due.

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Quando riuscì a staccare erano già le 2.37, Fil l'aveva cacciata a dormire assicurandole che avrebbe finito lui di pulire il locale. Lea si augurò lo facesse sul serio e accuratamente perché non aveva le forze per stare a sentire le lamentele di Gaia.

Raggiunse la sua automobile, un leggero stato di brina a ricoprirne il parabrezza. Salì e azionò il dispositivo di riscaldamento, rivolgendo le bocchette che immettevano aria calda nell'abitacolo verso il vetro. Approfittando del tempo di attesa recuperò il proprio telefono e, senza badare alle notifiche già presenti, azionò il tasto di chiamata rapida.

Erano le 2.44 e Lorenzo aveva preso sonno da poco, quando l'insistente vibrazione del proprio cellulare lo svegliò. Maledì la promessa fatta di non spegnere mai quell'aggeggio diabolico e allungò un braccio per recuperarlo e rispondere.

«Dimmi», alitò assonnato.

Lea fece un respiro profondo. «Ciao, sono la tua cara amica Lea che lavora al Circolo dove si è rotto un computer», cinguettò fingendo un tono di voce spensierato e gaio. Non sapeva neanche più cosa significasse essere spensierati, figurarsi gai.

«Vedo che hai conosciuto Adam.»

«Adam? ... Già!»

«Non dirmi che non gli hai neanche chiesto come si chiamasse!»

«Cosa importa? In un modo o nell'altro ora so comunque come si chiama. Una notizia superflua che non cambia il fatto che tu gli hai parlato di me. Cosa gli hai raccontato?»

«Cazzo, Lea! Passiamo insieme la metà del nostro tempo libero, posso almeno dire il tuo nome ai miei amici? O devo inventarmi una ragazza che non ho o uno sport che non pratico per nascondere la tua persona? Lo sai che non racconterei mai nulla a nessuno, lo sai! Non spetta a me e comunque nessuno fa domande e se dovessero sai perfettamente quanto poco mi piace parlare di ciò. Eravamo coinvolti entrambi, non tornare ad essere egoista come nei primi tempi. Il dolore non è solo tuo, lo condividiamo tutti. Ti chiami Lea, sei mia amica e lavori al Circolo. Sono tre dati di fatto. Nulla di più. Ora chiedimi scusa, grazie», sbottò incazzato.

Lea sentì di avere commesso l'ennesimo torto nei confronti di Lorenzo, l'unica persona che gli era rimasta. L'ultima.

«Sai che non lo farò..», borbottò lei, incapace di chiedere perdono.

Un sospiro giunse dall'altro capo del telefono. «Posso tornare a dormire ora?»

«Puoi.»

«'Notte, Lea», bisbigliò prima di chiudere la comunicazione.

Il giorno successivo aveva lezione molto presto e così, senza aspettare che il vetro si fosse completamente spannato, partì in direzione della periferia sud della città.

Le strade erano buie e deserte, l'asfalto bagnato luccicava alla luce giallastra dei lampioni accesi. Nella fretta si era dimenticata il suo basco in lana al Circolo e i guanti erano rimasti nella borsa, e così ora si ritrovava a stringere il volante gelato in attesa che l'abitacolo diventasse confortevole e il suo corpo potesse così assorbire un po' di tepore.

I parcheggi scarseggiavano sempre e i pochi posteggi disponibili di fronte al palazzo di Lea erano oggetto di furiosi liti condominiali che vedevano tutte come unico bersaglio il malcapitato amministratore. I garage sotterranei erano assegnati, un posto auto per appartamento, ma la maggior parte degli inquilini consisteva in coppie o famiglie che possedevano più di una macchina. Le riunioni semestrali si ripetevano ogni anno sempre uguali, con male parole che volavano a destra e manca, minacce che non sarebbero mai state attuate e i deboli tentativi dell'amministratore di far mantenere una parvenza di civiltà al gruppo riunito. Il luogo prescelto era il soggiorno della Signora Fiorelli, l'inquilina ottantenne del primo piano, colei che anni prima aveva dato il via a quella estenuante guerra cedendo il proprio garage alla coppia dell'interno 3B.

Chissà Dove SeiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora