Capitolo 9 - Anche se fosse l'inferno.

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«Due mesi.» Tuonò Hannah, camminando avanti e indietro sul pavimento di parquet grezzo, sgombro da una parte di mobili che erano già stati portati via dalla ditta di traslochi.

«Lo so.» Dissi, cercando di calmarla, senza riuscirci.

«Due fottuti mesi di merda!» Urlò, serrando i pugni e chiudendo gli occhi con una rabbia che le avevo già visto sbollire in quella maniera.

«Hannah!» La ammonì Holly con il tono severo di voce che usava quando era veramente seccata. «Vacci piano.»

«No, siete perfettamente in diritto di essere arrabbiate. Ho fatto una cosa di cui non vado granché fiera.» Non seppi se lo stessi dicendo per giustificarmi o per comunicargli quanto mi fossi vergognata per i miei gesti, soprattutto per non averle chiamate per tutto quel tempo. Parlarne con le mie amiche avrebbe reso la rottura, il divorzio, più veri di quanto già non fossero e non sapevo se sarei stata in grado di parlarne, prima di ogni cosa, perché sapevo la loro reazione sarebbe stata molto simile a quella che ebbero quel pomeriggio di settembre. Sapevo con certezza che fossero al corrente di ciò che era successo, ma di certo non sapevano cosa succedesse nell'altro lato della mia vita, quello che era scandito dalla presenza di Ethan. Avevo deciso che ne avrei parlato solo e solamente una volta che avessi appurato che la sua presenza non sarebbe stata solo sporadica nella mia vita. Ethan, a dire il vero, costituiva la maggior parte delle mie giornate e, per quanto mi piacesse, per quanto ne fossi contenta, c'erano stati giorni in cui mi aveva portato ad un soffio dall'esasperazione, fatta soffocare tra lacrime di umiliazione poi rassicurata sulle sue intenzioni. Erano stati due mesi di montagne russe emotive, nei quali aveva fatto a pezzi il mio corpo in tante maniere diverse ma, soprattutto, aveva fatto a pezzi la mia mente e, con la stessa cura e dedizione, li aveva riportati in vita entrambi.

«Perché lo hai fatto allora?» Chiese Holly, con le mani appoggiate sulle gambe e il tono di chi, disperatamente, cerca un modo per farsi spiegare, per capire.

«Ho detto che non ne vado granché fiera, non che non mi renda felice.»

«Oh! Così ora sei felice.» Mi schernì Hannah, come se non fossi in grado di distinguere il significato di quella parola.

«Non puoi capire. Puoi sforzarti quanto vuoi, Hannah, è qualcosa che non puoi nemmeno lontanamente immaginare.»

«Ti fai scopare da un Dio del sesso, padrone di un ridondante mondo segreto, che con quattro botte contro un muro ti ha fatto decidere di mollare tuo marito, l'uomo che più ti amava al mondo. È molto facile da capire, mi pare.»

«C'è di più.»

«Lui ti ama?» Chiese Holly. Sapevo che sperava le dicessi di sì. Lei credeva nella favola, nell'amore puro e fiabesco, ma non mi sentii abbastanza forte per mentirle. In quel caso, preferii dire una mezza verità, anche se sapevo l'avrebbe delusa.

«A suo modo.» Ethan non mi amava. Non nel senso in cui si può intendere l'amore romantico, quello dei romanzi rosa e delle storie a lieto fine. Lui amava quello che significava sapermi sua, quello che significavamo io e lui insieme. Ethan cercava di darmi quello che mi serviva perché io non fuggissi da lui e gli permettessi quindi di continuare a sfogare il suo dolore su di me. Lo faceva in maniere sempre più subdole che trasbordavano della sua indole sadica, eppure io lasciavo che lo facesse, che si esprimesse per quello che era, così come lui lasciava che io facessi lo stesso. La certezza, l'unica che avevo, era quella che non importava quante lacrime avessi versato, lui avrebbe fatto in modo di asciugarle e farmi dimenticare il motivo per cui le avevo versate. Era impossibile per Ethan nascondere quanto mi desiderasse, quanto fosse profondamente legato a me, quanto la sua passione diventasse disperata anche solo se gli passavo accanto, se lo sfioravo distrattamente, o lo guardavo da lontano in una stanza.

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