Capitolo 11.

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"Perché diamine hai pagato tutto tu?"
"Non potevo mettermi ad acquistare con due carte separate, avremmo rischiato di perdere i posti, e non possiamo permetterci di aspettare, ricordi? Non m'importa dei soldi."
"Ma importa a me, si tratta di quattrocento dollari!"
"Lena, ascolta, se preferisci preoccuparti dei soldi piuttosto che pensare al vero motivo per il quale siamo finiti a bordo di un aereo in fretta e furia, per me va bene, ma non c'è bisogno che tu ti senta in colpa anche per questo."
"Vaffanculo."
E non disse altro, per le successive tre ore. Passò il tempo a cercare di scacciare le lacrime, a sperare che quel maledetto coso che era costato un occhio della testa non atterrasse mai, sperò davvero di poter restare a bordo tutta la vita.
Che schifo di persona era diventata.
Glielo aveva promesso, quando tutto quel casino era iniziato, lei glielo aveva promesso.
"Ti sveglierai presto, Stefan. Ed io sarò al tuo fianco."
E invece no, aveva pensato bene di farsi la vacanza a New York City.
Le veniva da vomitare per il ribrezzo che provava dei confronti di sé stessa.
"Ci stiamo preparando per la fase di atterraggio, i Signori passeggeri sono pregati di rimanere al loro posto e non slacciarsi le cinture. Vi ringraziamo per aver scelto di volare con noi."
C'era Caroline ad aspettarli all'uscita dell'aeroporto di Richmond, come d'accordo.
Il viso teso, il tacco dello stivaletto che batteva con insistenza sul pavimento, i gomiti sulle cosce e le mani nei capelli. Si alzò in piedi scattando quasi come un soldatino, quando li vide, il viso era privo di qualsiasi tipo di emozione che non fosse la rabbia.
"Parleremo più tardi di quanto tu sia stato un idiota ad andartene" Disse, premendo un dito sulla giacca di pelle di Damon. "O di quanto io lo sia stata ancora di più a consigliare a te di inseguirlo." Questa volta si riferiva ad Elena. "Siamo una banda di incoscienti, tre cazzo di smidollati che non hanno pensato alle conseguenze delle loro azioni. Io- io non voglio neanche sapere cosa sia successo a New York, né ora né mai, perché questa immensa catastrofe mi ha finalmente fatto capire, alla veneranda età di ventidue anni, perché tutti mi hanno sempre consigliato di tenere questo grazioso nasino negli affaracci miei. Non ho fatto altro che peggiorare le cose."
"Tu non hai fatto-"
"Niente?" Care interruppe la sua amica, che si era fatta così piccola nel frattempo. "Oh, questo lo so. Voi due ci siete riusciti benissimo da soli."
"L'hai visto?" Chiese Elena tremante, mentre si rintanava sul sedile della macchina.
"No." Caroline scosse il capo. "Non so niente di più di quello che sai tu."
Damon sospirò. "Sbrighiamoci."

"Ho anch'io una teoria, la mia riguarda i momenti.
I momenti d'impatto.
La mia teoria dice che i momenti d'impatto, lampi di elevata intensità che cambiano la nostra vita completamente, finiscono con il definire chi siamo.
Ognuno di noi è la somma di tutti i momenti che abbiamo vissuto, con le persone che abbiamo conosciuto, e questi momenti diventano la nostra storia.
Come i migliori momenti che ripercorriamo e ripercorriamo ancora e ancora.
Allora ecco la mia teoria.
Questi momenti d'impatto ci caratterizzano come individui.
Ma quello che non avevo mai considerato era: e se un giorno non potessimo più ricordare nessuno di essi?"
-    La Memoria Del Cuore

