Capitolo 5

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Berlino, 3 settembre 1939

Il resto della mattinata trascorse tranquillamente senza nessun altro avvenimento degno di nota.

D'altronde l'aver semplicemente scorto da lontano il suo fidanzato era bastato a scombussolarle l'intera giornata. Così immaginò di non essere pronta a sopportare nient'altro e per questo restò nella sua camera sino all'ora di pranzo.

Rimuginò a lungo su quei brevi attimi di sguardi e il pensiero di quelle ultime battute che aveva udito tra suo padre e Diedrich le rimbombarono a lungo nelle orecchie.

Le informazioni per cui l'ufficiale era partito in fretta e furia per Monaco non lasciavano nemmeno il tempo di un saluto ovviamente, pensò ironicamente Kathrein mentre si rimirava un'ultima volta allo specchio e chiudeva l'anta dell'armadio.

Aprì la porta della sua stanza e scese per pranzare con i suoi genitori ma, con disdetta, il buon umore di suo padre era già svanito nel nulla e seduta al tavolo c'era solo sua madre come di consueto.

Si accomodò comunque, decisa a non dare più un eccessivo peso alle cose che continuavano a deluderla. Rivolse un mezzo sorriso a sua madre che non ricambiò e lasciò che i domestici posassero il piatto davanti a lei.

Mangiarono in silenzio per quasi tutto il pranzo e, sebbene Kathrein la guardasse qualche volta di soppiatto, Elsbeth sembrava non essersi nemmeno accorta della presenza di sua figlia.

Così la ragazza, non essendo abituata ad essere ignorata, decise di smorzare l'aria grave che si annidava sulle loro teste.

«Mamma, potresti aiutarmi a scegliere cosa indossare stasera?» chiese tutto d'un fiato e, forse, in maniera azzardata.

Cosa le era passato per la mente? Non si sarebbe più liberata di sua madre e dei suoi consigli, o meglio imposizioni, per il resto della giornata. Eppure le era sembrata la cosa più sensata da dire, nel disperato tentativo di conservare un po' di quel legame che negli anni era andato irrimediabilmente perduto.

Elsbeth, visibilmente scossa da qualcosa, si limitò ad annuire senza neanche alzare la testa. Quello non era di certo un comportamento da sua madre.

Così Kathrein sbatté le mani sul tavolo molto poco decorosamente e più forte di quanto avrebbe voluto, facendo tintinnare l'argenteria e straboccare un po' d'acqua dalla caraffa posta tra lei e sua madre.

Eppure tra lei ed Elsbeth c'erano ostacoli ben più grandi e muri di silenzi indistruttibili, le cui fondamenta erano state cementate inesorabilmente con il tempo.

La sera prima aveva scritto a Ruth e l'aveva informata che il viaggio di ritorno, a parte qualche piccolo diverbio con l'ufficiale Schulze di cui aveva omesso nella lettera, era andato per il meglio.

Eppure avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare, pur per brevi attimi, tra le confortevoli mura accoglienti della casa di sua zia.

«Si può sapere cosa succede in questa casa? Sembra il quartiere generale di Hitler in persona, i soldati entrano ed escono senza che nessuno possa limitarli. Tu non mi rivolgi la parola e vaghi come un'automa per le stanze e non credere che non capisca che stai tentando di evitare mio padre. In più il suddetto mi nasconde anche dei ritorni del mio fidanzato» sbottò in modo molto più maleducato rispetto alla disciplina che le era stata impartita.

Si alzò dalla sedia, puntellando le mani sul tavolo e guardando con aria di sfida sua madre che, invece, sempre vestita della sua calma placida, la ignorava come fosse una mosca.

I segreti del Terzo ReichDove le storie prendono vita. Scoprilo ora