| 30. Poesia senza veli {Epilogo momentaneo}

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[X] "Vuoi riallacciare i rapporti con tuo padre?" Ti chiese un giornalista albanese, uno di quelli che in Italia definiamo senza tatto.

"NO!" Rispondesti seccamente, con un accennato sorriso, che sapevo celasse un logorante fastidio.

[X] "Ci hai provato? "
Rincarò la dose di idiozia.

"No e non voglio."
Dicesti con prontezza ed educazione.

[X] "Così..Insomma.."

"Punto." Esclamasti, gesticolando davvero un punto e lanciando un'altro sorriso in faccia a quell'incompetente.

[X] "Tutto quello che provavi l'hai trasformato in musica e non lo.."

"Non perdono, non sono Dio, solo lui perdona.".

«Grazie a questa città, dove ho tirato il primo urlo della vita e poi non ho più smesso di urlare...»
Era passata qualche ora da quella affermazione.
E ora, ci trovavamo in quegli studi, con te che tenti di fuggire da quelle domande scomode e io che vorrei fermare tutto e trascinarti fuori da quel massacro a cui ti stavano sottoponendo.

Mi avevi proposto un viaggio, che era quasi una sfida, tornare per te in quel luogo tanto amato, poi tanto odiato, tanto rimpianto a volte, bramato, e osservato con nostalgia.
E non ci pensai due volte a risponderti che ti avrei accompagnato fino in capo al mondo, perché la mia vittoria più grande era percorrere la strada giusta che ti riporterà a casa, fra le mie braccia.

Quella stessa valigia piena di cambi per le evenienze, trascinata quasi per forza da Milano, mi era servita davvero.
E non per soggiornare per qualche altro giorno lì a Bari, ma per accompagnare Ermal nel suo paese d'origine, l'Albania, in cui approfittava di tornare in vista di un suo importante concerto.

Nei miei occhi, potevi trovare l'estate che ci aspettava, nonostante la tua vicinanza mi mettesse i brividi.
Nei tuoi, panorami che non vedevo l'ora di esplorare.

Avevi un espressione spenta.
Un po di ombra nello sguardo e buio pesto, nei tuoi sorrisi forzati.
Esplodevi l'ansia, chiudendoti in te stesso.
Nel tuo sole interiore soffocato da una luna storta.
Le linee del tuo volto disegnavano percorsi in cui speravi di fuggire per non affrontare la realtà.
Quella che ti saresti trovato davanti ripercorrendo attraverso dei luoghi, tutto quello che aveva devastato l'anima di quel ragazzino con i pantaloncini, apparentemente senza coraggio, ma capace di frantumare con prepotenza una collana che di magico aveva ben poco, ma di malvagio parecchio.

Tenni stretta la tua mano per tutto il viaggio, baciai i tuoi affanni, accarezzai i tuoi sospiri, calmando i tuoi timori.

«Non dobbiamo per forza passare dalla tua vecchia casa...» Dissi, per tranquillizzarti.

« Sento che tu sei quella giusta con cui farlo.» Rispondesti stringendo un po di più la mia mano.

Mi raccontasti della tua infanzia, dei pochi ricordi belli che associavi ad essa.
Il mare di Vlora, la bici rossa di tuo zio, gli amici con i quali giocavi con i dadi, eri un bambino che si divertiva con poco.
Una macchina bianca, un regalo di quando avevi 5/6 anni, che hai finito col smontare in meno di 1 ora perché eri curiosissimo di vedere come fosse fatta al interno.

«Dentro di me c'è ancora quel bambino insicuro che giocava da solo.» Dicesti come un pensiero ad alta voce, col capo appoggiato sulla mia spalla.

Non abbiamo Armi ~ Ermal Meta Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora