"Dovete farmi entrare!"
"Signorina, purtroppo al momento non è possibile."
"Ma io devo vederlo!"
"Elena"
La ragazza si voltò, passandosi una mano al di sotto degli occhi per asciugarsi le lacrime che non volevano smetterla di inondare il suo viso.
"Meredith" sospirò, nel vedere il volto di chi l'aveva chiamata. "Meredith per favore, devo vederlo, devo capire che è successo, sapere come sta..." Singhiozzò, senza nemmeno tentare di contenersi. "Ti prego."
"Elena, ascoltami, non possiamo. Sta per entrare in sala operatoria."
"In sala operatoria?" Ripeté, senza fiato. Si sentiva come se avesse ingoiato degli spilli, la gola le esplodeva ad ogni respiro.
"Io non so come dirtelo, lui...ha avuto un incidente in auto. Un furgoncino non ha frenato in tempo e ha preso in pieno la macchina da dietro, l'urto è stato troppo e Stefan è volato fuori dal parabrezza."
Elena dovette sedersi. Si appoggiò su una di quelle scomodissime sedie da ospedale, perché se non lo avesse fatto era sicura che sarebbe caduta per terra. Non poteva accettarlo, era qualcosa che il suo cervello si rifiutava completamente di elaborare una seconda volta. Aveva delle fitte al cuore, così forti da poterci svenire. "Stefan è....volato...." Farfugliò, incapace di mettere in ordine una frase.
"Sarò onesta con te, va bene?" Le disse Meredith, posandole una mano sulla spalla, ed Elena annuì. Voleva la verità, per quanto dolorosa e inaccettabile questa potesse essere, ma aveva bisogno di sapere e come stava realmente Stefan. "È arrivato qui con un' emorragia cerebrale, per questo stiamo correndo in sala operatoria. Dobbiamo rimuovere la massa ematica e fermare il sanguinamento."
"Allora vai." Disse, con un filo di voce. Non voleva far perdere tempo a nessuno, perché un solo minuto sarebbe potuto essere essenziale, e non poteva nemmeno pensare a ciò che sarebbe potuto succedere. "Ti prego Meredith, salvalo."Mystic Falls, 2012
"Signorina Gilbert? Allora, facciamo notte?"
"Mi scusi professor Tanner, io... non me lo ricordo."
"Cominciamo male." Commentò lui, acido. Elena abbassò la testa e si sistemò una ciocca di capelli, nervosa ed imbarazzata per la pessima figura che aveva appena fatto. Ma in fin dei conti era il primo giorno di scuola, e lei non si sarebbe certo aspettata che avrebbero iniziato in quel modo, anche se forse, conoscendo il professore, ci sarebbe dovuta arrivare.
In ogni caso, passò il resto dell'ora a torturarsi le unghie, evitando lo sguardo di Tanner come la peste, timorosa che gli chiedesse qualcos'altro, e quando suonò la campanella saltò in piedi come una molla. Letteralmente. Tanto che travolse un povero malcapitato al quale fece cadere tutto ciò che aveva in mano.
"Mi dispiace, mi dispiace." Raccolse un libro e qualche foglio da terra il più velocemente possibile, continuando a scusarsi.
"Non volevo, davvero."
"È tutto a posto."
Elena sollevò lo sguardo, sentendo una voce estranea, che non le ricordava nessuno dei suoi compagni di classe. Il ragazzo che si trovò davanti era alto, aveva le braccia muscolose e dei tratti molto particolari, ma le piacquero subito. Si disse che forse, quello era il più bel ragazzo che il liceo di Mystic Falls avesse mai visto.
"Sei nuovo?" Chiese, esplorando gli occhi verde muschio dello sconosciuto. "Sì." Si limitò a dire, intimidito, mentre le guance gli si coloravano un po'. Lei allora gli sorrise, tentando di metterlo a suo agio.
"Piacere, Elena Gilbert." Allungò la mano. "Nonostante questo inizio turbolento, sappi che puoi contare su di me se hai domande sulla scuola o dubbi di qualsiasi genere, non esitare."
"Ti ringrazio molto. Piacere, Stefan Salvatore."Erano passate tre ore, e le tasche di Elena ormai erano vuote. Aveva speso tutte le sue monetine in caffè, peggiorando la situazione, perché si sentiva un vero e proprio fascio di nervi dotato di gambe e braccia. Fissava con insistenza la porta della sala operatoria, sperando che Meredith Fell uscisse e le dicesse che era andato tutto bene, che l'amore della sua vita sarebbe tornato a casa con lei, e si chiese quanto ancora avrebbe resistito prima di avere un crollo.
"Elena?"
"Caroline, grazie a Dio." Le andò in contro, stringendola forte, sperando di calmarsi un po' tra le braccia di quella che ormai considerava sua sorella. Ma non accadde.
"Come sta?"
"Non lo so, nessuno mi dice niente. Non sono ancora mai usciti da lì ed io non so più che pensare, voglio dire, sarà un cattivo segno? Oppure no?"
"No, no. Ei, ascoltami. Ascoltami." Caroline le prese il volto tra le mani e tentò un sorriso incoraggiante. "Lui è forte, e anche tu lo sei. Ne uscirete, andrà tutto bene, e vedrai che tra un mese ci saremo scordati di tutto questo e voi due sarete tornati a fare invidia a tutta Mystic Falls."
"Io non lo so, non..."
"La Signora Gilbert?"
A Elena scoppiò il cuore. Si voltò, andando a guardare negli occhi l'infermiera che l'aveva chiamata e pregando con ogni fibra del suo essere che le avrebbe dato una buona notizia.
"Io, sono io. Come sta? Posso vederlo?"
"Abbiamo rimosso l'ematoma, e al cervello non è stato inflitto alcun danno. Il paziente adesso è in coma farmacologico, e non si sveglierà prima di domani mattina."
"Perciò lui...Stefan sta bene? È salvo?" Squittì Elena, che si sarebbe praticamente messa in ginocchio pur di ricevere un segno di assenso a quella domanda. E arrivò, arrivò davvero. L'infermiera annuì.
"Sì, non è più in pericolo di vita, non si preoccupi e vada a casa a riposare."
"No, no. Io rimango, voglio essere qui quando si sveglierà." Affermò lei, decisa.
In quel momento uscì Meredith, si tolse la cuffietta e sorrise. " Te l'ha detto? Sta bene, è tutto okay, e prima che tu me lo dica, non resterai qui. Hai bisogno di dormire, e lui comunque non si sveglierà presto."
"Ma..."
"Sarebbe inutile." Proseguì. "Non puoi entrare per adesso, e dovresti stare qui seduta ad aspettare non sappiamo nemmeno quanto. Va' a casa, fatti una doccia e dormi un po'." "Va bene." Rispose infine, rassegnata. Non voleva lasciare Stefan da solo, ma si disse che non avevo senso passare l'intera nottata in corridoio, se non poteva stargli accanto. "Ma se dovesse succedere qualcosa, qualsiasi minima cosa, chiamami, Meredith, okay?"
"Te lo prometto.""Mi dispiace non essere riuscito a vedere la cometa con te."
"È colpa mia, sono io che ho il coprifuoco." Rise Elena.
"E comunque, non m'importa niente. È stato un primo appuntamento perfetto, c'era la pizza, e le fragole e le nostre mille chiacchiere e..."
Si avvicinò a lui, sollevandosi sulla punta dei piedi solo un po', fino ad arrivare a rubargli un bacio.
"C'eri tu."
I cuori di entrambi batterono forte contro le loro casse toraciche, e Stefan si sentì talmente bene, era talmente preso da lei e da quel momento che quasi si scordò di essere sotto casa sua, e che sua zia sarebbe potuta spuntare da qualsiasi finestra in qualsiasi momento. Quasi.
"Giusto, giusto. Meglio andarci piano, o la cosa diventerà imbarazzante."
"Più per me che per te." Fece lui, passandole il pollice su una guancia.
"Mh, non ne sarei così sicura."
"Ci vediamo domani allora."
"A domani."Elena si svegliò di soprassalto, e quella mattina il letto le sembrò decisamente troppo grande. Non che avesse dormito chissà quanto, e per quelle pochissime ore in cui era riuscita a riposare, aveva sognato solo Stefan, perché il suo cervello non riusciva a focalizzarsi su nient'altro. Si alzò, fece una doccia veloce e si ingozzò con un caffè (sì, ne era dipendente) e qualche biscotto, dopodiché schizzò fuori dalla vecchia pensione dei Salvatore, che era ormai da anni casa sua, e si diresse in ospedale. "Si è svegliato?" Chiese all'infermiera che si trovava fuori dalla porta. "Posso entrare?"
"No, signora, dorme ancora. Però se vuole può vederlo."
Annuì, e, con cautela, aprì la porta. Stefan era sdraiato al centro di una stanzetta più grande di quanto Elena si aspettasse, aveva una flebo attaccata al braccio e quell'aggeggio sul dito indice che aveva sempre visto solo nei film, che faceva sì che il suono del suo battito cardiaco risuonasse per tutta la stanza. Sembrava sereno, come quando la sera tardi prendeva sonno sul divano. Gli si avvicinò, presa la piccola sediolina che stava accanto al comodino e si sedette accanto al letto.
"Ciao, Stefan." Sussurrò, accarezzandogli un braccio. "Mi hai fatto prendere uno spavento che ti farò rimpiangere per tutta la vita. Ma ora sei qui, e conta questo." Si asciugò una lacrime traditrice, prima di continuare a parlare. "Ti prometto che aprirò io la libreria per tutto il tempo in cui tu dovrai riposare, so quanto ti dia fastidio saperla chiusa, mi organizzerò per andarci almeno mezza giornata. Però tu svegliati presto, d'accordo? Perché senza di te non so proprio stare." E lo pensava veramente, perché Stefan era parte costante della sua vita da ormai cinque anni, e lei non ricordava neanche più come fosse stare al mondo senza lui che la tenesse per mano, e forse non era sano, ma era la realtà. Elena appoggiò la testa su un angolino del letto, continuando a tenere la mano del suo ragazzo, e, con accanto il calore del suo corpo, si addormentò.
"Elena, ei. Elena."
"Meredith, scusami, sono crollata."
"Tranquilla, è normale dopo la nottata che hai passato. L'orario di visite però è terminato."
"Sì, sì. D'accordo." Prese le sue cose, e, di malavoglia, si chiuse la porta alle spalle.
Per quanto vivere senza Stefan le provocasse disagio, Elena non credeva di essere diventata paranoica. Invece, una volta che arrivò a casa e si accorse che la porta d'ingresso era aperta, iniziò ad agitarsi. Possibile che l'avesse lasciata aperta quella mattina, presa dalla fretta di arrivare in ospedale? Entrò, tentando di fare meno rumore possibile, e si diresse in salotto, voltandosi da ogni parte possibile per paura che spuntasse un ladro da qualche angolo. Ma non accadde questo.
"Tu devi essere Elena."
Le venne quasi un infarto, e sussultò così forte da risultare quasi imbarazzante, e ora chi diavolo era quello?
"Io sono Damon, il fratello di Stefan."
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unsteady || the vampire diaries
FanficElena Gilbert stava girando il sugo quando le squillò il telefono. Sì, il sugo. Ed era strano, curioso, perché lei non cucinava mai, aspettava sempre che fosse lui a farlo, con il suo grembiulino bordeaux e quel sorriso che sapeva di primavera. Le...