197 17 6
                                    

YOONGI

Ottobre 2016

Sollevai lo sguardo solo per salutare cordialmente l'uomo che si era seduto accanto a me.
Il treno viaggiava a velocità costante, al contrario dei miei pensieri che invece sembravano un fiume in piena all'avvicinarsi di un precipizio.
Ma avrei raggiunto quel precipizio, una volta arrivato a Seoul?
Emozioni contrastanti si alternavano nel mio stomaco, mentre osservavo la mia immagine riflessa nel finestrino.
Il mio viso non era cambiato di un millimetro,soltanto i miei capelli erano diventati di un nero stinto con riflessi castani, avevo rinnegato proprio tutto.
Ero stato uno sciocco egoista a pensare di poter lasciare tutto quello che avevo e tornarmene a Daegu,la mia città natale, senza tener di conto delle conseguenze.
Il perché lo avessi fatto,poi, era sconosciuto perfino a me.
Per l'ennesima volta non ero riuscito a contenere quei lati del mio carattere che tanto odiavo, aggiungendoci la mia condizione ad aumentare i danni.
Se soltanto non mi fossi arreso, proprio quando avevo qualcuno che aveva deciso di non arrendersi con me.
Invece lo avevo abbandonato. Come con tutti gli altri e me stesso.
Avevo paura. Paura di non essere in grado di rendere felice qualcun'altro, data la mia natura autodistruttiva, malata e nichilista.

Scesi alla stazione di Seoul e fui investito da una raffica di vento, una raffica di ricordi che si aggiunse al peso nel mio petto.
Vacillai per un istante, perché ero tornato? Avrei potuto forse riparare ai miei errori come se niente fosse?
Essere perdonato? Non ci speravo, ma mi dissi che dovevo almeno tentare.
Saltai su un tram, la strada era così familiare che scesi senza pensarci, proprio davanti alla mia vecchi casa.
Frugai nel mio zaino,l'unico bagaglio che avevo portato con me, e trovai le chiavi con un tasto di pianoforte rotto appeso, mi avvicinai alla porta ed entrai, trattenendo il respiro.
L'odore di polvere e legno umido era palpabile, tentai di accendere la luce nell'atrio ma sembrava rotta, così accesi la torcia e mi feci strada fino alla stanza successiva.
Una casa, quasi avesse dei sentimenti, doveva essere vissuta, e quella rifletteva pienamente tutte le emozioni che sentivo e che avevo sentito quando l'avevo lasciata.
Era impregnata di ricordi, zuppa non solo della perdita d'acqua che sembrava esserci stata in cucina e nel bagno al piano inferiore.
Salii le scale e mi ritrovai davanti alle tre porte che avevo sempre visto e che non vedevo da troppo, scelsi quella in mezzo.
Sentii dei brividi attraversarmi il corpo da capo a piedi, mi appoggiai saldamente alla porta e varcai la soglia.
Sentivo ancora il suo profumo. Non se ne era mai andato, così come la sua presenza nel mio cuore freddo.
Il mio pianoforte era ciò che ingombrava il centro della stanza. Pieno di polvere e con qualche tasto storto, ma ancora lì.
Chiusi la porta alle mie spalle e mi ci appoggiai contro, prima di avvicinarmi al vecchio strumento.
Passai una mano sulla polvere, poi sui tasti, osservai il panchetto di legno sui cui potevano star sedute due persone,stando strette, e sentii gli occhi riempirsi di lacrime che tentai di ricacciare indietro.
Mi sedetti e poggiai le dita sui tasti vuoti, aspettando chissà cosa, che suonassero da soli?
Fa minore, Re bemolle,Fa minore, Do minore, Re bemolle.
Soltanto iniziare quella canzone diede come un via libera alle lacrime.
Fa minore, Do minore, Si bemolle...
Mi fermai e mi asciugai le guance con il dorso della mano.
Mi alzai e aprii la finestra che dava sulla strada, mi sedetti per terra, tirai fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette e ne accesi una.
Per un attimo visualizzai una scena: lui che mi rubava la sigaretta dalle labbra e mi offriva un lecca lecca al limone.
Mi ritrovai a sorridere.
Mi morsi l'interno della guancia, spensi la sigaretta e la lanciai fuori dalla finestra.
Accarezzai alcuni dischi che avevo volontariamente abbandonato nella mia vecchia libreria che ormai cadeva a pezzi, erano le canzoni che gli avevo insegnato con pazienza nell'arco di un anno.
Ne scelsi uno a caso e lo feci partire, dopodiché mi distesi sul divano letto appoggiato alla parete vuota, chiudendo gli occhi, pian piano, senza accogermene.

Iniziai a sognare.
Intorno a me, il buio.
Camminavo su una strada asfaltata vuota,mi sentivo come ubriaco.
Giunsi alla vetrina di un negozio di musica, senza esitazione raccolsi un mattone da terra, comparso dal nulla, e lo lanciai contro la porta di vetro facendo scattare l'allarme di cui non mi curai.
Entrai calpestando i vetri rotti e mi sedetti davanti al pianoforte, era bellissimo, di legno abbastanza chiaro.
Iniziai a suonare una melodia indistinta; non so per quanto vi rimasi, ma presto mi alzai di nuovo e mi allontanai dal negozio, senza motivo.
Percorsi pochi metri che fui accecato da dei fari accesi, una macchina stava per travolgermi, ma la schivai.
Quella sfrecciò a dritto, finché non sentii un rumore assordante.
La paura colmò il mio petto, corsi nuovamente verso il negozio e vi trovai la macchina, non si era fermata.
Tutto era in fiamme, la vetrina sfasciata quanto la e il pianoforte che, intanto, prendeva fuoco.
Le lacrime mi riempirono gli occhi, guardai il mio amore bruciare davanti a me, senza poter fare niente, caddi in ginocchio sull'asfalto e mi portai le mani ai capelli. Urlai.

Mi svegliò uno strano rumore che realizzai solo dopo qualche secondo essere la suoneria del mio cellulare.
Dallo spavento rotolai giu dal divano, finendo a terra.
Afferrai il cellulare, mi stropicciai gli occhi confuso e guardai la schermata con sguardo vacuo.
Il cuore iniziò a battere più forte non appena lessi il nome sullo schermo.
Jung Hoseok.
Risposi, mi tremava la mano.
Sentii la voce familiare del mio amico dall'altro lato, ma non era allegra come lo era sempre stata.
-Jungkook ha avuto un incidente 8 mesi fa Hyung, tu lo sapevi?-
Sentii il mio cuore cessare i battiti.

I need U (IN PAUSA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora