"Lo scopo della società umana deve essere il progresso degli uomini, non delle cose."
(Léonard Sismonde de Sismondi)Punto di vista Rose
Mi rigirai nel letto e, dopo un piccolo lamento soffocato dal cuscino, sbadigliai, per poi seppellirmi più a fondo fra le calde coperte.
Oggi sarebbe ricominciata la scuola ma, anche se mancavano poche ore all'apertura delle aule, ancora non avevo realizzato in pieno la cosa. Svegliarsi presto non era mai stata una delle mie attività preferite.
Il periodo della Festa dell'Unione era purtroppo terminato e la vita a Natalesia avrebbe presto ripreso la sua quotidianità. E ciò comprendeva anche il mio ritorno a scuola.
La Festa dell'Unione aveva inizio a metà dell'anno, composto da venticinque mesi, per celebrare il ricordo dello sbarco degli esseri umani su questo pianeta, Natalesia, e quindi la loro unione con gli abitanti originari del posto.
«La scuola aprirà tra un'ora e quarantacinque minuti, signorina. È pregata di alzarsi»
La voce inespressiva di Filiphe, un robot che mio padre mi aveva affiancato, mi risvegliò con poca gentilezza dai miei pensieri. Emisi un lamento e mi alzai a sedere, sbattendo le palpebre per abituarmi alla luce che entrava dai vetri della mia camera.
Mi stiracchiai con pigrizia, cercando di scacciare dalla mente l'idea di tornare a dormire, anche solo per altri cinque minuti, al caldo. Il mio letto era riscaldato da un motore progettato appositamente, che si trovava ben piantato alla base del materasso. Per quanto durasse il giorno non soffrissi più il freddo, amavo crogiolarmi nel calore.
«La scuola aprirà tra un'ora e quaranta minuti, signorina. È pregata di alzarsi» ricominciò a parlare Filiphe, fluttuando a qualche centrimentro dal pavimento, alla mia destra.
Mi girai a guardarlo, arresa «Ho capito» borbottai in risposta, sperando, in vano, che uscisse dalla mia stanza e non si facesse più rivedere fino all'anno seguente.
Il robot non si prese la briga di rispondermi, continuando a guardare di fronte a sé, come se ne dipendesse della sua stessa vita.
Filiphe era un robot vecchio stampo, con poche funzionalità e con un'estetica mediocre. Era appartenuto a mio padre, che lo aveva poi dipinto di rosa per regalarlo a me, la sua unica figlia femmina.
Di sicuro un bel pensiero, non mi ero lamentata, ma col passare degli anni avevo imparato che era meglio evitare di dire ai miei amici di che modello fosse il mio robot, che messo a paragone con quelli che possedevano loro sembrava solo un ammasso inutile di ferro fluttuante.
Aveva una forma ovale e due sottili braccia robotiche. Due occhi, che altro non erano che buchi dotati di sensori, erano posti sul davanti della sua "faccia" e sul lato posteriore. Altri piccoli buchi poco più in basso sbuffavano aria ogni minuto, simulando una respirazione umana; era carino, tutto sommato, ma decisamente poco moderno.
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Natalesia
Bilim Kurgu[AGGIORNAMENTI LENTI] "In guerra mi facevano più impressione i vivi, che i morti": così recitava la vecchia citazione di Nicolai Lilin, che il suo professore di storia amava citare spesso. RS non era mai riuscita a comprenderlo a fondo, non prima di...