| 21. Segni del tempo |

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Tempo.
Che significava prendersi del tempo?

Non avevo mai creduto a due cose, in vita mia:
alle favole e alle pause di riflessione.
Non esisteva il per sempre, il "vissero felici e contenti", salvo qualche rara eccezione, così come non esisteva la possibilità di mettere in stand-by un sentimento.

Come si poteva dire al cuore, di battere un po meno forte, alla vista di quello che reputava uno dei motivi per cui continuava a farlo?

Come si inducevano gli occhi, a fissare un punto indefinito dell' orizzonte, per non posare lo sguardo sul vero panorama da contemplare?

Autocontrollarsi, per non inciampare nell'errore di sentire tutto troppo intensamente, sulla propria pelle.

Erano trascorse due settimane dalla finale dell'Eurovision, da quella notte di passione assoluta consumata in quell'albergo di Lisbona.
Di Ermal, nessuna traccia.
Era sparito, totalmente.
Insieme alle sue chiamate in piena notte, ai suoi messaggi, alla sua risata che riempiva qualche tassello vuoto della mia esistenza.

E non mi stupivo che la situazione fosse quella, in parte, ero stata io ad aver innalzato quel muro che adesso, ci divideva.
Io con le mie parole, lui con il suo silenzio.
Ma si sapeva, tra i due, era sempre meglio reagire spuntandosi in faccia tutto ciò che non andava, perché in quel caso si aveva la possibilità di difendersi, con ogni arma a disposizione.
Al silenzio, tagliente e deciso, in che modo si poteva rispondere?
Con altro silenzio.
Bramato, doloroso, spietato.
Non c'erano difese contro la mancanza di dialogo ed era quella che noi stavamo esercitando l'uno contro l'altro, senza un'apparente motivazione.

Eppure non sembrava esserci scampo a quella condizione, con un finale già previsto.

Quella scena, l'avevo recitata un migliaio di volte nella mia testa!
Io che mi dirigevo da lui con il mio cuore in mano e gli annunciavo i miei progetti personali e desideri comuni.
Lui che di rimando, mi guardava dispiaciuto, ma poi il suo tipico sarcasmo entrava in azione, ed io abbandonavo l'ascia di guerra, senza ottenere ciò per cui lo avevo raggiunto!

Il presupposto, era continuare ad aspettare, trascorrendo un estate separati, ognuno con i suoi propositi da portare a termine, mettendo da parte l'amore.

Il desiderio di sapere come stesse, cosa gli passava per la testa, era l'intralcio che mi impediva di metterci una pietra sopra, come avevo fatto con altre frequentazioni in passato.

La verità, era che Ermal, era diverso da tutti gli uomini con mi ero confrontata.
Era un terno a lotto, un lancio nel vuoto, una scommessa su cui puntare.
Come controbattere  un nemico di cui non conosci alcuna mossa?
Ci si poteva affidare all'intuito, all'istinto.
Ma predominava in me, il timore, di  lasciarmi ferire da qualcosa per cui perdevo il controllo.

La mia finestra aperta sulla sua vita, era Andrea Vigentini.
Dopo averlo conosciuto un po, capì che potevo confrontarmi con lui, perché conosceva bene Ermal e soprattutto, poteva riferirmi cosa stava passando a causa mia.

Sì, ero un egocentrica a credere che la sua sparizione dai social, il suo modo impetuoso di rispondere a domande pacifiche, fossero dovuti al nostro forzato distacco.
Era una misera consolazione, che non volevo mi portassero via.

Iniziai una conversazione tramite messaggi, con Andrea, quella mattina.
A Milano, splendeva uno strano sole, le temperature iniziavano ad essere più calde, la città più avvolgente nella sua totalità.

Arrivai dritta al punto focale: come stava Ermal?
Lui rispose che, subito dopo la notte della finale, aveva raggiunto Bari, dopo una breve sosta a Milano.
Voleva approfittare di alcuni giorni di stacco dai suoi impegni, per passare del tempo con la sua famiglia.

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora