Prologo

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Tutto é cominciato in prima elementare.
Il primo giorno di scuola.
Ricordo di camminare tranquilla verso la mia aula dopo aver salutato mia mamma quando sento dei bambini prendere in giro qualcun altro.
Avrei potuto ignorare la cosa come tutti d'altra parte, ma la curiosità ebbe la meglio e mi diressi verso la direzione del casino e quando arrivai sul posto trovai una scena molto che all'epoca definii molto triste. Dei ragazzini probabilmente della quarta o della quinta elementare avevano messo all'angolo un bambino e a giudicare dal colore scuro della sua pelle non era difficile capirne il motivo. Gli insulti non tardarono ad arrivare e io non potevo assistere a quella scena senza fare nulla, ma dentro di me avevo anche tanta paura. Paura di quei ragazzini più grandi che avrebbero potuto far del male anche me. Peró c'é una cosa che i cartoni mi hanno sempre insegnato: essere sempre altruisti e aiutare chi ne ha bisogno. Così affrontai la situazione forse nel modo sbagliato, ma volevo solo aiutare quel bambino.
Silenziosamente entrai in aula e i ragazzini non potevano vedermi perché mi davano le spalle. Su un banco c'erano dei portacolori e ne afferai uno lanciandolo con quanta più forza sulla testa del più grosso. Lui si giró di scatto con uno sguardo così pieno d'odio da non sembrare neanche un bambino che va ancora alle elementari. I suoi compagni fecero lo stesso: in tutto erano quattro. Si voltarono verso di me lasciando cadere l'attenzione che avevano prima sul bambino e cominciarono ad avanzare minacciosamente. Dentro di me morivo dalla paura e mi si accapponó la pelle, ma prima si darmela a gambe ebbi il coraggio di lanciare un altro portacolori in faccia al ragazzino facendolo incavolare ancora di più. E poi ricordo solo di essere stata invasa dalla paura e di correre a perdifiato fino al bagno delle bambine dove mi ci chiusi a chiave. In un certo senso mi ero intrappolata sola, ma ero a corto di fiato e pensavo che il bagno femminile mi avrebbe protetto: nulla di più sbagliato.
"Apri la porta, stronzetta" sentii uno di loro urlare e poi un forte calcio alla porta.
Ebbi paura che la porta non avrebbe resistito e cominciai a guardarmi intorno per trovare una soluzione e individuai una finestra sopra il gabinetto. Era abbastanza grande perchè io potessi passarci e cominciai a salire sul water.
Qualche minuto dopo ero fuori che correvo come una pazza verso l'ufficio della preside, ma appena arrivata davanti alla porta mi scontrai con qualcun altro e guarda un pó: era il bambino che avevo "difeso" se così si poteva definire ció che avevo fatto.
"Che male" dissi una volta che mi rimisi in piedi.
"Grazie" disse il bambino riconoscente sfoderando un sorriso sincero.
"Ma figurati. Quei cretini sono cretini e basta" dissi imbronciandomi.
"Ti hanno fatto del male?" chiese lui preoccupato.
"No, sono riuscita a scappare"
"Io sono Jake" disse lui porgendomi una mano come fanno gli adulti e me venne da ridere.
"Io sono Amber" dissi abbracciandolo. Non avrei potuto stringergli la mano: sarebbe sembrato così strano e formale.

Quel giorno segno l'inizio della nostra indissolubile amicizia. O almeno era ció che pensavo. Ho passato nove anni della mia vita con Jake. Ci siamo visti crescere, maturare, cambiare i nostri interessi. E pensavamo che sarebbe stato così fino alla fine, ma alla conclusione del primo anno di liceo mia mamma mi diede una notizia che avrebbe sconvolto irreparabilmente il mondo perfetto in cui avevo vissuto fino ad allora. Prima della fine di quell'estate avrebbe portato me e i miei fratelli lontano da New York per vivere a San Diego.
Non era un segreto che i miei non andassero d'accordo giá da tempo e mi aspettavo il divorzio, ma la reazione di mia madre fu fin troppo esagerata: cambió stato pur di non stare vicino a mio padre. Non città, non distretto. Stato.
E non pensó alle conseguenze che quest'azione avrebbe avuto su di me e i miei fratelli. Un cambio così repentino a 14 anni mi scombussoló non poco facendo crollare come prima cosa l'amicizia che avevo con Jake. Poco tempo riuscì a sgretolare tutto ció che avevamo costruito in nove anni.
Oggi mi trovo in un aereo con i miei fratelli di ritorno a New York. E questa volta spero per sempre.

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