Obito/Tobi

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(T/N) passò la tessera magnetizzata che teneva al collo sul lettore vicino alla porta, facendolo illuminare di verde e dando possibilità di accesso alla stanza chiusa quasi ermeticamente.
Lanciò l'ultimo sguardo al corridoio silenzioso e illuminato artificialmente, prima di poggiare la mano sulla maniglia, che si era allentata, ed entrare.
Il cambio di illuminazione era paradossale: la stanza era quasi del tutto buia e spoglia, se non per un tavolo di acciao con intorno alcune sedie, tra cui due occupate, e una lampada che era puntata verso una delle due persone presenti.
Il rumore dei suoi passi echeggiò, richiamando l'attenzione dei due uomini seduti, che avevano smesso di parlare.
Salutò, facendo cenno alla ragazza di sedersi di fianco a lui, quello più anziano e vestito con un camice bianco lasciato aperto.
Lei ricambiò con un cenno del capo, lanciando uno sguardo all'altro seduto dalla parte opposta, che rimase in silenzio seguendo i suoi movimenti con gli occhi.
(T/N) strinse la cartella clinica tra le mani, sedendosi sulla sedia fredda e scrutando attentamento lo stato del paziente, il quale aveva chinato il capo, osservando il riflesso distorto del suo volto che appariva sul tavolo metallico.
"Allora, Tobi." Aveva parlato, di nuovo, l'uomo, sospirando e passandosi una mano tra i capelli raccolti in una coda alta, infilandosela, poi, nella tasca del camice e giocherellando con il contenuto.
"Ripetimi che cosa ti dico sempre." Continuò, corruciando la fronte che si raggrinzì, facendo anche tirare una delle due cicatrici che gli percorrevano la parte destra del volto.
L'interpellato aveva alzato lo sguardo verso di lui, mentre una gocciolina di sangue era colata dal suo mento e aveva intaccato la superficie lucida.
"Tobi non deve toccare le sbarre, altrimenti viene picchiato e messo in isolamento.
Tobi non deve tentare di uccidersi, altrimenti viene picchiato e sedato.
Tobi non deve tentare di evadere in qualsiasi modo, altrimenti Tobi viene picchiato e torturato con la friggicervello." Aveva risposto, speditamente e con gli occhi fissi in quelli dell'altro, il paziente legato in una camicia di forza ben stretta, bianca e chiazzata di sangue fresco.
"Bene, come sempre ti ricordi le regole.
Allora perchè oggi le hai infrante?" Domandò, a questo punto, lo psicologo, che svogliatamente si era portato due dita all'attaccatura del naso.
"Tobi non ha fatto niente! Perchè Tobi è Tobi e Tobi è un bravo ragazzo!" Aveva risposto, senza indugiare, il corvino, esordendo con un sorriso leggero sul volto e con tono solenne.
L'altra presente aveva guardato il poverino intenerita, dopo essersi riportata gli occhiali a posto e scambiata uno sguardo d'intesa con il collega.

Non era la prima volta che assisteva ad una scena simile, ormai era quotidinità da mezzo anno.
(T/N) faceva da assistente al dottor Shikaku Nara che era lo psicologo dell' Hidden Leaf il Carcere di Resistenza Massima per Criminali di Rango S: una struttura nascosta nel Paese del Fuoco, dove vi era tenuta in custodia la peggior feccia.
I peggori criminali, terroristi, serialkiller, mafiosi, che venivano catturati erano portati in questo luogo sconosciuto alla gente comune, dove si cercava di estrarre dalle loro menti contorte qualche informazione utile durante la loro permanenza infinita.
Perchè quelli che mettevano piede dentro il carcere era più che certo non avrebbero mai visto la luce del sole nemmeno da morti.
La sicurezza era elevatissima: chiunque entrava o usciva veniva controllato da cima a fondo.
Le forze speciali militari, gli ANBU, tenevano sotto controllo costante ogni singolo individuo presente e sopprimendo, sul nascere, ogni qualsiasi tipo di problema con la forza bruta.
Non c'era nessuno sconto per chi aveva messo a rischio la vita di migliaia di persone, commesso i peggiori crimini e tramato la distruzione del sistema.
Nessuna pietà, nessun riguardo; tutti erano trattati come la feccia che erano, condannati a sopravvivere in condizioni anche fin troppo buone per essere deplorevoli quali erano.
Non c'era nessuna possibilità di aiuto, di salvezza, di fuga, nessun contatto con il mondo esterno: la vita dei carcerati sarebbe finita lì, senza poter sapere nemmeno quanto tempo fosse passato dal loro arrivo, dimenticati da tutti.
Tutto trascorreva in modo lento, sfiancante, quasi opprimente nell'eterna staticità di un luogo che sapeva di sangue, anestetici e solitudine.
Chi era sano di mente, finiva per impazzire e perdere ogni briciolo di lucità rimasta; la tua identità veniva rimpiazzata da un numero marchiato sul collo, cucito sulla tua tuta arancione in caratteri cubitali che ti identificava come una delle tante anime che doveva scontare la loro pena.

𝐎𝐍𝐄𝐒𝐇𝐎𝐓 𝐋𝐄𝐌𝐎𝐍 - 𝐍𝐀𝐑𝐔𝐓𝐎'𝐒𝐂𝐇𝐀𝐑𝐀𝐂𝐓𝐄𝐑𝐒𝐗𝐑𝐄𝐀𝐃𝐄𝐑Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora