Era stato tutto così confuso. Così reale.
La sua bocca che la cercava, famelica, possessiva. Le mani che si erano posate prima sul viso, poi sulle spalle, poi in una ricerca spasmodica sul suo corpo. Il suo respiro che le sfiorava la pelle, che le riempiva le orecchie. Il suo odore, saliva e sudore. E il bisogno di sentirlo sulla pelle. E il desiderio. E lei non aveva mai saputo cosa fosse, il desiderio.
Si era ritrovato a spingerlo istintivamente contro di lei, ad attirare ancora le sue labbra in un bacio, gli occhi chiusi stretti e la ragione messa da parte per un po'.
Ed era stato solo dopo, quando Meyer si era sollevato dal suo corpo e si era appoggiato sui gomiti per cercare il suo sguardo, che si era resa conto di dove fosse.
Il piccolo appartamento di Meyer. Quadri, libri, cose sistemate in ogni angolo. Tende pesanti alle finestre.
E Meyer lì, i loro corpi ancora intrecciati, lo sguardo impossibile da decifrare.
«Ho sbagliato?», le aveva chiesto.
Gerda aveva scosso la testa, aveva sollevato una mano a sfiorargli il viso - una piccola cicatrice sulla guancia, ricordo di qualche malattia d'infanzia, che notava per la prima volta nella penombra di quel pomeriggio estivo.
«Sicura?».
«Sì. Lo volevo anch'io.»
Meyer aveva raccolto il lenzuolo dal fondo del letto e glielo aveva sistemato addosso. Aveva tirato su uno dei cuscini e si era seduto appoggiato contro la parete.
«Pentita?», le aveva chiesto. Aveva preso dal tavolino accanto al letto la scatola del tabacco e si era preparato una sigaretta.
«No».
«Sei di poche parole», aveva osservato Meyer. Aveva sfregato un fiammifero contro la parete - una infinita serie di segni rossastri, del tutto simili a un intricato mosaico, a testimonianza di quanto questo fosse un gesto consueto. «Vedi, la società borghese cresce le donne nella convinzione che il piacere sia una cosa sbagliata. Il peccato è un'invenzione meschina: serve a controllare le masse. Il controllo passa per la manipolazione delle pulsioni».
Gerda si era sistemata il lenzuolo addosso. Le parole di Meyer l'avevano colpita, in un certo senso.
Non aveva mai dato a quello - l'atto che, nella sua mente, nemmeno aveva un nome - alcun significato. Era parte del suo essere moglie, questo sì. Era qualcosa a cui doveva prestarsi, uno scambio tutto sommato equo che le garantiva una vita serena. Nulla di romantico, niente di sensazionale.
Nel tempo aveva smesso di sentirsi in colpa nei confronti di se stessa. Non aveva più sentito il senso di vuoto e smarrimento delle prime volte, quando si era resa conto di quanto in realtà il gesto fosse insignificante. Non che le piacesse, non che fosse lei a cercarlo, ma non le dispiaceva - ed era abbastanza certa che non fosse sconveniente, così, per una donna.
Con Meyer, però, era tutto diverso. Nulla la infastidiva, nemmeno la sensazione di aver addosso, ancora attaccato al suo corpo, l'odore del suo sudore. Anzi. Le piaceva.
Si era rannicchiata su un fianco per averlo più vicino. Si sentiva le gambe molli, stanche. Un fremito, ancora, le ricordava cos'era appena avvenuto. Mai avrebbe creduto che potesse essere così. Mai.
Era questo, dunque, che doveva essere.
Riprendere fiato e rimettere in ordine i pensieri, a occhi socchiusi, il corpo di Meyer ancora mescolato al suo. Quella sensazione di pigra soddisfazione, di caldo abbandono, e quel desiderio di averne ancora.
Si era resa conto soltanto in quell'istante che Peter non le avrebbe mai dato quello. Ma era un ragionamento ingiusto, e lo sapeva lei per prima.
Aveva riaperto gli occhi, e si era trovata davanti il viso teso di Meyer. La fissava, la scrutava.
«Ho fatto qualcosa che non volevi? Che non ti sentivi pronta a fare?», aveva domandato, a bassa voce.
Gerda si era sforzata di sorridere. Gli aveva preso una mano, l'aveva portata contro il suo viso. «No. È che non pensavo», aveva detto, e si era accorta di non avere le parole che servivano per spiegarsi, «non pensavo a questo».
Meyer aveva spento il mozzicone della sigaretta in un piattino ed era tornato a stendersi accanto a lei. Le aveva passato un braccio intorno alla vita. «È sempre estremamente interessante cercare di spiegarsi perché nella quasi totalità delle società moderne la donna abbia un ruolo sottomesso», le aveva detto.
«In Germania possiamo votare, cosa che altrove non succede. Siamo abbastanza emancipate, direi», aveva osservato Gerda, grata di aver cambiato argomento.
«Sei fuori strada, temo», aveva ribattuto Meyer. «Il voto è un palliativo. Ma, attualmente, suppongo che valga lo stesso anche per gli uomini».
Gerda non era certa di aver capito. E Meyer aveva lasciato cadere l'argomento. L'aveva stretta a sé, aveva cercato di nuovo le sue labbra, e non c'era stato più molto da dire.
***
«Com'è andata oggi?», le aveva chiesto Peter, non appena aveva varcato la soglia del negozio.
«Bene», aveva risposto.
Mentire era facile.
Questo aveva pensato, mentre - le mani che tremavano appena - si legava il grembiule bianco dietro la schiena.
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Gerda
Historical FictionLa storia di Gerda, a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, si intreccia a quella della Germania nella transizione tra la Repubblica di Weimar e l'ascesa al potere di Adolf Hitler: un mondo che cambia, un'ideologia che si impone, una società...