Due anni dopo: Aleksei

4.5K 136 6
                                    

Aleksei stava appogiato al muro dell'ingresso dell'imponente palazzo. Lo sguardo perso nel vuoto, mentre accendeva una sigaretta. I suoi jeans strappati gli davano un'aria da ragazzaccio, nettamente in contrasto con la sua camicia di puro cotone. Gli occhi grigi erravano sui passanti. La mano destra nella tasca proteggeva ciò per cui era tornato in Italia. Erano quasi due anni che non tornava in quello Stato. Era stato commissionato per un grosso affare a Milano. Lo spaccio di cocaina non faceva per lui, eppure sembrava che dietro a quella "piazza" ci fosse molto di più. Erano mesi che gestiva i suoi affari dalla Russia, nel suo comodo attico. Ora, però, il signor Michele Bravo era deciso a diventare suo socio in affari e avrebbe dovuto incontrarlo di persona.

Aspettava pazientemente che finisse la riunione dei docenti e poi gli avrebbe fatto assaggiare il suo prodotto.

Si concesse un'ultima volta per pensare ad Eveline. Le aveva detto che l'amava, le aveva detto quello che provava. E lei? Beh, lei si era lasciata andare ad una grassa risata isterica e gli aveva giurato che se l'avesse rivisto gli avrebbe reso la vita un inferno. Lui l'aveva lasciata stare, non per paura che la ragazza mantenesse la sua promessa, ma perché si era reso conto dei sentimenti che provava nei suoi confronti: puro odio. Se fosse stato disprezzo o disgusto, avrebbe potuto cambiare le cose. Ma l'odio? Si era arreso senza neppure aver combattuto. Sarebbe stata una guerra persa in partenza. Si lasciò andare ai ricordi.

L'aveva osservata da lontano per un po'. L'aveva amata in silenzio. Lasciando piccole tracce del suo passaggio, ma senza l'effetto sperato. Un giorno la sentì parlare con la sorella ed il padre. Diceva che sarebbe voluta andare a studiare in un'altra città, ma che fosse indecisa su quale. Quella stessa notte, Aleks, si intrufolò nella sua stanza mentre dormiva profondamente. La sua espressione era così rilassata che non potè fare a meno di sorridere. Di rimando, sorrise anche lei, come se avesse percepito il ragazzo nella stanza. Almeno, era quello che voleva credere Aleksei. In quell'istante, capì che stava perdendo il senno. Quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista.

-Hai da accendere?- una ragazza bionda, con i grandi occhi azzurri e dei vestiti troppo scollati per i suoi gusti, gli porse la mano. -Io sono Anita.- disse ammiccando. Era chiaramente interessata a lui.

-Aleks.- ma invece di stringerle la mano, le porse l'accendino.

-Sei di queste parti?- continuò la ragazza.

-No.- tagliò corto lui e si allontanò.

In Russia aveva avuto tante amanti. Ognuna di loro aveva i capelli scuri, le labbra carnose e la vita sottile.

Maledizione, le hai scopate immaginando lei, Volkov! Si infuriò con se stesso. Ogni donna con cui era stato nell'ultimo anno erano la brutta copia di Ev. Fanculo!

Un uomo di mezz'età con giacca e cravatta lo raggiunse e gli sorrise compiaciuto. Per cosa?

-Tu devi essere Aleksei.-

Era il suo contatto. Si era aspettato un ragazzo giovane, non un uomo stempiato e con gli occhiali sulla punta del naso.

-E lei è Michele.- gli porse la mano e la strinse forte.

Era magro e poco più basso di Aleks, ma risoluto e fiero.

-In zona mi conoscono in molti. Che ne dici di un giretto in macchina?- domandò il professore.

-Volentieri, ma io non conosco la città.-

-Prendiamo la mia.- le quattro frecce di una Ford grigia lampeggiarono proprio davanti a loro.

-Carina.- disse Aleks.

-Sarcasmo, ragazzo? Non è un buon inizio.- ghignò Bravo salendo sull'auto.

Aleks si sistemò sul sedile del passeggero e abbassò il finestrino per accendersi l'ennesima sigaretta.

-Non si fuma, qui, ragazzo.- lo rimproverò in tono paternalistico il professore.

Aleksei si girò in modo minaccioso verso l'uomo -Ascoltami bene, professore dei miei cogl...-

-Professore!- gridò una voce. Questa voce... -Professor Bravo, ho bisogno di parlarle urgentemente.-

Non può essere, Volkov. Sei malato.

Si voltò appena in tempo per vedere i lunghi capelli raccolti in una treccia che le sfiorava i fianchi stretti.

-Signorina Johnson, possiamo parlare domani mattina.- ordinò l'uomo, una volta abbassato il finestrino.

La ragazza si chinò in maniera pacata e sbatté le lunghe ciglia più volte. Un flebile "Per favore" le uscì dalle labbra carnose, per poi schiudersi in un sorriso che rivelava i denti perfetti. Furbetta.

Aleks sapeva che era lei dal primo istante in cui aveva sentito la sua voce. Il suo cuore cominciò a battere sempre più forte. I ricordi dimenticati del suo profumo, dei loro baci e della poca intimità avuta... Era troppo.

Doveva andarsene. Scese dall'auto in un baleno. -Professore, ci vedremo in un'altra vita.- sbatté la portiera dell'auto e si accese la sigaretta che non aveva riposto.

Destino CriminaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora