sei.

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Anisah Seddik si fissò le unghie per l'ennesima volta, trovandole ancora tagliate corte e pulite come lo erano anche un minuto prima e quello prima ancora.

Suo marito Giulio ogni volta insisteva per recarsi senza essere accompagnato nello studio dello psichiatra, ma era da quasi trentacinque anni che non gli dava retta e non avrebbe certamente iniziato a farlo proprio ora, quando lui aveva più bisogno di lei.

Non avrebbe mai pensato di diventare lei la stampella del suo consorte. La roccia radicata a terra, sopravvissuta alla tempesta, leggermente ammaccata ma ancora integra.

Giulio l'aveva salvata sotto così tanti punti di vista, l'aveva presa per mano e le aveva donato una vita che altrimenti avrebbe potuto difficilmente anche solo sognare.

Probabilmente avrebbe combinato comunque qualcosa, Anisah non era certo una donna facile da abbattere e mettere a tacere in un angolo. Ma senza Giulio alla fine avrebbe abbassato la testa e si sarebbe arresa al destino che la sua famiglia e la sua educazione avevano previsto per lei.

Era una donna pakistana immigrata diventata cardiochirurgo, l'unica del suo ospedale. Era una moglie, una madre, una docente universitaria. Ogni mattina si alzava, preparava i medicinali e i vestiti per il marito in pensione, si truccava per nascondere le occhiaie e partiva per turni massacranti di più di dodici ore.

Non era sempre stata una macchina da guerra ben oliata e progettata per resistere agli attacchi più violenti. Lo era diventata con il tempo, ce l'aveva fatta diventare la vita. Il ricordo della sua infanzia, il razzismo, l'assenza di meritocrazia, il maschilismo, la perdita di Abel. La sua corazza era diventata sempre più stratificata ed impenetrabile, isolando sempre più il suo cuore dal mondo esterno.

Pensava ad Adam e lacrime di frustrazione le bagnavano gli occhi di fronte alla propria incapacità di urlare a piena voce a quell'unico figlio che le era rimasto quanto disperatamente lo amasse, quanto fosse fiera dell'uomo adulto che era diventato, quanto apprezzasse tutto ciò che faceva per suo padre, per alleviare a lei il carico di responsabilità.

Non era sempre stata così, Giulio era colui che più di tutti lo sapeva. Quando l'aveva conosciuta lei frequentava una classe avanzata di alfabetizzazione e tendeva a non fissare mai negli occhi il proprio interlocutore. Lo sguardo perennemente calamitato verso il basso, verso il suo quaderno dove si allenava a scrivere temi e coniugare i verbi al congiuntivo.

Che io ami
Che io abbia amato
Che io amassi
Che io avessi amato

E lì, le braccia cariche di volumi di grammatica italiana delle scuole medie e la fronte imperlata di sudore, Anisah lo aveva visto per la prima volta. Un giovane Giulio, con gli occhiali storti sul naso e un sorriso impacciato rivolto a tutti e a nessuno. Poco dopo si era messo a distribuire i libri banco per banco mentre si presentava e spiegava cosa fosse successo alla signorina Agnese.

L'aveva notata tra tutti quegli studenti per la sua mano perennemente sollevata in aria, la sua inesauribile curiosità e la sua testardaggine nel voler imparare l'analisi del periodo nonostante essa esulasse dal programma stabilito.

Erano trascorsi tantissimi anni e ormai solo il nome di Anisah e il colore della sua carnagione tradivano la sua provenienza. Il suo italiano perfetto, accompagnato da una dizione da manuale priva di accento regionale, sorprendeva sempre le persone.

Aveva adorato quella lingua difficile che era l'italiano fin da subito, così come le era piaciuto iniziare a fermarsi sempre più a lungo con Giulio alla fine delle lezioni con il pretesto di fare ancora un po' di esercizio o di chiarire qualche dubbio.

Ai tempi Giulio studiava ingegneria meccanica e ogni tanto dava una mano alla cooperativa sociale di sua madre. Era stato incastrato in quel corso dalla scelta improvvisa della signorina Agnese di fuggire con il suo spasimante per andare a sposarsi in Francia e dal panico di sua mamma di fronte ad un corso con cinquanta studenti sprovvisto di docente.

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