlatto vivido che mai avrebbe smesso di tormentare le anime che vissero un'ingiustizia così atroce e che vissero abbastanza a lungo, sopravvivendo a quella furia omicida, per poterlo raccontare.

L'uomo versò dell'acqua nel bicchiere di Kathrein e dopo si premurò di versare del vino nel proprio.

Alzò il sopracciglio seriamente divertita, poi scosse la testa e un sorrisino le si stampò sul viso involontariamente.

«Sono piuttosto sicura di aver ricevuto il permesso di bere vino da mio padre già da un paio d'anni» asserì pungente mentre assumeva un cipiglio il più realisticamente contrariato possibile.

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