Capitolo 19 - Ali tarpate.

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Aspettai Mark a lungo quel primo pomeriggio, sorridendo quando mi accorsi che finalmente avevo ricominciato a contare le ore, i minuti, i secondi, che mi separavano da lui. Non succedeva da tempo, ma in quel grigio e freddo giorno di gennaio lo ricominciai a fare senza quasi accorgermene. Avevo guardato l'ora sull'orologio del forno a microonde in cucina, su quello in salotto, attaccato alla parete sopra la libreria, fino a cercare insistentemente il mio cellulare per convincermi che fosse passato più tempo di quanto mi aspettassi. Il rumore gracchiante del citofono finalmente riempì la stanza, così come i miei timpani, ed inondò il mio cuore della gioia di poter riabbracciare mio marito. Mi era mancato forse più delle volte in cui credevo di essere felice con lui, prima di Ethan. Trovai la cosa singolare ma non me ne stupii. Erano cambiate tante cose, era come se fosse passata una vita intera nello spazio temporale di un battito di mani e così, Mark era di nuovo nella mia vita e, in quel preciso istante, a pochi metri da me. Gli corsi in contro e lo abbracciai sul pianerottolo, sprofondando il viso nel suo cappotto gelido, lasciando che mi stringesse forte con le sue lunghe e tornite braccia.

«Fatti baciare.»

«Mi sei mancato tanto.»

«Davvero?» Domandò, prendendomi il viso tra le mani, prima di baciarne ogni centimetro, concentrandosi sulla bocca, dopo averla lasciata per ultima. «So che sei stata piuttosto indaffarata.»

«Davvero.»

«Come sta El?» Fu gentile a chiederlo ma io non lo fui altrettanto da rispondergli. Eleanor diceva di stare bene, ma i suoi esami erano a dir poco preoccupanti. Non si era mai mostrata scalfita davanti ai miei occhi, nemmeno una volta, ma il mantello d'ombra che mi abbracciava il cuore ogni qualvolta mi ritrovavo a guardare i suoi occhi azzurri, sembrava tradire il suo sempre più costante sdrammatizzare. Mark non insistette, cambiando espressione rapidamente. «Che ne dici di due passi?»

«Dico che ne ho proprio bisogno.»

Camminammo fianco a fianco per poco più di mezz'ora, fermandoci per un tè caldo vicino a Bryant Park, che ci scaldò appena, ma che non mi impedì di stringermi a lui e godermi le sue dita che mi stringevano dove potevano. Erano gesti innocenti quelli di Mark, non c'era alcuna parvenza di predominio sessuale, niente che mi facesse pensare che il suo stringermi la carne avesse un qualsivoglia tipo di doppio fine. Erano gesti automatici, forse nemmeno si rendeva conto di compierli, ma non facevano altro che gridare quanto stesse implorando di non perdermi. Non aveva sicurezze, nessuna certezza al di fuori del suo sentimento per me, forse l'unica cosa che lo teneva ancora al mio fianco, insieme alla speranza che se proprio la sua vita non sarebbe cambiata, quantomeno l'avrebbe passata insieme a me. Mi parlò come aveva fatto sempre, come faceva prima che distruggessi le nostre vite. Mi raccontò del suo viaggio, di un buffo tizio che aveva conosciuto in aeroporto, mi diede qualche indizio su cosa mi avesse portato da Boston e da Chicago che mi mandò ancora più in confusione, fino a che non notai un certo esitare prima di cominciare un nuovo argomento.

«Cosa vuoi dirmi?» Lui mi guardò e dunque distolse lo sguardo. Avvicinai la mano alla sua per richiamarlo, ma scosse il capo. «Mark, avanti...»

«La bambina...»

«È con lui.»

Avevo assistito alle sentenza seduta nell'ultima fila di panche in una sala del tribunale dei minori. Non ricordavo di essere mai stata così ansiosa come quella mattina. Ethan, in un completo di sartoria che sembrava essergli stato cucito addosso, ascoltava immobile il giudice pronunciare la sua lunga arringa, accanto al suo avvocato che di tanto in tanto si voltava per guardarlo. Si era sbarbato, tagliato i capelli, ed era più bello che mai, ma il suo sguardo serio e la mascella contratta erano solo i segnali più lampanti di quanto fosse teso. Barbara, in un completo Chanel identico a quello che indossò Jacqueline Kennedy il giorno dell'assassinio del Presidente, cosa che la diceva lunga sulla sua ormai più che palese teatralità, non staccò gli occhi da lui nemmeno per un istante. Si spostò un ciuffo di capelli biondi che le era sceso sul viso, portandosi una mano alla bocca per tossire, scoppiando poi in un pianto commosso quando fu certa che la sua nipotina sarebbe presto tornata tra le braccia del suo papà. Sorrisi, mi alzai e me ne andai prima di tutti. Volevo essere lì in quel momento, ma sapevo che mi ero appropriata ingiustamente di un momento privato di pura gioia. Lo feci comunque mio, lo rubai, constatando tristemente che quel sorriso emozionato, felice, trepidante che gli avevo scorto sul viso, non lo avrei mai rivisto rivolto nei miei confronti. Potevo avere tanto da Ethan, più di quanto mi aspettassi forse, ma sapevo anche che c'erano cose che insieme non avremmo mai potuto condividere. Era un pensiero martellante, frustrante, assolutamente sfinente, poiché l'ennesimo di una lunga serie che non facevano che accorciare il momento in cui le cose sarebbero cambiate.

Fleshly Connection - Connessione CarnaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora