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Jordan entrò nello stadio seguito da Byron, che non staccava gli occhi dallo schermo del suo cellulare da quando si era svegliato e aveva ricevuto la prima notifica del giorno. Bryce, invece, quella mattina si era alzato prestissimo ed era stato uno dei primi ad arrivare allo stadio. Probabilmente temeva di dover incontrare Claude per la strada e sapeva più che bene che, se ciò fosse successo, il dolore che provava dentro si sarebbe ampliato e le lacrime – se gliene erano avanzate alcune, poiché aveva passato la notte in bianco a piangere per l'assenza della parte migliore di se stesso – avrebbero cominciato a rigargli il volto.

Jordan, quando sentì l'ennesima notifica provenire dal telefono del suo amico e la sua bassa risata, si bloccò di scatto davanti alle scale che portavano alle tribune e si voltò verso di lui, che stava scrivendo qualcosa con la tastiera. «Mi spieghi cosa diavolo stai facendo?» domandò, leggermente scocciato. Avrebbero visto la finale del campionato, dove giocavano i loro più cari amici, e se lui aveva intenzione di starsene tutta la partita con il cellulare lo avrebbe mandato via a calci.

Byron alzò lo sguardo dallo schermo e arrossì leggermente, mentre un timido sorriso gli increspava le labbra. «Chatto» mormorò imbarazzato. Il telefono squillò un'altra volta e lui gli regalò tutta la sua attenzione. Fece una faccia strana tirando fuori la lingua e chiudendo gli occhi, poi Jordan sentì il rumore di una foto scattata e inviata.

«Chi è così importante da inviargli tue foto veramente brutte?» chiese ancora, questa volta con una punta di curiosità sulla voce. Non lo aveva mai visto comportarsi in quel modo con qualcuno che non fossero Bryce e Claude: di solito ci teneva ad apparire impeccabile agli occhi degli altri.

Byron scacciò la domanda - oppure provò a scacciare il rossore sulle sue guance - con un movimento della mano, come se non gli importasse molto. «Henry, il mio migliore amico» disse e iniziò a salire le scale. «Sai chi è?»

Jordan lo seguì quasi correndo per stargli dietro. «Certo che lo so, eravate compagni di squadra. Me lo ricordo bene: era davvero forte. Mi è sempre piaciuto» mormorò quindi, soprapensiero, ma, quando notò l'espressione confusa, forse anche accigliata, dell'altro, portò le mani davanti come se si stesse difendendo da un pugno e scosse ripetutamente il capo. «Ma che hai capito? Intendo come giocatore!»

Byron quasi sospirò per il sollievo e sorrise. «Già. Comunque siamo ancora nella stessa squadra» disse. «Almeno finché non andremo in scuole diverse, abbiamo intenzione di giocare insieme» SI leccò il labbro inferiore, con gli occhi persi in chissà quali pensieri e ricordi. «Beh, penso che andremo nella stessa scuola per continuare a giocare insieme».

Jordan alzò le sopracciglia e inclinò la testa di lato osservando il biondino maliziosamente. Alla fine, anche lui era meno etero di quanto immaginasse. «Mi sembra di capire che siete più che compagni di squadra o migliori amici, o sbaglio?» domandò con il sorriso sulle labbra. Questa cosa gli faceva tornare in mente il rapporto tra lui e Xavier - che era sempre stato fondato su bugie e bugie - e lo faceva soffrire, ma non poteva fare a meno di sentirsi felice per Byron.

Il biondo aggrottò le sopracciglia. «Ti sbagli» disse con un tono di voce poco convinto.

Jordan salì le scale di corsa per fermarsi davanti a lui e cominciò a stuzzicarlo con un sorriso triste, ma allo stesso malizioso, sul viso. «Com'è che mi dicesti? "Tra tutti e quattro sono il più etero". Secondo me già ti piaceva allora» disse con uno sguardo sognante, da inguaribile romantico com'era, perché nonostante tutto, nonostante l'amore lo avesse fatto soffrire per gran parte della sua vita, non poteva fare a meno di essere un tipo romantico, che immaginava le storie d'amore come quelle nei libri. Peccato che la vita non è come nei libri, pensava e, purtroppo, ne aveva avuto la conferma fin troppo spesso.

STARDUST, hiromidoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora