Chi è Adolf Hitler?
Gerda, a dire il vero, non lo sapeva.
Non sapeva nulla di quanto c’era scritto su quel volantino.
Non ne aveva mai sentito parlare, prima di quel momento; e, a voler essere sincera, trovava tutti quei richiami al patriottismo – un eroe che si è sacrificato molte volte per la Germania! – decisamente fuori luogo. La guerra, ormai, era finita, e da tanto. Inutile continuare a parlare di chi l'aveva combattuta.
Non era abituata a mettere in discussione ciò che veniva dall’alto. Certo, c’erano state cose discutibili. Cose decisamente discutibili. L’occupazione francese della Ruhr, tanto per fare un esempio – evento forse trascurabile, nella storia globale del mondo, ma che aveva, in un complesso gioco di cause e conseguenze, portato gli Heine-del-carbone a diventare gli Heine-della-sarta. Eppure, per quanto potesse sembrare semplice limitarsi ad accusare chi aveva il potere di decidere, cosa avrebbe potuto fare Ebert? Soldi per pagare le riparazioni di guerra, oggettivamente, non ce n’erano. E non ce n’erano nemmeno per comprare il pane, o per continuare a stampare valori ogni giorno diversi sui francobolli, o nuove banconote con qualche zero in più. Era una cosa inevitabile.
E se il governo di Von Hindenburg aveva deciso di non consentire a questo Eroe della Nazione di tenere comizi in pubblico, se lo aveva arrestato perché sovversivo, doveva esserci una ragione.
«Lei sa chi è Adolf Hitler?» le aveva chiesto un ragazzo con una divisa scura.
Gerda aveva scosso la testa. «Mai sentito».
«Glielo dico io, allora! Lei sa che Adolf Hitler è stato arrestato perché tutti quelli che sono in alto, sa, quelli che si dicono democratici e sono in Parlamento, hanno paura di lui? Perché lui ha il coraggio di dire la verità. Dice che tutto quello che è successo dal 1914 in poi – la guerra, la grande menzogna con cui le potenze imperialiste hanno deciso di portarci via tutto e lasciarci alla fame, costretti a pagare debiti impossibili per il solo scopo di annientarci – tutto questo, signorina, è successo perché siamo asserviti al capitalismo, alle forze imperialiste, e ai grandi banchieri ebrei!»
Gerda non capiva molto di economia. Aveva letto i quotidiani, come quasi tutti, e si era fatta un’idea – forse vaga – di come fossero andate le cose. Non sarebbe stata in grado di associare lo scorrere temporale e logico degli avvenimenti a schemi, per quanto accennati, o a teorie economiche di questo o di quel tipo.
«I banchieri ebrei?», aveva chiesto, solo perché era l’ultima cosa che era stata detta, e le era rimasta impressa.
«Tutti i soldi del mondo, quelli delle persone che contano, sono in mano ai banchieri ebrei! Loro decidono a chi darli e a chi prenderli, loro decidono chi diventa ricco e chi fa la fame! La ricchezza di tutta l'Europa è concentrata nelle mani di pochi, che decidono tutto, la pace, le guerre, le crisi, la disoccupazione e tutto il resto!»
Gerda aveva fissato il ragazzo in divisa, divisa a metà tra scetticismo e stupore. «Esistono davvero cose simili?»
«Certo, certo! E me lo lasci dire: non dimentichi che presto si tornerà al voto. Adolf Hitler si candiderà per il partito Nazionalsocialista dei lavoratori, per l’interesse suo, mio, e di tutti quelli che sono costretti a lavorare sodo per mangiare, non come i banchieri ebrei!»
Gerda aveva annuito, poco convinta. Il ragazzo si era già spostato, senza nemmeno salutarla; stava parlando adesso con un giovane in bicicletta.
«Lei sa chi è Adolf Hitler?»
Gerda continuava a rigirarsi il volantino tra le mani, senza sapere esattamente cosa farne. Le giungeva qualche parola della discussione che il ragazzo in divisa stava intrattenendo con quello in bicicletta: i banchieri ebrei, ancora, il partito nazionalsocialista dei lavoratori. Le era sfuggito un mezzo sorriso – avrebbe votato, anche quella volta, come sempre aveva fatto da quando la sua opinione di donna sembrava avere un valore, ovvero affinché nulla cambiasse e si mantenesse lo status quo che, nel bene o nel male, già conosceva.
«Lo dia pure a me», aveva detto una voce.
Il ragazzo con la bicicletta la guardava, un'espressione cordiale.
«Cosa?» aveva chiesto, e si era sentita una sciocca – ma aveva, come talvolta le accadeva, parlato senza riflettere.
L'altro aveva dischiuso le labbra in un sorriso. «Il volantino».
Ed era un bel sorriso.
Gerda aveva allungato il braccio, meccanicamente. Il ragazzo aveva preso dalla sua mano il volantino e lo aveva appoggiato nel cestino sul portapacchi, dove teneva dei sacchetti di carta grezza.
«La carta torna sempre utile per incartare lo zucchero, sa».
Gerda aveva riso. «Ha ragione».
Si erano guardati, lei e il ragazzo.
«Lei sapeva chi fosse Adolf Hitler?», le aveva chiesto, con un sorriso.
Ed era un bel sorriso.
Gerda aveva scosso la testa. «No, davvero. Lei?»
«Mai sentito. Ne esce ogni volta uno, come i partiti».
Gerda aveva riso di nuovo. «Proprio così».
Il ragazzo aveva sorriso. Aveva allungato una mano. «Peter Schneider», aveva detto.
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Gerda
Historical FictionLa storia di Gerda, a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta, si intreccia a quella della Germania nella transizione tra la Repubblica di Weimar e l'ascesa al potere di Adolf Hitler: un mondo che cambia, un'ideologia che si impone, una società...