Elena aveva pensato molto a quelle parole durante i mesi che l'avevano tenuta separata da Stefan, terrorizzata dall'idea che lui potesse svegliarsi senza più ricordare niente, che non avrebbe ricordato mai, e si sarebbero persi per sempre. Perché la vita non è un film con Channing Tatum e Rachel McAdams.
Ma, varcando la soglia di quella dannata porta bianca, si rese conto che era accaduto il contrario, dovevano essersi invertiti i ruoli. C'era qualcosa che proprio non andava, ma non in Stefan, in lei.
Lui se ne stava lì esattamente come l'aveva lasciato, i tubicini nelle vene, la "molletta", come la chiamava lei, avvinghiata al suo anulare sinistro, che faceva risuonare il suo battito cardiaco per la stanza, il petto che si alzava e si abbassava lentamente. Solita descrizione degli ultimi due mesi, con una sola eccezione.
Gli occhi.
Quegli occhi che si era tanto sforzata di immaginare, finalmente erano aperti di nuovo.
E furono loro.
Fu ritrovando quel verde, che Elena cominciò a frugare tra i suoi momenti d'impatto.
Il profumo di sua madre e le canzoncine della buonanotte di suo padre, il mondo in cui suo nonno la spingeva sull'altalena, quando aveva sfiorato Jeremy per la prima volta, la risata di Caroline che riecheggiava per il corridoio delle scuole elementari, Matt che le prestava un pastello a cera mentre Tyler lo prendeva in giro per essere arrossito di fronte ad una bambina femmina, il cerotto che Bonnie era corsa a prenderle in infermeria dopo che si era sbucciata un ginocchio in giardino, la sua prima sbronza, il primo bacio, la prima volta, la prima rottura, e l'incidente.
Poi, Stefan.
Sì. Sapeva che dopo, di sicuro, veniva lui, ma non rivide a rallentatore gli appunti volare per aria, il libro di storia che si schiantava a terra, la mano con l'anello dei Salvatore che si stringeva alla sua.
Per qualche motivo non accadde, e le gambe le tremarono quasi fossero fatte di gelatina.
Si rese conto per la prima volta di quanto l'amore non bastasse. Di quanto il conoscere il solo carattere di qualcuno, ma non tutta la sua storia, non bastasse. Di quanto si fosse sbagliata, perché appunto, i nostri momenti definiscono chi siamo, ed Elena non sapeva nulla dei momenti che aveva vissuto Stefan prima di conoscerla, per questo, in quel momento, in quel letto, lei non rivide altro che lo sconosciuto contro il quale era andata a sbattere cinque anni prima.
Ma Stefan non ci fece caso, troppo preso a fissare un punto alle spalle, come in trans. Diventò ancora più pallido di quanto già non fosse, quando mosse appena le labbra secche, per soffiare "Damon".
"Ciao, fratellino."
"Ho le...le allucinazioni?" Suonava così strano sentire la sua voce, che Elena si era come congelata, paralizzata.
"Il solito melodrammatico." Damon la superò, appropriandosi dello sgabello. "No, Stef, non hai le allucinazioni, sono davvero io. Ripensandoci, forse preferiresti sentirti dire che le hai, non è vero?"
"Perciò sei qui? A Mystic Falls?"
"Sì, fratello. Cazzo, ma non te li hanno fatti dei controlli? Sembri parecchio confuso."
Stefan non rispose, facendo vagare lo sguardo per la stanza fino a raccogliere quello di Elena, che si sistemò varie ciocche di capelli con le mani sudate, gli occhi iniziarono a pizzicarle perché nonostante tutto, ciò che avevano vissuto insieme rimaneva, e il sollievo l'avvolse come un abbraccio.
"Ciao" Riuscì a formulare, finalmente. Si avvicinò di più al letto, quasi terrorizzata all'idea di toccarlo, perché sentiva di non meritare di farlo, non dopo aver baciato Damon. Di sicuro non si era immaginata così il risveglio del suo ragazzo. "Come ti senti?"
"Io- bene, credo, solo stanco, e confuso. Ora ancor di più. Non so neanche da dove cominciare a farvi domande."
Ciò che Elena provava era ridicolo.
Si sentiva in colpa, ma allo stesso tempo arrabbiata, persa, fuori controllo.
"Non farlo, ti spiego io." Disse, quando quella parte prese il sopravvento su di lei. "Stavi tornando a casa, una sera di fine ottobre, tre mesi fa circa, stavi tornando da me, ed io ti stavo preparando una lasagna, capisci? Io stavo cucinando, per davvero, ci stavo provando così tanto, ero sommersa di libri e il mio cellulare era tutto sporco di salsa perché continuavo a guardare dei video tutorial, li mettevo in pausa, poi li facevo ripartire, sperando di capirci qualcosa. Non ricordo...io non so neanche che fine abbia fatto il sugo che avevo sul fuoco in quel momento. È bruciato di sicuro, ma non mi sembra neanche di averlo buttato via."
"Perché l'ho fatto io, la mattina seguente. Era tutto incollato alla pentola, è finita in pattumiera anche lei. Riposi in pace." Già, sì, un po' dell'ironia di merda di Damon era esattamente ciò di cui tutti quanti avevano bisogno. Elena lo ignorò e proseguì.
"Mi hanno chiamata, sono corsa qui e tu avevi un'emorragia al cervello, perché un furgone non aveva visto il semaforo rosso, e si era schiantato in pieno contro il retro della tua macchina, facendoti volare fuori dal parabrezza. Ti hanno operato, poi sei finito in coma, e una sera, quando sono tornata a casa, nel nostro salotto mi aspettava quest'uomo, questo sconosciuto che mi ha fatta sentire una perfetta idiota, la fidanzata del Signor Nessuno."

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