Beth
Gli occhi mi bruciavano per la quantità di lacrime versate, inutilmente. Quando Monica mi aveva trascinata di nuovo in quella sottospecie di cella, ancora confusa e tremante, non era stata per niente gentile: mi aveva lasciata al centro della stanza, in ginocchio sul pavimento, e se n'era andata senza degnarmi nemmeno di uno sguardo. Scossa, avevo gattonato come una bambina che sta per compiere i primi passi fino ad un angolo della cella, mi ero rannicchiata ed avevo lasciato fuoriuscire tutto il panico e il dolore attraverso le lacrime. Era passato un tempo decisamente lungo, probabilmente ore che corrispondevano ad una lunga notte, quando la porta di accesso alla cella emise un suono meccanico e si sbloccò, lasciando accesso a chiunque volesse. Con il respiro ancora spezzato, alzai lo sguardo su di essa ed aspettai, priva di qualsiasi forza anche solo per provare a scappare.
«C'ho ripensato, Betty. Non sei ancora pronta.» la ormai familiare voce maschile mi fece alzare di scatto lo sguardo verso la telecamera, confusa da quelle parole. Poi però Monica varcò la soglia, accompagnata da una guardia, ed io compresi alla perfezione quello che mi aspettava. Provai a prendere di nuovo il controllo di me stessa, scacciando il panico con profondi respiri, e quando la guardia fu abbastanza vicina e protesa verso di me per tirarmi su, gli afferrai entrambi i polsi con le mani e piazzai un potente calcio al cento del suo stomaco. La guardia strabuzzò gli occhi e la bocca per il dolore, ma non mi fermai: lasciai andare le mani ed afferrai una caviglia, tirai quanto più potevo e lo spedii al tappeto. Mi tirai su, un po' traballante per le poche forze, e mi concentrai su Monica, che però non si era mossa di un solo passo. La fissai per qualche secondo e feci incontrare i nostri sguardi, probabilmente fu quello il momento esatto in cui mi fregai: qualcosa serrò la mia gola in una stretta morsa da cui non potevo liberarmi, e per quanto provassi a respirare nemmeno un filo d'aria arrivava ai miei polmoni. In pochissimo tempo, il viso mi era diventato paonazzo ed ero crollata in ginocchio; nel frattempo la guardia si era ripresa e, mormorando qualcosa tra se e se, si avvicinò. Mi afferrò entrambi i polsi e me li posizionò dietro la schiena, poi li legò stretti tra loro e solo quando si fu assicurato che non potevo liberarmi, l'aria tornò d'improvviso ad inondare le mie vie respiratorie.
«Provaci ancora,» mormorò Monica, sempre rigida nella stessa posizione «e potrai dire addio alla tua squallida vita.» aggiunse subito dopo, dandomi le spalle. La guardia mi afferrò per i gomiti e mi tirò su, poi mi trascinò con se in corridoio. Mi dimenai, nonostante le poche forze, e provai a puntare i piedi a terra, per arrestare quella che mi sembrava una vera a propria camminata verso il patibolo. Quando ci fermammo davanti alla doppia porta, scossi il capo e gli occhi mi si riempirono di lacrime. Non ero spaventata dal dolore, anche se era davvero insopportabile, ma da quello che mi avrebbe portato via.
Non volevo dimenticare quei mesi passati al complesso, ne volevo tornare alla mia vecchia e ancora sconosciuta vita.
La porta si aprì, rivelando la stessa stanza del giorno prima, e si richiuse alle nostre spalle, ovattando il grido disperato che lanciai quando, con movimenti veloci e senza guardarmi negli occhi, la guardia mi legò di nuovo alla sedia.
«Perché lo fate?» chiesi a Monica, quando si avvicinò per applicarmi quelle che avevano tutto l'aspetto di ventose. Si chinò su di me e fece spallucce, poi si fermò a guardarmi negli occhi.
«Perché questa non sei tu. Non siamo noi i cattivi, Elizabeth. Un tempo eri tu stessa a dirlo.» disse e mi diede le spalle. Quando si girò di nuovo verso di me, stringeva tra le mani il paradenti. Scossi il capo e il respiro accelerò d'improvviso, mentre dentro di me si faceva spazio il panico. Sentivo un vuoto allo stomaco e il cuore che batteva all'impazzata nel petto, così serrai le labbra e scossi il capo.
«Mordi, Betty.» ordinò la voce maschile, fuoriuscendo come sempre dagli altoparlanti. Scossi il capo e lui sospirò.
«Monica!» ordinò, e prima che potessi anche solo ripensarci fui scossa da una profonda fitta di dolore proprio all'altezza della bocca, che si spalancò per gridare. Monica mi afferrò il mento e spinse con forza il paradenti nella mia bocca, lo sistemò con impazienza e si allontanò. Serrai gli occhi, ma non fui comunque preparata alla scarica elettrica che mi attraversò, facendomi sobbalzare sulla sedia e piangere, senza controllo. 'Ti prego...' pensai, mentre provavo a rifugiarmi nel calore dei ricordi. Eppure, afferrare le immagini di quella mattina diventava sempre più difficile, ogni attimo che passava.
Una parte di me si arrese, troppo stremata per resistere a quelle scariche, e così mi abbandonai contro lo schienale della sedia mentre il dolore mi spezzava in due, mentre l'elettricità mi scivolava sotto la pelle e faceva vibrare ogni mio muscolo. Prima di perdere i sensi, uno stralcio di conversazione raggiunse le mie orecchie:
«... il trattamento, puoi ricominciare.» disse la voce maschile, ma non riuscii a sentire la risposta di Monica. Scivolai nel buio, e quando riaprii di nuovo gli occhi ero di nuovo nella mia cella, distesa sul letto scomodo e decisamente piccolo, con una flebo attaccato al braccio. Il liquido violaceo non prometteva niente di buono: denso e scuro, scivolava silenzioso verso la mia vena. Per un attimo, pensai di strappare via tutto, ma alla fine decisi che non era un'idea poi così buona.
«Cos'è?» chiesi, perché sapevo bene che qualcuno era all'ascolto. Ci fu il solito rumore di microfono, proprio come mi aspettavo.
«Chiamiamolo aggiornamento, ti va?» domandò la voce maschile, facendomi inarcare un sopracciglio.
«Di cosa?» chiesi ancora, alzando lo sguardo verso la telecamera. Ovviamente, non ricevetti risposta, ma decisi comunque di tenere la flebo. Qualcosa, nel profondo, mi diceva che mi sarebbe tornato utile, più avanti, e decisi che fidarmi del mio istinto poteva essere una buona idea.
STAI LEGGENDO
Soldier. |Bucky Barnes/Avengers FanFiction|
FanfictionBucky non era l'unico. Altri esperimenti erano stati fatti, altri erano venuti dopo di lui, ma nessuno di quelli era sopravvissuto. Col passare del tempo, l'Hydra era stata totalmente smantellata e ogni documento era stato distrutto da Captain Amer...