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revisionato

Jordan era un ragazzo fragile, ne era sempre stato consapevole. Teneva tanto alle poche amicizie che riusciva a creare e vederle andare distrutte davanti ai suoi occhi gli faceva male.

Ricordava ancora come era stata distrutta l'amicizia tra lui e Xavier - a quell'epoca Xene - all'Alius Accademy: con due semplici frasi pronunciate dal loro padre adottivo: «Janus, tu sarai il capitano della Gemini Storm e tu, Xene, quello della prima squadra dell'Accademia: la Genesis».

Jordan non era stato molto sorpreso dal fatto di essere stato messo a capo della squadra più debole dell'accademia. La cosa che lo aveva ferito di più in quel momento era stato lo sguardo di Xavier, che da quel giorno aveva iniziato a non considerarlo più e a dargli ordini su ordini in modo decisamente poco carino. Quindi Jordan aveva scaricato tutta la rabbia e la delusione che provava sul calcio, arrivando persino a distruggere le scuole del Paese  che perdevano contro di lui.

La notte poi, piuttosto che dormire dopo lunghi e sempre più pesanti allenamenti, restava sveglio a chiedersi il motivo del motivo dell'odio del suo, ormai, ex migliore amico e a pensare ad un modo per riavvicinarsi a lui. Le aveva provate tutte. Spesso aveva iniziato a rincorrerlo per i corridoi urlando il suo nome, cercando così di parlargli, invano; altre volte pianificava strane trappole così che si ritrovassero in un punto preciso da soli, ma Xavier in quei casi era ancora più cattivo, se fosse stato possibile. In quei momenti Jordan si chiedeva: è possibile distruggere in pochi giorni un'amicizia che va avanti da anni? Sono così facile da dimenticare? E l'unica risposta che trovava era: sì, è possibile.

Adesso lo stava guardando dal suo posto a tavola. Osservava il suo modo veloce di creare amicizie durature e forti - quella con Mark ne era un esempio - e si stupiva leggermente di quanto le persone rimanevano sorprese dalla sua infinita gentilezza e forza di volontà. Osservava anche se stesso, Jordan Greenway, e come rimanesse sempre colpito dal sorriso dolce che compariva spesso sulle labbra di Xavier, sebbene non fosse più dedicato a lui.

Allo stesso tempo, però, era geloso del carattere dell'altro. Avrebbe tanto voluto essere forte come lui, non tanto in campo - sarebbe potuto diventarlo, col tempo e con gli allenamenti extra che faceva ogni notte -, quanto nella vita reale. Per abbattere Xavier ci voleva tanto, invece Jordan cadeva a terra con un semplice sguardo carico d'odio, specialmente suo.

Strinse la mano sinistra a pugno e lasciò cadere la forchetta nel piatto: anche quella sera sarebbe stato a digiuno. Non ricordava l'ultima volta che aveva fatto un pasto completo. Era comunque da un po' di tempo, ma nessuno si era mai accorto di niente. Insomma, chi voleva sapere se Jordan, il cattivo capitano della Gemini Storm, che nella sua vita aveva sbagliato tutto, stesse male?

«Scusa, posso sedermi qui?»

Jordan riconobbe subito la sua voce, la stessa che lo aveva accompagnato nei suoi lunghi e duri pomeriggi prima dell'Accademia, la stessa che, quando ancora non riusciva a capacitarsi della morte dei suoi genitori, lo sorreggeva. Alzò la testa di scatto, sorpreso, incrociando i suoi occhi verdi. Sentì il proprio cuore cominciare a battere frettolosamente nella gabbia toracica, come se volesse raggiungere quello del ragazzo di fronte a lui e abbracciarlo, tenendolo stretto a sé per il resto della sua vita. Allo stesso tempo, però, avrebbe tanto voluto alzarsi in piedi, prenderlo per il colletto della felpa e urlargli in faccia: «Perché ora che hai tutto ciò che ti serve vieni da me?»

«Cosa?» domandò, sorpreso, mentre dentro la sua mente quella battaglia di pensieri continuava imperterrita. Guardò un altro po' i suoi occhi verdi, perdendosi come se fosse la prima volta, e il suo sorriso dolce, finalmente rivolti a lui, e annuì con una leggera ansia nello stomaco. «Sì, certo».

STARDUST, hiromidoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora