Capitolo 1

245 12 2
                                    

Era una sera di inizio estate quando decise di uscire di casa nonostante avesse il morale sotto i piedi; quel giorno aveva lasciato il suo posto come commessa, stanca delle continue lamentele dei clienti per ogni minima cosa, lo aveva tenuto nascosto anche ai genitori, consapevole del fatto che, come ogni volta, ne avrebbero dette di tutti i colori.
Camminava lentamente sul marciapiedi, strisciando le scarpe una avanti all'altra e tenendo lo sguardo basso.
Aveva la fortuna di abitare in centro per cui bastava qualche minuto di camminata per passare da un posto ad un altro; era una delle poche cose che amava della sua città.
Sentiva le voci dei passanti formare un brusio di sottofondo che le invadeva i timpani ma non gli dava molto peso; improvvisamente qualcosa catturò la sua attenzione, un manifesto colorato con un uomo e una donna in primo piano, entrambi a braccia aperte e con un sorriso divertito, lei aveva un abito di un giallo molto tenue, lui indossava uno smoking e stringeva fra le dita un cilindro nero; dietro di loro si intravedevano altre persone, disposte in riga. Beca capì al volo di cosa si trattasse e ciò le fece venire un tuffo al cuore. Perché la sua città non faceva altro che mostrarle ciò che non poteva fare?
Con l'umore che ormai era arrivato sottoterra, avanzò di un altro paio di metri prima di sentire una lieve musica provenire da un locale, uno di quei vecchi pub dove la gente trascorre serate in compagnia degli amici bevendo chissà cosa. Arrivò davanti alla porta, senza però riuscire a vedere cosa stesse producendo quel suono e percepì qualcosa, come se la stessa musica la stesse invitando ad entrare. Indugiò un po', ferma sullo scalino che la separava dall'ingresso ma dopo alcuni secondi si strinse la borsa in spalla ed entrò. Non c'era molto caos, al contrario di quanto si aspettasse, si respirava un'atmosfera tranquilla, la gente era seduta chi al bancone chi ai tavoli, altri chiacchieravano in piedi sorseggiando di tanto in tanto i loro drink.
Si guardò ancora intorno e fu allora che lo vide, un bellissimo pianoforte nero, posto in un angolo della stanza; da dove si trovava però non riusciva a vedere chi lo stesse suonando, vedeva solo le dita che sembravano sfiorare quei tasti bianchi e neri creando una melodia fiabesca composta da scale e meravigliosi accordi.
Superò il bancone, senza prendere niente da bere, troppo occupata ad osservare l'imponente strumento, e raggiunse i tavoli più in fondo, prese una sedia e si accomodò riportando lo sguardo sul pianista, o meglio, sulla pianista. Era una ragazza dai capelli rossi, indossava dei pantaloni neri e una semplicissima camicetta bianca e sfiorava quei tasti con la massima delicatezza, come se potessero rompersi da un momento all'altro. Sembrava isolata dal resto delle persone presenti, era completamente immersa nella sua musica, troppo concentrata a suonare anche per accorgersi di quella ragazza dai capelli scuri che, appoggiata al tavolo in legno, non riusciva a scostare gli occhi dalle sue mani.
«Ehy...aspetti qualcuno?» la voce di un qualcuno la fece svegliare dallo strano stato in cui era caduta. Alzò gli occhi trovandosi davanti ad un ragazzo che indicava la sedia di fianco a lei con un dito.
«No. Sono...sono sola.» rispose timidamente.
Lui sorrise per poi sedersi e porgerle una delle due bottiglie che aveva in mano.
«Non bevo ma grazie lo stesso.» Beca lanciò una rapida occhiata al liquido trasparente.
«Non preoccuparti è della semplice limonata.»
Qualcosa nel tono calmo di quello sconosciuto la fece sentire sicura al punto di accettare la bevanda che gli aveva offerto. Bevve un piccolo sorso ed ebbe la conferma di ciò che il ragazzo aveva detto; era davvero limonata.
«Sono Derek comunque.» disse porgendole la mano.
«Beca.»
Rimasero per un po' in silenzio a guardarsi. Lei sembrava intenta ad osservare ogni minimo particolare del volto di Derek, dai capelli corvini all'accenno di barba, fino agli occhi, dalle iridi così scure da sembrare nere.
Lui era come se fosse assorto nei propri pensieri, guardava nella sua direzione eppure guardava il vuoto. Dalla sua espressione Beca capì che in realtà stava ascoltando il pianoforte.
«È...stupendo non trovi?» esordì Derek dopo qualche altro minuto.
«Sembra di essere all'interno di una fiaba.» continuò.
«Il pianoforte è uno se non lo strumento più bello a parer mio.» affermò Beca sorseggiando la bibita.
Derek si voltò perdendosi in quelle dita che si rincorrevano sulla tastiera.
«È troppo brava per lavorare in un pub.» disse scuotendo la testa.
In quei secondi Beca non si accorse neanche di essere rimasta imbambolata ad osservare la pianista.
«La conosci?» domandò lui.
«Non l'ho mai vista in vita mia.» ammise.
Dopo un'ultima dolce scala, la ragazza si alzò dallo sgabello e si diresse verso il bancone, sparendo dalla visuale di entrambi.
«Devo andare. È stato bello conoscerti Beca.» disse sistemando la sedia su cui era stato seduto.
«Anche per me.»
Beca aspettò che il ragazzo si fosse allontanato e si fece un po' più indietro con la sedia in modo tale da vedere cosa succedesse al bancone. Da un lato era curiosa di capire chi fosse quella ragazza ma dall'altro si sentiva una specie di maniaca, da quando aveva messo piede in quel locale non aveva smesso di fissarla.
Non aveva ancora avuto modo di vederla in viso, non sapeva di che colore fossero i suoi occhi, se avesse le lentiggini e non conosceva neanche il suo sorriso eppure qualcosa le faceva pensare che fosse la ragazza più bella che avesse mai visto.
La pianista era in piedi, insieme ad altre persone che sembravano non essersi accorte della sua presenza e continuavano a parlottare tra di loro, nessuno aveva osato farle il minimo complimento per la meravigliosa musica che aveva suonato fino a qualche minuto prima; teneva un braccio sul tavolo, l'altro lo aveva lasciato scivolare fino a mettere la mano nella tasca dei pantaloni, le dita della sua mano sinistra stringevano il bicchiere che probabilmente conteneva un Martini o qualcosa di simile.
Ad un tratto Beca si alzò per consegnare la bottiglia ormai vuota e avere nel contempo l'occasione per poter guardare la ragazza da vicino.
Si parò poco distante da lei, un uomo di circa trent'anni le separava. Da dove si trovava riuscì finalmente a vederla, anche se solo di profilo e subito qualcosa catturò la sua attenzione: i suoi occhi. Erano di un azzurro così intenso da sembrare blu, una meravigliosa tonalità che non aveva mai notato in nessun'altra persona.
«Posso portarti qualcosa?» il barista la fece tornare alla realtà.
«Un mojito.»
Non aveva mai assaggiato quella bevanda, non aveva la minima idea di quale fosse il suo sapore ma era la prima che le fosse venuta in mente. L'uomo l'accontentò subito e nel giro di qualche secondo si ritrovò il bicchiere ghiacciato fra le mani. Bevve un sorso e in un batter d'occhio sentì l'alcol infiammarle la gola dandole quasi la nausea.
«Va-va tutto bene?» qualcuno si avvicinò a lei, probabilmente perché aveva notato la chiara espressione di disgusto che aveva impressa in volto.
Beca alzò lo sguardo dal bicchiere e incrociò delle iridi blu.
«Stai bene?» ripeté la ragazza di fronte a lei.
«C-certo. Sì sto bene.» farfugliò passandosi una mano fra i capelli per ricomporsi.
«Non ti piace l'alcol vero?» chiese ancora.
«No. Non molto.»
Evitare di guardarla dritta negli occhi non era per niente un'impresa semplice. Doveva imporsi continuamente di abbassare lo sguardo o di guardare altrove.
«Sei nuova da queste parti? Non ti ho mai vista prima.»
A primo impatto non avrebbe mai detto che quella pianista dai capelli rossi, seduta in un angolo del locale, fosse in realtà così socievole.
«Oh bhe...vivo qui da sempre solo che...non sono mai entrata qui dentro.»
«Capisco. Bhe...neanch'io.»
Quella risposta la fece rimanere di sasso. Per un attimo credette che la stesse prendendo in giro.
«In che senso? Non sei mai entrata qui?»
«No.»
«Ma poco fa stavi suonando. Ti ho vista. Non credo che quel pianoforte sia a disposizione di tutti.»
«No infatti. Sono un'artista ambulante mettiamola così.» spiegò bevendo un sorso del suo drink.
«Che significa?»
«Bhe...non suono spesso nello stesso posto. Viaggio, cambio città praticamente sempre. Non vorrei sembrare esagerata ma ho già suonato in quasi tutti i pub della zona.»
Una frase, una semplice frase le fece mancare un battito: "Cambio città praticamente sempre". Da lì in poi non ascoltò il resto; chissà come, il pensiero che non avrebbe potuto più vedere quella ragazza, che altro non era che una perfetta sconosciuta, la rattristò.
«Non mi sono neanche presentata. Sono Chloe, Chloe Beale.» le porse la mano che Beca strinse senza pensarci due volte.
«Beca Mitchell.»
«Beca? È un diminutivo?» chiese guardandola di traverso in un modo che Beca trovò a dir poco adorabile.
«Sì bhe...il mio nome completo è Rebeca ma in genere mi faccio chiamare semplicemente Beca.»
«Io trovo che Rebeca sia un nome magnifico. Ha un ché di speciale.»
«Speciale?» domandò curiosa.
«Sì sai...è uno di quei nomi che catturano l'attenzione se si trovassero su una rivista o un poster o che so io. Rebeca Mitchell. È interessante no?» disse con un sorriso che in breve tempo contagiò anche Beca.
La rossa controllò rapidamente l'orologio e lasciò sfuggire un leggero sospiro.
«Devo andare. Mi ha fatto piacere conoscerti.» la salutò con la mano e si avviò verso l'uscita.
Beca la guardò per un po' prima di raggiungerla e quando ormai era arrivata all'uscio della porta si fece coraggio e domandò:«Ti rivedrò?»
Chloe percepì una sottile vena di speranza nel tono della mora, che intanto stava diventando rossa come un peperone.
«È possibile.» sorrise.
Beca annuì e rimase ferma mentre lei si allontanava definitivamente.
Per qualche motivo si era trovata stranamente a suo agio con quella ragazza dai capelli rossi; normalmente per quanto ci provasse non riusciva facilmente a fare amicizia con qualcuno ma quella sera si era presentata un'eccezione.
Rimasta da sola in quel pub, che non accennava a svuotarsi, la sua mente ritornò al lavoro che aveva lasciato quella mattina, da quando era entrata lì dentro non aveva fatto altro che pensarci, solo mentre parlava con Chloe quel pensiero si era affievolito ma ora sembrava essere tornato più forte di prima. Come l'avrebbero presa i suoi genitori? Avrebbe dovuto dirglielo o continuare a mentire per chissà quanto tempo? Avrebbe dovuto rassegnarsi e trovare un lavoro definitivo, lasciandosi il teatro alle spalle per sempre?

Everything has changed || BechloeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora