capitolo 3

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Un'altro giorno è iniziato e mi aspetta lo stesso inferno che ho vissuto ieri. Non ho avuto la forza di cenare, di nuovo, e non sono riuscita a fare i compiti che dovevo fare. Ho dormito solo 3 ore e mi sento più stanca che mai. Si è fatto anche tardi e ho infilato la prima cosa che ho trovato nell'armadio, tra l'altro sempre troppo grande per il mio corpo che sta svanendo ogni giorno di più. Si vedono le costole, una ad una, e le mie braccia non hanno la forza di reggere niente, proprio come le mie gambe che a stento mi tengono in piedi. Non riesco ad uscirne, ci sono entrata così facilmente ma uscirne sembra troppo, davvero troppo.
Per la fretta mi precipito alla fermata dell'autobus e non saluto nemmeno mia zia, cosa di cui sono felice, non ce la faccio a sentire i suoi discorsi moralisti sul cibo, sugli amici e su qualsiasi altra cosa. Vuole aiutarmi, così mi dice, ma non sa che in questo modo mi fa sentire peggio. Io non riesco a mangiare, non riesco a parlare con gli altri, non riesco nemmeno più a fingere di farlo. Con le sue stupide parole mi sento ancora più inutile, capisco ancor di più quanto quella stupida vocina nella mia testa che dice di non mangiare, che mi fa sussultare ogniqualvolta qualcuno mi parla o mi tocca, stia prendendo il sopravvento su di me. Vorrei fermarla, vorrei darle meno spazio nella mia testa, vorrei riuscire a non ascoltarla ma non ci riesco, non riesco più a fare nulla.
"Sono davvero troppo stanca" sussurro a me stessa mentre sono seduta sulla panchina, con le lacrime che scendono dagli occhi una dopo l'altra.
"Non riesco neanche più a piangere, mi fanno troppo male anche gli occhi" dico tra me e me. Mi asciugo le lacrime velocemente all'arrivare dell'autobus e non appena si ferma salgo e mi siedo nello stesso posto di ieri. Sto cercando di non piangere, di non singhiozzare troppo forte per non farmi sentire ed è forse questo che mi fa stare più male. Non posso far sentire a nessuno il mio dolore, non posso neanche tirarlo fuori, tutti me ne farebbero provare solo di più.
Si, ieri ho cercato di farmi uno di quei discorsi motivazionali ma con davvero scarsi risultati, oggi sono punto e daccapo, come sempre d'altronde. Farò come mi sono detta di fare fin dall'inizio, cercherò di passare inosservata e non dare confidenza a nessuno, partendo da quelle tre ragazze di ieri. Noah non credo sia un problema, dopo ieri sicuramente mi avrà presa per pazza e non mi rivolgerà neanche una parola, e poi oggi non ha nemmeno preso l'autobus.
Appena l'autobus si ferma, stesso rito di ieri: tolgo le cuffiette, le metto in tasca, mi alzo ed esco. Penso che da oggi in poi sarà tutto così monotono e forse non mi dispiace nemmeno.
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Tutto ad un tratto, mentre cammino per i corridoi della scuola, la mia testa inizia a girare vorticosamente e le mie gambe non reggono tanto da farmi cadere per terra. Due secondi dopo, tutto nero.
Mi sono risvegliata a casa, non so quanto tempo sia passato, ne come io ci sia arrivata. Il mio cuore sta battendo troppo velocemente, le mie mani tremano e il mio corpo sta iniziando a sudare freddo: un altro attacco di panico. Mentre cerco di tranquillizzarmi facendo dei grossi respiri sento qualcuno discutere fuori dalla mia porta:
- "Sapevo sarebbe andata così! Non dovevi lasciarla andare a scuola, doveva restare a casa! Non voglio avere sulla coscienza la figlia di Andrew!"
- "Senti Tom, calmati prima di tutto. Doveva tornare a scuola, non poteva continuare così. Non mangia, a stento beve, pensavo sarebbe stata la scelta migliore mandarla tra la gente".
Tom, il caro vecchio zio Tom. L'imprenditore che non è mai a casa, quello che nemmeno per Natale si è fatto vivo. Dovrei forse sentirmi onorata? Mi chiedo sarcasticamente.
Non voglio sentire più una parola su di me, non sanno cosa sto passando,probabilmente non conoscono nemmeno la metà di quello che ho passato. Non volevo arrivare a questo punto, ma ora ci sono e non mi rimane che affrontare la realtà. Sicuramente li ho messi davanti ad una vita non troppo semplice ma d'altronde il loro unico problema sono io mentre a pensarci i miei problemi partono da me ma arrivano fin troppo lontano. Quella che vivono loro è solo una piccola parte di ciò che ho dentro. Spero saranno clementi, non voglio che mi facciano del male anche loro. Voglio solo che qualcuno mi ascolti, mi abbracci, mi faccia sentire meno sola.

Non ora ma domaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora