Capitolo 5 - Caos.

4.2K 77 5
                                    

«Non riesco a crederci. Come hai fatto... come...»

«Non lo so.» Non avevo potuto più rimandare. Prima o poi Mark lo avrebbe detto ai suoi e probabilmente non ci sarebbe voluto ancora molto prima che la voce corresse e raggiungesse i miei o, ancora più probabilmente, Carla, sua madre, telefonasse alla mia in preda all'isteria.

«Puoi sistemare. Puoi farlo se vuoi, Daphne. È un matrimonio, non un gioco! Lo volevi, lo hai desiderato, sognato! Non puoi mandare tutto all'aria per qualche dubbio!»

«Non ho un solo dubbio, mamma, è questo il problema.» Mi sentii minuscola, seduta sulla sedia in cucina mentre mia madre mi gironzolava intorno portandosi le mani alla bocca, ai capelli e infine sul cuore, come se volesse chiedermi a gesti di ripensarci.

«Dunque vuoi farmi credere che ti sei svegliata, hai magicamente capito di non amare Mark e dunque che il divorzio fosse la cosa migliore. È questo che stai dicendo?»

«No, ma è complicato. Non puoi immaginare quanto lo sia.» Dissi, con più rabbia di quanto volessi metterci in realtà. Sapevo di dover rimanere calma perché la confusione di mia madre era dettata dal fatto che non aveva idea di quali fossero le mie ragioni e di certo non avevo il coraggio, né tanto meno l'intenzione di confessargliele. Presi un lungo respiro e tentai di quietarmi. «Voglio bene a Mark, voglio che lui sia felice e insieme a me questo non è possibile.»

«Devi lottare. Sei solo confusa, spaventata, ed è normale Daphne, ti capiteranno tanti momenti come questo nella vita, soprattutto in quella matrimoniale!»

«Basta così, Abbie.»

«Fletch!» Urlò mia madre, indignata che mio padre la stesse mettendo sul muto.

«Ho detto basta.» Mio padre si girò verso di me ed io non seppi interpretare la sua espressione. Era tinta dalla delusione e dall'amarezza, eppure non mancò nemmeno in quell'occasione di essere comprensiva, indulgente, carica di quell'amore incondizionato che lo aveva sempre portato a perdonarmi, a comprendermi, a giustificarmi anche quando sarebbe stato più opportuno redarguirmi. Fletcher era la parte razionale della coppia che formava con Abbie, che era invece e a tutti gli effetti quella frivola, sognatrice, che si faceva trasportare dalle emozioni e che non mancava involontariamente di dimostrarle, anche apparendo, talvolta, fin troppo teatrale. Guardarli insieme era uno spettacolo ogni volta più singolare, persino per me che li conoscevo esattamente da tutta una vita. Si completavano, il loro amore era così incredibilmente palese che ogni volta qualcuno ci si confrontava, se lo trovava davanti, era costretto a distogliere lo sguardo perché si aveva la sensazione che se li guardasse troppo a lungo, si sarebbe potuto facilmente rubare loro quegli attimi di intimità spontanei che però non sembravano voler nascondere. Mio padre toccava mia madre ogni volta che gli era possibile. Erano diventati gesti genuini i suoi, quasi involontari, eppure intrisi d'amore, devozione, stima. Le sfiorava la schiena, la abbracciava, le prendeva la mano o l'aiutava a sedersi spostandole la sedia. Le baciava le dita, i capelli, il naso. La guardava come se fosse l'unica donna al mondo e, in effetti, per lui lo era. Mia madre, d'altro canto, per quanto fosse estroversa e solare in tutte le altre occasioni, riceveva timidamente quelle attenzioni e alzava gli occhi al cielo scoppiando ogni volta in un sorriso quando mio padre gliele riservava. Ho sempre avuto il sospetto che per lei fosse importante rilegare l'intimità nel privato ma era indubbio quanto le premure di Fletcher la facessero inebriare dell'amore sconfinato che provava per lei. «Lo sapevo, Duffy.»

«Lo so che lo sapevi.» Ne ero certa. Mio padre lo aveva capito mentre mi accompagnava verso il giardino botanico, in auto. Aveva preferito non infierire o lasciare che sbagliassi da sola. Quella era la mia vita e lui non si sarebbe permesso di dirmi come avrei dovuto viverla.

Fleshly Connection - Connessione CarnaleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora