Cαpιtσlσ 9

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La casa era vuota, come di norma. Aki era appena ritornato dopo la lunga serata passata col suo migliore amico. Aprì la porta d'ingresso e si diresse subito verso la sua stanza. Sorrise ripensando a Rai. Ovviamente erano stati al loro parco; anche se poteva sembrare infantile, ad Aki piaceva l'idea che fosse il loro posto speciale, solo suo e di Rai. Pensò a come si erano stesi sull'erba, a come avevano parlato come se non si fossero mai ignorati, come se fosse tutto a posto, a come era bello Rai mentre la brezza leggera gli scompigliava i capelli scuri, agli occhi chiari puntati nei suoi mentre parlava, al sorriso sincero e alla risata genuina, musica per le orecchie dell'Alpha biondo. Quest'ultimo scivolò contro la porta della sua camera, di schiena, portando le ginocchia al petto, fissando il vuoto davanti a sé. Passò qualche minuto, poi si diede uno schiaffo abbastanza forte da farsi bruciare la guancia. Doveva smettere di farsi quelle cazzo di illusioni, per sé stesso, per non rovinarsi totalmente la vita andando dietro a qualcuno di irraggiungibile. Doveva infilarsi in quella cazzo di testa che non avrebbe mai realizzato il sogno di stare insieme a Rai. Non poté, però, trattenere una lacrima che gli attraversò il viso, che cadde poi sul tessuto dei suoi pantaloni. Chissà se per il dolore fisico o emotivo. Passò una mano tra i capelli, stringendoli tra le dita e tirandoli leggermente, poi altre lacrime uscirono. Scoppiò letteralmente a piangere, e non l'aveva mai fatto in vita sua. Si sentì debole. Ma lui lo era, era solo un debole del cazzo. Si faceva pena.
Era tutto così fottutamente difficile... Perché doveva essere nato sbagliato? Perché non poteva essere come gli altri?

Era passata circa una settimana da quella sera, ed erano esattamente sette giorni che Aki stava provando in tutti i modi a non pensare a Rai, pur sempre mantenendo i rapporti di amicizia, anche se gli stava risultando parecchio difficile. Ormai piangeva tutte le sere, e si sentiva incredibilmente stupido e debole nel farlo, ma in qualche modo era la sua valvola di sfogo. Pensava sempre al tempo trascorso con Rai, e poi non resisteva pensando che non sarebbe mai stato suo. Non ce la faceva proprio a trattenersi.
Inoltre, erano sette giorni che Miki non si faceva viva, nemmeno per messaggio; che si fosse arresa? Che fosse scappata? Ormai non gli importava più, ad Aki. Aveva deciso che avrebbe dato una svolta alla sua vita il prima possibile, tutto pur di smettere di piangere ogni notte.

Intanto il rapporto tra Kei e Ryota diventava sempre più forte, senza più problemi o astio nei loro confronti erano molto più liberi di godersi i momenti insieme, anche quelli in pubblico. A scuola erano molti più liberi, e anche i compagni di classe di Kei avevano provato a fare amicizia con lui, non riuscendoci però per Ryota, che era sempre in mezzo alle conversazioni e non faceva mai parlare il suo Omega con nessuno. Kei però teneva duro e parlava con tutti in quei pochi momenti in cui era da solo, come per esempio quando l'Alpha andava al bagno. Tanto sarebbe presto finito tutto. Mancava davvero poco al secondo calore di Kei, e ormai era già stato deciso che sarebbe diventato ufficialmente il Mate di Ryota, avrebbero confermato quel legame con un Bond. Era una cosa seria! E poi Kei avrebbe finalmente potuto avere una vita sociale...
Si preparavano da tanto, in realtà; il padre dell'Alpha, infatti, aveva aiutato parecchio il figlio, per istruirlo bene su come fare per rendere il momento dell'unione assolutamente indimenticabile. Ora mancava solo il momento più adatto per mettere in pratica ciò che l'Alpha aveva imparato.

Era una sera qualsiasi che Ryota e Kei passavano insieme, soli in casa. L'Omega stava guardando tranquillamente un film, seduto sul divano rosso di casa sua, accoccolato al petto del suo Alpha, quando sentì l'irrefrenabile voglia di strusciarsi contro il maggiore e la vista gli si annebbiò leggermente. Così prese a sfregare il volto, ormai rosso, contro al petto duro di muscoli, per poi sedersi sulle sue gambe, muovendo avanti e indietro il bacino su quello dell'altro, rilasciando nell'aria i suoi feromoni e annebbiando quasi completamente la mente di Ryota. Iniziarono a baciarsi dolcemente, mentre i fianchi dell'Omega si sfregavano con prepotenza sul membro dell'Alpha. Quest'ultimo, con un ultimo briciolo di volontà, spense la televisione e prese il suo Omega a mo' di sposa, correndo nella stanza da letto. Per fortuna che erano soli in casa... non ce l'avrebbe fatta ad aspettare un minuto di più.
Non aspettava altro che farlo suo. L'Alpha si sedette sul bordo del letto, Kei si accomodò sulle sue gambe col busto rivolto verso il petto del maggiore. Lo guardò con gli occhi languidi di desiderio. Dentro di sé sentiva un sacco di emozioni contrastanti, da una parte la paura, del dolore che avrebbe provato o del fatto che avrebbe potuto pentirsene, dall'altra la voglia fortissima di essere unito per sempre alla persona che amava, la felicità di non dover più controllare gli attacchi della stupida ma adorabile gelosia del compagno. Questi pensieri gli diedero la forza di non tirarsi indietro, anche se non sapeva come avrebbe dovuto iniziare. Fu Ryota che, senza dire una parola, iniziò a baciare le soffici labbra dell'Omega, succhiandole piano e intrappolando il labbro inferiore tra i denti, prima di leccarlo. Portò una mano ad accarezzare la nuca del minore, e l'altra ad accarezzare la schiena esile, mentre quelle dell'Omega salivano e scendevano lungo il petto del maggiore, sempre continuando a baciarsi. Dopo poco Kei non resistette più all'impulso di muovere i fianchi, Ryota sorrise contro le labbra dell'altro e iniziò a sfilare la maglietta di Kei, passando la grande mano sul petto, stuzzicando sempre i punti giusti con le dita. Kei gemette. Si lasciò cadere di schiena sul materasso, facendosi sovrastare dal minore che continuava a riempirlo di baci. Ryota gli sfilò completamente la maglietta e fece pressione con le mani sul sedere di Kei, spingendolo e facendolo gattonare, in modo da farlo avvicinare al suo volto, facendo corrispondere i capezzoli all'altezza della sua testa. La alzò e prese a succhiarli voracemente, strappando gemiti strozzati al minore, che già sentiva più che bagnate le sue mutande. Le braccia dell'Omega non reggevano più il peso del corpo, provocando un continuo tremolio.
Nel mentre, L'Alpha, riuscì a liberarlo dai pantaloni, continuando a stringere le sue natiche tra le mani. Kei era rosso in viso e molto accaldato, non ce la faceva più, doveva avere di più.
Come se Ryota avesse colto la sua preghiera silenziosa, smise quella dolce tortura e, con un colpo di reni, invertì le posizioni, trovandosi sopra al corvino. Osservò gli occhi lucidi, le labbra schiuse alla ricerca di aria e ancora umide dei baci precedenti, il petto nudo che si alzava e si abbassava velocemente, ancora bagnato della sua stessa saliva intorno ai capezzoli. Lo trovò bellissimo, e sorrise. Si liberò velocemente dalla camicia e dai pantaloni, rimanendo in boxer. Kei aveva l'affanno, così come il suo Alpha. Le labbra di entrambi si trovarono nuovamente, unendo i respiri caldi e mescolandoli in uno solo, bollente. Le lingue di entrambi non si preoccupavano nemmeno più di restare all'interno delle rispettive bocche. Ryota si staccò e spostò indietro i capelli corvini di Kei, che gli si erano appiccicati alla fronte col sudore. Il maggiore lo baciò sulla fronte appena lasciata libera di respirare, poi fece la stessa cosa col naso e col mento, poi il collo e le clavicole, proseguendo il suo percorso fino al membro dell'Omega, pulsate e già coperto di liquidi. L'Alpha lo prese tutto nella sua cavità orale -non che fosse stato tanto difficile-, provocando all'altro piacere con la lingua. Dopo vari minuti Kei venne. Ryota, soddisfatto, passò ancora più in basso, andando a leccare il cerchietto pulsante di muscoli che si contraeva per il piacere. Era così bagnato che i suoi liquidi avevano macchiato il copriletto. Il maggiore era come ipnotizzato da quel buchetto pulsante e avvicinò la bocca, indurendo la lingua e infilandola all'interno di Kei, che soffocò un mugolio portando il braccio sulla bocca. Strinse le gambe intorno alla testa dell'Alpha, invitandolo ad andare più a fondo. Ryota sapeva che il suo Omega era già più che pronto a riceverlo, ma voleva farlo godere da impazzire. Voleva rendere quella volta indimenticabile.
Alla lingua aggiunse prima un dito, poi un altro, sforbiciandoli tra le pareti umide e rendendo l'orifizio molto più ampio del normale, senza mai smettere di lavorare di lingua. L'Omega facilitò l'operazione spingendo i fianchi contro la mano e la testa del maggiore. Quest'ultimo prima tolse la lingua, poi le dita, e posizionò il suo membro pulsante all'entrata, e quello, senza che lui applicasse la minima pressione, lo risucchiò completamente e lo accolse. Sospirò pesantemente, entrando completamente, mentre Kei era colto da spasmi di piacere e si era aggrappato alle possenti spalle dell'Alpha, graffiandolo anche con le unghie. Le spinte furono lente e profonde, ognuna di esse fece provare a Kei un piacere tale che iniziò a piangere silenziosamente ogni lacrima che aveva in corpo. Nascose la testa nell'incavo del collo del maggiore, inalando il suo profumo, godendosi ogni istante, lasciando anche dei piccoli morsi sulla pelle dell'altro. A Ryota si accese come una lampadina. Era arrivato il momento.
Afferrò la testolina di Kei e la allontanò dal suo collo, poi lo baciò profondamente, continuando le spinte, e, senza uscire da lui, lo girò a pancia in giù. Lo afferrò saldamente per i fianchi, cercando quel punto che suo padre gli aveva descritto, continuando a spingere. Era un punto molto profondo e difficile da raggiungere, ma dopo alcuni minuti di tentativi gli parve di sentirlo. Sfregò la punta su quel rigonfiamento interno, per essere sicuro fosse quello giusto. Ne ebbe la conferma quando Kei emise dei versi di circa un'ottava al di sopra dei soliti. Ryota non sapeva come aveva fatto esattamente, era successo e basta, si era come agganciato a quel punto. Quando, infatti, provò ad uscire, si era bloccato. Perfetto.
Continuò a muovere i fianchi, senza però mai uscire, e Kei stava impazzendo. Dopo pochissimo venne, e fu allora che si accese chissà cosa in lui. Si fiondò sul collo davanti a lui, ricoperto di sudore. Lasciò un morso fortissimo; sentì il sapore ferreo del sangue, ma era in qualche modo anche dolce. Gli piaceva.
Affondò ogni singolo dente che aveva in bocca nella carne soffice. L'Omega, invece di provare dolore, fu attraversato da una nuova scarica di piacere, che lo fece venire sia da davanti che da dietro, contemporaneamente. Ryota leccò il sangue che colava, ammirando poi la sua opera. Ora l'organo di Kei era marchiato. Ora Kei era suo. Suo davvero! Sentì dentro di sé che era quello il momento giusto per uscire, e così fece. Suo padre gli aveva anche spiegato che non era necessario usare le protezioni, poiché durante lo knotting non c'era possibilità alcuna di rimanere incinti. Kei si girò sul fianco, dalle gambe colava il prodotto che Ryota aveva lasciato dentro di lui. L'Alpha raccolse le ultime forze e andò a baciare l'Omega, stremato, che si era già praticamente addormentato. Se lo poggiò sul petto e accarezzò i capelli bagnati di sudore. Crollò anche lui in un sonno profondo poco dopo.

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