Capitolo 4.

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*In caso aveste voglia di ascoltare la canzone nel momento in cui lo fanno loro : Light - Sleeping At Last 

“Buongiorno, Caroline.” 
La ragazza bionda si voltò, una mano sospesa per aria per via del suo frettoloso gesticolare mentre parlava con una collega e la bocca semi aperta. 
“Elena? Che ci fai qui?” Chiese, andandole in contro. Lei, di tutta risposta, fece spallucce e sollevò entrambe le sopracciglia. 
“Ci lavoro.” Disse infine. Caroline la squadrò da capo a piedi, evidentemente sorpresa nel vederla lì, che indossava un completo nero, un po’ di ombretto marrone a contornarle gli occhi e una treccia poggiata sulla spalla destra. Sembrava così normale. 
“Ma è venerdì, e stai passando un periodo tremendo. Avresti potuto aspettare fino a lunedì, o oltre. Non ci sarebbe stato alcun problema, devi saperlo.” Cercò di mettere in chiaro le cose, sentendosi quasi in colpa. Elena lo capì, perciò cercò subito di rassicurarla annuendo. 
“Lo so, credimi, è solo che…” passò un dito sulla sua scrivania, inalando una grossa quantità d’aria. “La verità è che mi sto comportando di nuovo come quando ho perso i miei genitori, e non voglio.” Sputò, andando a raccogliere lo sguardo spaesato della sua amica. “Io non voglio, Caroline. Stefan non è morto. È fuori pericolo, bisogna solo avere un po’ di pazienza, ma andrà tutto bene. So che sarà così, perciò io non posso continuare in questo modo, devo riprendere in mano la mia vita, trasmettergli tutta la serenità e la normalità di cui ha bisogno, e non la mia angoscia. Per questo motivo sono tornata al lavoro, e quando potrò farò un salto in libreria, lo andrò a trovare in ospedale, frequenterò te, i nostri amici, la mia famiglia, insomma vivrò. Lo aspetterò come si aspetta un essere vivente, non lo piangerò come se fosse morto.” Lasciò uscire una nottata intera passata a rigirarsi nel letto con tutti quei pensieri che le frullavano per la testa, e ai quali aveva finalmente dato forma poche ore prima, alzandosi, preparandosi, montando in auto e guidando fino agli studi di Action News. Caroline era colei che bucava lo schermo, il suo capo, mentre lei stava dietro le quinte, scrivendo per la vera e propria parte giornalistica, ed era felice di essere tornata nel suo piccolo ufficio, con l’odore della carta, la sua amata macchinetta del caffè e il girasole finto che da sempre se ne stava appollaiato accanto al suo computer. Certo, tutto sarebbe stato straordinariamente migliore se alla fine della giornata a casa ci fossero stati due occhi muschiati ad aspettarla, come al solito, ma tempo al tempo. Sarebbe successo, lo sapeva. 
“Trattami come sempre, ti prego. È questo ciò di cui ho bisogno.” Aggiunse, prendendo posto sulla sua poltrona girevole. 
“Io…” Indugiò inizialmente la sua amica. “Okay, va bene. Come sempre. Perciò, sulla mia scrivania troverai tutti i fatti di cronaca più importanti della settimana. Inizia a lavorare alla prima pagina per l'edizione della domenica e mandami la bozza entro questa sera, puoi farlo?” 
“Posso farlo.” Rispose Elena, alzandosi e facendo ticchettare le sue scarpe in direzione dell’ufficio di Caroline. Quest’ultima, però, la richiamò, facendola fermare. 
“Hai detto frequentare i tuoi amici, giusto?” Chiese, torcendosi nervosamente le dita. “Perché odio ricordartelo in questo momento, ma oggi è il 3 novembre e stasera avevamo organizzato la cena prenatalizia a casa mia, sai, con l’estrazione per il Secret Santa e il polpettone, solo che non sappiamo che fare, non è decisamente il periodo…”
“Ci verrò.” La interruppe, lasciandola senza parole per la seconda volta nel giro di cinque minuti. “Se potessimo solo posticiparla di un paio d’ore, cosicché io riesca a passare dall’ospedale sarebbe perfetto, ma voglio esserci. So quant’è importante questa tradizione, per tutti noi, e Stefan non vorrebbe che la interrompessimo.” 
“Certo. Un paio d’ore dopo, per le otto e mezza allora, avverto gli altri?” 

“Mi stai giudicando, posso sentirlo.” 
“Io non ho detto niente.” Damon alzò entrambe le mani a mo' di “sono innocente”, e si sfilò il suo giacchetto, appoggiandolo sull’attaccapanni. 
“Non serve, stai squadrando me e la mia tristissima insalata da quando sei entrato.” 
“Effettivamente ingozzarsi di finocchi su un divano così antiquato non è qualcosa che ho visto fare molto spesso ma ei, ognuno ha il suo stile di vita.” La prese in giro, facendole scappare un risolino. 
“Sono, mhpf….” Masticò Elena, portandosi una mano davanti alla bocca ed inghiottendo velocemente il boccone. “Sono tornata al lavoro, e ho una marea di cose da recuperare, perciò questa deve essere la pausa pranzo più veloce della storia.” Si giustificò, andando a raccogliere da terra la sua bottiglia di acqua frizzante. 
“Sono contento di sentirlo.” Fece lui, incurvando il volto in un sorriso. “Del lavoro intendo, non sicuramente del fatto che stai soffocando con quella roba, è condita, almeno?” Scherzò, andando a sedersi accanto a lei.
“Certo.” Rispose, fingendosi offesa. 
“Be’, in ogni caso rimedierò io stasera, che vuoi per cena?” 
“Uh, non sono a casa a dire il vero.” Rispose, colta alla sprovvista. In realtà, non immaginava che lui avesse intenzione di replicare o di far diventare ciò che era successo la sera precedente una cosa abitudinaria. Non che le desse fastidio, era solo strano, ecco. 
“Hai presente Secret Santa? Quella cosa che si fa quando si è in tanti amici e per non fare ad ognuno un regalo si estrae a sorte una sola persona, che però rimane segreta fin quando ci si scambiano i pacchetti.” Iniziò a spiegargli mentre andava in cucina e posava l’insalatiera nel lavandino. Damon la seguì. 
“Sì, ne ho sentito parlare.” 
“Io e Stefan lo facciamo con i nostri amici da tanto tempo, e siamo soliti organizzare una cena con le estrazioni a inizio novembre, così da avere abbastanza tempo per poter pensare al regalo, e settimane fa avevamo deciso per oggi.” Concluse, strofinando la forchetta con il lavapiatti.
“Figurati, capisco. Elena, non eri di fretta? Lascia perdere qui, sistemo io.” 
Lo ringraziò, andando ad asciugarsi le mani con lo strofinaccio. “Vuoi venire con me?” Le sfuggì dalla bocca prima che potesse controllarlo, e se ne pentì all’istante. Era troppo. Aveva deciso di andarci piano, ci teneva a conoscere Damon e tutta quella parte della vita del suo ragazzo, ma passare in pochi giorni dal gridargli di andarsene da casa sua all’invitarlo ad una cena tra amici era forse troppo estremo. Non ci capiva più nulla, a dire il vero. Era una situazione talmente strana da gestire, si disse, che qualche errore doveva pur esserle concesso. 
“Sei sicura? Non credo mi stenderebbero il tappeto rosso.” 
“Non sono dei ficcanaso. Be’, a parte Caroline, lei è abbastanza diffidente all’incirca con chiunque, e può sembrare petulante e rompiscatole, ma lo fa solo perché è la mia migliore amica e vuole proteggermi. Non le piaceva neanche Stefan all’inizio, mentre ora è il suo partner-in-crime.” 
“Caroline…Forbes, del telegiornale di mezzogiorno?” Chiese Damon, mentre Elena recuperava la sua borsa. 
“Sì!” Gli gridò, dal corridoio. “Proprio lei! Ascolta, io ora devo scappare, davvero. Tu decidi che fare poi stasera mi avvisi, d’accordo?” 
“D’accordo. A dopo, Elena.” 
Dopo, chissà se ci sarebbe arrivata viva, a dopo. Il suo pomeriggio fu infernale, tra l’articolo da scrivere e quel ronzio nelle orecchie che non smise per un secondo di ripeterle quanto fosse stato incosciente e fuori luogo far prendere a Damon il posto di Stefan alla cena. Elena provò a spiegare a Caroline che era stato un atto di gentilezza, per provare ad instaurare una sorta di legame con il cognato del mistero, ma non c’era verso. Quando alle cinque finalmente consegnò la bozza e corse in ospedale, le scoppiava la testa. 
“Ce l’ho fatta, Stefan. Finalmente.” Sospirò, lasciandosi cadere sulla seggiola. “Oggi ho ripreso in mano tutto, ed è stato abbastanza traumatico a dire il vero, nonostante io adori il mio lavoro.” 
Allungò una mano fino ad intrecciare le dita con le sue. Stava sempre nella solita posizione, ovviamente. Le palpebre serrate, il colorito leggermente più spento del solito, i capelli stranamente in disordine. Ma per lei era sempre bellissimo. 
“Quanto vorrei averti al mio fianco stasera, entrare in casa di Care al tuo braccio, passare del tempo con i nostri amici, ridere, sorteggiare il nome segreto che poi puntualmente ci saremmo svelati a casa, andando contro le regole.” Sorrise, continuando a sfiorarlo. “Mi manchi, Stefan. Ma sto provando ad essere forte per te, per noi. Nonostante mi faccia male vederti così, e nonostante ci siano tanti motivi per i quali sono arrabbiata con te, ci sto provando. Anche se da sola non mi è semplice.” 
Fece una piccola pausa, si massaggiò le tempie e bevve un sorso d’acqua, senza mai staccare lo sguardo dal corpo del suo fidanzato. 
“I dottori dicono che durante il coma non si sogna.” Disse, dopo un po’. “Ma mi è così difficile da credere, insomma, sembra proprio che tu stia dormendo. Chissà se mi senti.” Frugò all’interno della tasca della sua giacca, estraendone gli auricolari, che collegò al suo telefono, inserendone uno nell’orecchio di Stefan e uno nel suo. “O se senti questa." 

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