7. Il mio passato non ti riguarda

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È passato qualche giorno da quel pomeriggio. Andreas da allora si è limitato ad osservarmi, non mi ha più rivolto la parola se non nel caso in cui fosse veramente necessario.
Un po' mi dispiace, non sembrava una cattiva persona.
Forse lo sembro io.
Mi sono spinta troppo oltre quella volta, ho lasciato che la forza del mio lato emotivo superasse quella della ragione ed ho sbagliato: ho quasi lasciato che mi scoprissero.
Non posso più permettermelo.
Non posso permettere che le mie emozioni abbiano la meglio.
Il cancello della cella emette un acuto stridio ed io mi giro di scatto quasi cadendo dal davanzale della finestra su cui sono seduta.
È lui. Chissà che vuole adesso.
-Buongiorno – mi saluta, ovviamente sorridente.
Ha in mano due cappuccini presi dalle macchinette. Si avvicina e me ne porge uno.
Scherza?
-Sai che se ti dovessero beccare potresti venire licenziato? – gli faccio notare. Lui fa spallucce.
-Mi piace correre rischi. E poi, quand'è stata l'ultima volta che hai fatto colazione? –
Scuoto la testa prendendo il bicchierino tra le mani.
Mi mancava il sapore del cappuccino. Qui l'unica cosa che posso mangiare è un misero ed insipido brodino. E solo al sabato ci è permesso "esagerare" con un pezzo di pizza perlopiù sempre bruciato, freddo o riscaldato dal sabato precedente.
-Sai, pensavo che avremmo potuto continuare la conversazione dell'altra volta, mi dispiace per come si sia conclusa, volevo solo conoscerti meglio –
Il cappuccino mi va quasi di traverso e così tossisco.
-No – rispondo a mezza voce, forse in modo troppo diretto.
-Cosa? –
-Mi spiace, non posso –
-Mi piacerebbe sapere solo un po' di te e... –
-Non ti riguarda! – gli urlo contro.
Tace e sorseggia il suo cappuccino.
-Scusami – sussurra poi. Si sente visibilmente in colpa.
Mi passo una mano tra i capelli e guardo in basso, a disagio.
-No, scusami tu. Esagero sempre –
Non risponde.
-Senti, davvero, mi dispiace. Ma metti da parte il tuo piano di fare amicizia e limitiamoci ad essere io la paziente e tu la guardia che deve semplicemente stare attenta che io non faccia danni. Niente di più, non mi piace parlare del mio passato –
Annuisce, mi guarda per qualche istante e poi va via.
A volte penso di essere io il problema: anche al di fuori da qui, non sono mai riuscita a farmi degli amici perché il mio caratteraccio unito a quella che può sembrare indifferenza ma in realtà è una timidezza ostinata non mi sono mai stati d'aiuto nei rapporti umani. Ho sempre allontanato con i miei comportamenti le persone che cercavano di entrare nella mia piccola e assurda dimensione, molto spesso senza che io nemmeno mi impegnassi nel farlo. È stata sempre una parola sbagliata, un gesto, un'occhiata, che hanno lasciato uscire facilmente dalla mia vita le persone alle quali provavo ad affezionarmi. È per questo che non ho mai avuto nemmeno un ragazzo. Nessuno si è mai interessato a me in quel modo.
Anzi, uno c'era, sembrava davvero innamorato di me, ma ha fatto la fine di tutti gli altri quando si è trovato davanti alle mie paranoie, i miei lati assurdi, i miei sbalzi di umore, i pensieri insensati e le lune storte ogni giorno che lo hanno fatto andare via.
Mia madre mi diceva che un giorno avrei trovato la persona giusta e sarebbe stato diverso. Ma ho sempre temuto che quando sarebbe successo, quando quella persona mi sarebbe passata davanti, io avrei avuto gli occhi e la testa altrove. E l'avrei lasciata andare.
Prima che potesse andarsene da sola.

-Che è successo con quello là? – mi chiede Nicole mentre camminiamo, indicando Andreas con la testa.
-Ha cercato di conoscermi e questo mi ha dato fastidio –
-Dai, l'ha fatto con tutti, non voleva essere invadente –
-Ed io non volevo essere scorbutica, non è l'unica persona i cui comportamenti vengono fraintesi – mi scaldo.
-Sei assurda – ridacchia.
-È uno dei miei lati migliori – mi lodo – E comunque ho solo fatto una figura di merda con lui, sono scoppiata a piangere come una bambina –
-Senti Cate, davvero, cosa c'è di così tremendo del tuo passato da provocarti questo rifiuto nel parlarne? – Nicole torna seria.
Ma cosa fa pensare a tutti che nel mio passato ci sia qualcosa che non va?
-Probabilmente niente, ma una sola parola sbagliata potrebbe cambiare tutto, quindi meno parlo e meglio è per me –
Lei non risponde, ma resta visibilmente delusa.
Mi dispiace, lei mi ha raccontato tutto di sé, della persona che era fuori dalle mura di questo ospedale, della sua famiglia, dei suoi amici, ed io mi sono sempre limitata a restare sul vago, aumentando le sue curiosità sul mio conto.
Ho davvero bisogno di parlarne con qualcuno, qualcuno di cui possa fidarmi, ma anche questi cinque mesi mi sembrano poco tempo per potermi fidare di lei.
Trovavo difficile anche confidarmi con i miei genitori, che mi conoscevano più di chiunque altro, figuriamoci con quella che solo adesso per me sta diventando un'amica.
Ho bisogno di più tempo.
Il timer che conta i dieci minuti di uscita suona sul polso di Andreas e lui mi sorride facendomi cenno di rientrare.
Come fa a comportarsi ancora amichevolmente nei miei confronti? Come faccio io a non riuscirci?

Keep me close #Wattys2019Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora