Prologo

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Sin da piccola aveva sognato in grande. Quando a scuola la maestra faceva la classica domanda: "Cosa vorreste fare da grandi?" i suoi compagni rispondevano alzando la mano. C'era chi voleva fare il dottore, chi il veterinario, chi il cuoco e così via. Tutti lavori normalissimi. Poi arrivava il suo turno, la maestra si avvicinava al suo banco, si sistemava gli occhiali sul naso, appoggiava i palmi sul suo quaderno a righe e chiedeva: "E tu Rebeca?"

Lei alzava la testa, in modo tale da guardarla bene in viso e, con un grande sorriso che le incorniciava il volto diceva: "Io diventerò un'attrice."

Lo diceva in modo sicuro, fiero e non si curava delle risatine degli altri bambini, per loro era come se avesse detto una barzelletta. 

La maestra la osservava da capo a piedi, guardava le sue gambe che dondolavano avanti e indietro, i suoi gomiti poggiati sul tavolo, la sua espressione soddisfatta e quelle adorabili trecce che la madre le faceva con cura ogni mattina.
Le offriva uno dei suoi migliori sorrisi, che però lasciavano trasparire una vena di dubbio; sapeva in fondo che quello era un sogno praticamente impossibile da realizzare, almeno in quella città e, se si voleva soffermare sull'alunna che aveva davanti, avrebbe certamente trovato qualcosa che avrebbe ostacolato ulteriormente il suo percorso.
Rebeca Mitchell, o semplicemente Beca - così si faceva chiamare dagli amici - era una bambina dai capelli castani e gli occhi scuri, che in determinate circostanze, assumevano un colore blu notte. Era sempre stata più bassina rispetto agli altri bambini, nelle foto di classe lei sembrava sempre un anno più piccola rispetto agli altri. Sua madre, Jane, le ripeteva che quel particolare da grande sarebbe diventato un privilegio, avrebbe sempre dimostrato un'età diversa da quella che avrebbe avuto effettivamente.
Naturalmente lei non se ne faceva un vanto, odiava essere bassa, odiava il doversi alzare sulle punte per prendere qualcosa e il solo ed unico momento in cui la cosa si rivelava fantastica erano le recite scolastiche. La maestra la faceva mettere sempre in prima fila, così da non scomparire tra gli altri compagni e lei coglieva l'occasione per mettersi in mostra. Si sentiva padrona di quel piccolo palcoscenico dalle tende rosse e provava una forte emozione nel sentire gli applausi del pubblico.
Col passare degli anni era sempre più convinta di voler intraprendere quella carriera; ogni volta che le capitava di notare in giro un cartellone che pubblicizzava un'opera teatrale, lei provava una fitta al cuore al solo pensiero che, un giorno, avrebbe potuto vedere il suo viso stampato su quel pezzo di carta.
Di opere teatrali nella sua vita ne aveva viste tante, di vario genere, ma quelle che preferiva di più erano i musical. La prima volta che vide uno spettacolo di questo tipo aveva dieci anni, e già aveva le idee chiare su ciò che voleva fare, aveva visto il cartellone all'uscita di scuola e per una lunga settimana la madre aveva dovuto subire le preghiere da parte della figlia, che la implorava di portarla a teatro. Quando arrivò il giorno tanto atteso, arrivarono con un'ora di anticipo, che Beca sfruttò al massimo per analizzare da cima a fondo quel posto così magico a detta sua; si accomodò su una poltrona di velluto rossa e lasciò che lo sguardo si posasse sul palco ancora vuoto.
Si trattava di una di quelle vecchie e intramontabili favole per bambini rappresentata sotto forma musicale, vedeva gli attori correre da una parte all'altra del palco raccontando le vicende grazie alle canzoni, li vedeva apparire dal pavimento indossando costumi sgargianti o dalle tonalità pastello, ogni cosa aveva quel pizzico di magia che bastò per rendere quel pomeriggio indimenticabile.

Eppure, nonostante quel sogno fosse così intenso e così facile da realizzare agli occhi di una bambina, accadde qualcosa. Ricorda ancora quel pomeriggio come se fosse stato ieri e non cinque anni fa. Era sdraiata sul letto a pancia in giù, canticchiando la canzone che le scorreva nelle orecchie grazie agli auricolari che aveva collegato al suo mp3 azzurro; cantava e nel frattempo guardava fuori dalla finestra, il cielo sempre più buio, la forte luce della luna che insieme agli innumerevoli puntini luminosi faceva brillare l'erba del suo giardino. Trovava tutto questo molto rilassante e, come spesso diceva, la aiutava a scaricare la tensione accumulata durante il giorno.
E fu proprio quel giorno che sentì i propri genitori discutere al piano di sotto, non era certo la prima volta ma allora qualcosa catturò la sua attenzione; in mezzo alle tante frasi pronunciate da entrambe le parti e ai tanti argomenti tirati in ballo, uscì il suo nome. Fu il padre a dirlo e in men che non si dica Beca si ritrovò in cima alle scale, schiacciata contro una parete ad origliare.
«Cerca di essere ragionevole Jane, Rebeca ha ormai diciannove anni, dovrebbe capirlo.» disse lui e a giudicare dallo strofinio della sedia contro il pavimento, si era anche alzato in piedi.
«Non eri tu quello che voleva evitare a tutti i costi di issare barriere tra lei e i suoi sogni?»
Tra i due genitori, la madre era quella più testarda, quella che in una discussione puntava i piedi ed incominciava ad insistere.
«Sogni realizzabili. Fare l'attrice e qualcosa che non potrebbe accadere mai. È impossibile, dovresti provare a farglielo capire.»
«Perché dovrei farlo io?! Credi sia semplice per me entrare in camera sua, farla sedere sul letto e dirle che tutto quello che ama da quando è nata è qualcosa che deve dimenticare?»
Rebeca non seppe mai ciò che si dissero dopo, corse di nuovo verso la sua stanza, sbattè la porta alle sue spalle e si buttò a peso morto sul letto, nascondendo il viso sul cuscino. Dopo qualche minuto sentì dei passi, che si fermarono davanti alla sua camera.
«Tesoro...» la voce di sua madre uscì come un sussurro mentre si sedeva sul letto e le spostava i capelli sulle spalle.
«So che hai sentito ciò che abbiamo detto. Ma vedi...sappiamo entrambe che sotto sotto tuo padre ha ragione.» disse ascoltando i singhiozzi della figlia.
«Lui vuole solo il meglio per te e tu lo sai. Sa che questo tuo sogno non si può realizzare e non vuole vederti soffrire.»
«Non è impossibile, gli attori sono partiti da dove sono io, senza un minimo di esperienza, con loro avevano solo la passione, il desiderio di mostrare al mondo ciò che volevano fare. E guarda dove sono arrivati. Se ce l'hanno fatta loro, perché io non dovrei riuscirci?» insistette.
«Rebeca non è così facile come sembra e un giorno lo capirai, a tue spese ma lo capirai.»

Passarono i mesi che via via si trasformarono in anni e con loro quel desiderio venne messo da parte, chiuso in un cassetto, nell'angolo più remoto della sua mente, senza una chiave per poterlo aprire. Per tutto quel tempo aveva tentato di entrare a far parte di un qualche gruppo teatrale e aveva fatto provini su provini.
All'età di ventiquattro anni Beca dovette a malincuore riconoscere che era davvero qualcosa di irraggiungibile, era un obiettivo imposto da quando era piccola, quando ancora non riusciva a comprendere quanto fosse difficile da realizzare.
La sua vita era cambiata, aveva lasciato la casa dei suoi genitori e si era trasferita poco distante da loro, in una casa tutta sua; era abbastanza piccola ma per una persona andava più che bene, la cucina era la stanza più spoglia della casa a differenza delle altre, piene di vecchie fotografie, quadri incorniciati appesi alle pareti e, in fondo ad un cassetto del grande mobile che aveva in soggiorno, teneva ancora una carpetta piena di poster che pubblicizzavano spettacoli teatrali, l'aveva messa lì da quando si era trasferita e da allora non l'aveva più aperta.Aveva cominciato a raccoglierli a sedici anni e lo aveva fatto nel più strano ed insolito modo, quando usciva di casa, le capitava spesso di imbattersi in uno di questi poster attaccati ai muri con del nastro adesivo, lei aspettava il momento esatto in cui nessuno avrebbe potuto vederla per avvicinarsi cautamente, staccarlo e portarlo via con sé. In casa non lo sapeva nessuno, era sempre stata ben attenta a non farsi scoprire e i suoi genitori non sapevano neanche dell'esistenza di quella carpetta.

Non aveva un lavoro fisso, li cambiava continuamente senza riuscire a trovarne uno che la appassionasse. Aveva fatto la barista, la cameriera, aveva lavorato all'ufficio postale e aveva fatto anche la dogsitter, ogni professione possibile ed immaginabile, il tutto con il solo scopo di dimenticare definitivamente la sua vera passione.
Dei suoi continui licenziamenti i suoi genitori erano sempre al corrente e non mancavano mai le occasioni per fare una bella strigliata alla figlia.
Dave Mitchell, il padre di Rebeca, era un professore universitario e come tale era lui che cercava di farla ragionare, le ripeteva che avrebbe dovuto lasciarsi tutto alle spalle ed incominciare una nuova vita nel meraviglioso, a detta sua, stato dell'Ohio. Sin da piccola l'aveva rimpinzata di motti, frasi con un ché di filosofico, consigli di vario genere e vecchi proverbi che Beca non ascoltava quasi mai, li trovava davvero inutili e paranoici.
Ogni volta che perdeva il posto di lavoro lui le diceva: "Quando ti deciderai ad ammettere che la vita non è come quella in una fiaba o in un film? Quando finirai una volta per tutte di continuare a credere in qualcosa di impossibile?"
Nonostante fosse ormai una donna adulta, continuava a credere nelle favole e negli strani avvenimenti che venivano raccontate in esse. Credeva fermamente che al mondo esistesse qualcuno che un giorno l'avrebbe "salvata" dalla vita che stava facendo e l'avrebbe portata dove aveva sempre desiderato: sul palcoscenico.
Ma infondo quelle sono solo vecchie storie ed è davvero improbabile che esista una persona in grado di cambiare a tal punto la vita di qualcuno, una persona che arriva all'improvviso e da quel momento ogni cosa comincia lentamente a cambiare.

Everything has changed || BechloeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora