Cosa si è davvero disposti a fare per inseguire i propri sogni? Chi si è disposti a lasciare?
Di una sola cosa Chloe Beale era sempre stata certa, i sogni comportano sempre delle rinunce, a volte minime a volte più grandi di quanto si pensa.
A cosa aveva rinunciato lei? A tante cose diverse ma la rinuncia che pesava di più sul suo cuore era una: l'affetto dei suoi genitori.
Chloe e Beca non erano poi così diverse, anche la rossa, sebbene preferì non dire nulla a riguardo alla ragazza incontrata in un vecchio pub, aveva avuto delle grosse ambizioni come lei.
Il suo sogno era composto solo da un semplice pianoforte, come quello che torreggiava nel suo salone e che stava fissando da un bel pezzo facendo scorrere le dita sui suoi tasti. Aveva imparato da piccola a suonare quel meraviglioso strumento e da allora era diventata forse la cosa più cara che aveva.
Quella mattina, come era solita fare, raggiunse il salone e si sedette sullo sgabello di fronte alla tastiera bianca e nera, rimanendo immobile ad osservare il lampadario riflettersi sulla cassa del pianoforte di un nero lucente. Era solita usare quei minuti per pensare a se stessa o a una possibile canzone da scrivere sullo spartito ma quel giorno la sua mente era concentrata su qualcos'altro: Cleveland.
Era la città dove abitava sua madre, a qualche ora di distanza da casa sua, ed era stata proprio quella donna a chiamarla la sera precedente, per la prima volta dopo mesi di silenzio.
Quando Chloe sentì lo squillare del suo cellulare a tarda sera quasi cadde dalla sedia non appena vide delle lettere bianche comporre la parola "Mamma" sullo schermo.
Erano passati quasi quattro mesi dall'ultima volta che si erano sentite, precisamente da quando Chloe le aveva detto di volersi trasferire nella città di Cincinnati. Il perché le due avessero un così brutto rapporto a tal punto da non volersi neanche vedere era abbastanza evidente; a differenza di Beca, Chloe non aveva avuto la fortuna di avere almeno uno dei suoi genitori dalla sua parte, entrambi sembravano intenti a metterle i bastoni fra le ruote.
Al telefono sua madre disse poche semplici parole: «Ci vediamo domani a casa mia.»
Non le spiegò il motivo, disse quella frase e riattaccò senza darle neanche il tempo per ribattere. E proprio per questo Chloe aveva passato quasi due ore seduta davanti al pianoforte, suonando qualche nota a caso e passandosi le mani fra i capelli rosso fuoco, non le restava altra scelta se non andarla a trovare.
Nel primo pomeriggio Chloe si decise, seppur controvoglia, ad affrontare più di quattro ore di viaggio senza saperne neanche la ragione. Afferrò con rabbia lo zaino che aveva preparato con le poche cose che le sarebbero servite, prese le chiavi e raggiunse la macchina, mettendola in moto con uno sbuffo.
Trascorse tutto il tempo della strada con la radio accesa nella speranza di mettere a tacere il suo cervello ed impedirle di pensare a ciò che avrebbe dovuto affrontare.Arrivò a destinazione verso l'ora di cena come aveva previsto e la casa che si trovò davanti era esattamente come la ricordava; aveva lo stesso stretto vialetto che conduceva all'abitazione di un color grigio cenere e la stessa ampia veranda dove i suoi erano soliti fare il barbecue della domenica, le luci erano tutte spente ad eccezione di quelle della cucina e della sala da pranzo. Chloe raggiunse il portone e bussò due volte con la mano tremante per l'agitazione, dopo qualche secondo una donna aprì, anche lei, come tutto il resto, non era cambiata di una sola virgola. I suoi capelli corti erano ancora di un biondo dorato e i suoi occhi, di un azzurro più spento rispetto a quelli della figlia, erano intenti ad osservarla da capo a piedi. Ci fu qualche attimo di silenzio prima che la madre si asciugasse le mani sul grembiule e stringesse Chloe in un rapido abbraccio.
«Vieni, entra pure. Sono felice che tu abbia deciso di venire a trovarmi.» disse con un sorriso che Chloe ricambiò senza però doversi sforzare di nascondere la sua rabbia, doveva pur esserci un motivo se sua madre l'aveva chiamata dopo tanto tempo.
«Ho già sistemato la tua camera per stanotte, è ancora come l'avevi lasciata.» proseguì dall'altra stanza.
Chloe non la seguì in cucina bensì attraversò il piccolo corridoio e andò nella sala da pranzo; diede una rapida occhiata al tavolo apparecchiato e un brivido le corse lungo la schiena.
«Mamma...la cena non sarebbe dovuta essere fra me e te?» chiese tornando indietro e fermandosi sull'uscio della porta.
«Bhe...ecco...»
In quel momento si udì il rombo di un'auto e il giardino venne illuminato dalla forte luce dei fari, a Chloe bastarono pochi secondi per riconoscere la macchina.
«Perché non mi hai detto che sarebbe tornato a casa?!» sbottò sentendo le orecchie andarle a fuoco.
«Se l'avessi saputo non ti saresti fatta vedere.»
Sua madre rispose con ovvietà per poi aprire il portoncino da cui entrò un uomo dai capelli rossi che salutò la donna con un bacio.
«Chloe! Tua madre mi aveva detto che ci saresti stata anche tu.» disse andandole incontro ma lei si ritrasse urtando con la schiena il bancone.
«Oh andiamo, smettila di comportarti come una bambina e saluta tuo padre piuttosto.» la madre fece capolino da dietro il marito sospirando.
Chloe alzò gli occhi al cielo e si avvicinò a lui, che intanto non aveva smesso di fissarla con i suoi occhi verdi, facendo sfiorare le loro guance, il tutto sembrò costarle parecchio sforzo e dopo qualche minuto lasciò la stanza.
«È ancora arrabbiata.» constatò il padre.
«Le passerà.» tagliò corto la madre.
A tavola non vi era alcun rumore ad eccezione del tintinnare delle forchette sui piatti, nessuno parlava ma tutti si lanciavano continue occhiate.
«Dunque...che lavoro fai in questo periodo?» chiese il padre per smorzare la tensione.
«Quello che faccio da tre anni a questa parte. Suono. Nei pub.» rispose acida giocherellando con la bistecca che sua madre aveva preparato.
«Suoni? Ancora? Non cambi proprio mai eh? Quando ti deciderai a trovare un lavoro normale?»
«Questo è un lavoro normale papà. Faccio quello che mi piace, suonare è sempre stata la mia passione. E, non preoccuparti, mi pagano abbastanza bene.» lo anticipò.
«La tua passione?» domandò ancora con l'aria di uno che è appena caduto dalle nuvole.
«Lo sapessi se stessi di più qui invece che andartene da tutt'altra parte.» rispose lanciandogli uno sguardo glaciale.
«Io lavoro Chloe. E il mio lavoro prevede dei viaggi di tanto in tanto.» affermò calcando la parola "lavoro" più del dovuto.
«Di tanto in tanto?! Quanto tempo hai passato in Inghilterra? Un anno?»
«Sono stati solo otto mesi.»
«Otto mesi?! Otto fottuti mesi! Senza farti sentire neanche per sbaglio.» la sua rabbia era ormai arrivata al limite.
Furente si alzò dalla sedia facendola strisciare sul pavimento e raggiunse a grandi falcate la porta che dava sulla veranda.
«Chloe! Chloe Beale torna subito qui!» la richiamò a gran voce la madre ma ciò che ottenne come risposta fu lo sbattere della porta.
Chloe si lasciò cadere su una vecchia sedia bianca, quella su cui era solita sedersi da bambina, appoggiò la testa contro il muro e spostò lo sguardo sul cielo stellato che si vedeva chiaramente attraverso la grande finestra. In lontananza sentiva le voci dei genitori ma non riusciva a capire una sola parola di quello che stavano dicendo o forse semplicemente non voleva ascoltarli; la sua attenzione era fissa sull'immenso blu di quella calda sera d'estate.
Improvvisamente il vociferare cessò e dopo qualche secondo udì la porta finestra aprirsi lentamente alle sue spalle.
«Io credo che tu non abbia ancora capito, o forse non vuoi capire.» disse calmo il padre sedendosi accanto a lei e portandosi una bottiglia di birra alle labbra bevendone un sorso.
«Molte persone non hanno successo con la propria arte.»
Chloe lo guardò torva non capendo il significato delle sue parole.
«Torniamo indietro nel tempo; pensa a grandi pianisti, grandi compositori come Mozart o Beethoven. Erano bravi, la loro musica era spettacolare eppure...cos'hanno guadagnato?» domandò serio.
«Sono i compositori più famosi e straordinari di tutti i tempi papà.»
«Esatto...hanno guadagnato la fama, niente di più. Vedi la musica sotto questo punto di vista è un'arte, è vero, ma non dà i suoi frutti. Puoi essere una pianista fantastica ma cosa ti rimarrà in futuro? Alcuni ricorderanno il tuo nome, se avrai abbastanza fortuna. Ma tu? Cosa avrai guadagnato?» concluse poggiando le mani sui braccioli della vecchia poltrona.
«Dio mio...possibile che tu riesca a vedere solo l'aspetto economico delle cose? Il fatto che tu lavori in questo campo non significa che debba avere la priorità su tutto.» disse con uno sbuffo, l'ennesimo quel giorno.
«Voglio che tu capisca! Non voglio che butti all'aria il tuo futuro, la tua vita, per qualcosa di inutile. Non ne vale la pena e tu lo sai bene Chloe.» disse mentre osservava la figlia andarsene di nuovo.
Prima che potesse lasciare del tutto la veranda però, Chloe si voltò verso di lui e con la voce più sicura che riuscì a trovare disse:«Un giorno, quando girerai per queste strade, vedrai un cartellone appeso in un negozio o alla fermata dell'autobus e stampati su quel pezzo di carta vedrai il mio volto e il mio nome. Un giorno entrerai in un teatro ed io sarò lì, seduta su uno sgabello con un grande pianoforte davanti a me e il pubblico amerà la mia musica e allora potrai dire di essere orgoglioso di ciò che sono diventata.» finì di parlare con le lacrime agli occhi e lasciò definitivamente la stanza con suo padre che era rimasto fermo, in piedi, con la bocca semiaperta ancora scioccato per ciò che sua figlia aveva detto.
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Everything has changed || Bechloe
FanfictionSalire sul palcoscenico, era il suo sogno fin da bambina ma le opportunità, in una piccola cittadina dell'Ohio, erano sempre state scarse. Eppure, come in un film, qualcosa accadde, quando meno se lo aspettava. Un incontro, un semplicissimo incontro...