16. Io, lui e il mare

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È maggio. Assurdo come il tempo sia passato così in fretta in questi mesi. Tra poco sarà estate, nella cella già inizia a fare caldo e a volte diventa insopportabile.
Lascio che l'acqua fredda della doccia mi rinfreschi e poggio la testa contro le mattonelle del muro. Non voglio trascorrere l'estate qui dentro. Non voglio più starci.
Se mi fermo a pensare anche per un attimo al motivo per cui sono qui, finisco per impazzire, perché molto spesso il bene che le voglio non riesce a superare il mio desiderio di essere libera.
Chiudo l'acqua ed esco dalla doccia coprendomi con un asciugamano.
Sento bussare insistentemente alla porta del bagno.
Sicura che sia Mathilde, dato che questa mattina non è ancora passata a somministrarmi le medicine, apro la porta, ma la figura che mi trovo davanti è quella di Andreas.
Resto con la bocca leggermente aperta mentre lui è visibilmente imbarazzato.
-Oddio scusami - mi fa grattandosi la testa e guardando altrove.
-No, avrei dovuto assicurarmi di chi fossi prima di aprire, è colpa mia -
-Okay, non ce la faccio ad aspettare che ti cambi, devo dirtelo - muove davanti ai miei occhi una busta da lettere, tutto felice.
La afferro confusa. Lui mi guarda senza dire nulla, continuando a sorridere.
La apro e leggo velocemente le prime righe.
È un certificato medico.
-Non ho bisogno di fare queste visite - sbuffo al pensiero di dover tornare in ospedale. È passato solo un mese dall'ultima volta che ci sono stata.
-E non le farai - sorride lui - L'ospedale non è a conoscenza di questo certificato, però dista da qui circa 300km ed è una buona scusa per uscire da questa prigione per un paio di giorni-
-Non ci credo - spalanco gli occhi.
-Credici, principessa -
Gli butto le braccia al collo e lo abbraccio.
-Andre ma se ti beccano? - chiedo staccandomi improvvisamente.
-Non solo ti porto fuori città, devi pure farmi venire i complessi- mi rimprovera.
Ridacchio.
-Hai ragione, scusa, quando partiamo? -
-Adesso? - propone.
Non mi trattengo e urlo prima di rientrare in bagno.
-Ti lascio i vestiti sul letto - urla lui prima di uscire dalla cella.
Sono mesi che non indosso qualcosa di un colore diverso dal grigio (senza contare il vestito del mio compleanno). Siamo costretti a indossare delle orribili tute e il primo giorno ci sequestrano i nostri vestiti.
Pensavo li buttassero e mi fa piacere vedere piegati sul letto i pochi vestiti che mi ero portata da casa.
Infilo velocemente un jeans e una maglietta bianca e dopo 10 minuti Andreas viene a prendermi.
È sorridente. E lo sono anch'io.
Do un'ultima occhiata alla stanza, come se fosse l'ultima volta che la vedo. Ma purtroppo non è così.
-Pronta? -
-Mai stata più pronta di così -
Si avvicina, infila la mano tra il mio collo e i capelli e mi dà un bacio sulla guancia.
Così, senza un vero motivo, senza una scusa.
Forse è per questo che mi fa così tanto piacere.
Poi si gira e, senza assicurarsi che lo segua, mi conduce fuori da questa prigione.
Quasi non ricordo più com'è il mondo.
I cancelli si chiudono automaticamente alle nostre spalle ed io respiro a fondo l'aria pulita che sa di libertà.
Andreas si avvicina ad una moto e mi porge un casco.
-Davvero? - mi si illuminano gli occhi mentre lo afferro velocemente. Ho sempre amato le moto, mio padre ne aveva una e da piccola ogni occasione era buona per farmi portare in giro per la città - Non pensavo guidassi la moto -
-E io non pensavo che ti avrebbe fatto così piacere - ridacchia.
- È bellissima - dico infilandomi il casco.
Provo ad allacciarlo fallendo ovviamente al primo tentativo.
Riprovo e falliscono anche i seguenti cinque.
-Ti aiuto io - dice Andreas che il suo lo ha già messo ed ha anche acceso la moto.
-Nono, ce la faccio - continuo a provarci ma l'aggancio non ne vuole sapere di collaborare.
-Dai vieni qua - insiste lui ridacchiando.
Altre quattro tentativi e mi arrendo.
-Sei testarda però eh - mi sorride mentre mi allaccia il casco facendomi sentire un po' piccola.
-Non sono una che si arrende facilmente - lo imito mentre con una mano mi aiuta a salire sulla moto dietro di lui.
Lui mi sorride ricordandosi di una delle prime cose che mi aveva detto quando ci siamo conosciuti.
Mi stringo a lui e parte.
Sento il vento farmi svolazzare i capelli e alzarmi leggermente la maglietta sul fianco, facendomi rabbrividire.
-Dove mi porti? - chiedo mentre siamo in viaggio già da un po'.
-Ti piacerà - si limita a rispondermi.
Andreas va abbastanza veloce sulla moto ma mi fido di lui e così dopo un po' inizio a rilassarmi e lui se ne accorge.
-Pensavo avresti continuato a stritolarmi per tutto il tempo - ridacchia.
-Potevi dirmelo se ti facevo male - dico imbarazzata accorgendomi solo adesso di quanto lo abbia stretto.
-E perdermi l'occasione di essere stretto così? Nah - risponde sornione.
-Scemo - lo rimprovero ridendo.
Alzo una mano al vento prima di urlare. Andreas ride forte ed io urlo di nuovo.
Mi sento libera.
Non mi sono mai sentita così in diciassette anni.
Dopo un po' davanti a noi riesco a scorgere una leggera linea di confine che si confonde con l'azzurro del cielo.
-Il mare - sussurro emozionata.
Non riuscivo più a immaginarlo nell'istituto.
Non pensavo che Andreas tenesse così tanto a me. Insomma, farmi uscire, falsificare quei certificati per farmi tornare a vivere per un po', nel mondo vero. Non penso avrebbe fatto questo per una qualunque. E mi fa stare bene sapere che per lui io non sia una qualunque. Era da un po' che non lo ero per qualcuno.
Chiudo gli occhi e ripenso ai miei genitori, forse gli unici che tenessero almeno un po' a me prima di lui.
Ripenso a mio padre, che si è sempre annullato per rendermi felice. Che mi ha sempre dato tutto, anche quando non avevamo niente. Che per me è stato davvero quell'eroe che tutte le bambine sognano.
Quando riapro gli occhi provo ad immaginarmi stretta a lui, prova a immaginare le strade di Manchester che scorrevano davanti ai nostri occhi mentre da piccola pensavo di volare con lui sulla moto. Provo a sentire il suo profumo, il profumo di mio padre, il profumo della mia città.
E invece sento l'odore del mare. E il profumo che all'istituto mi avvertiva sempre della presenza di Andreas, anche quando avevo gli occhi chiusi.
Lo stringo un po' di più sperando se ne accorga.
E se ne accorge.
La sua mano si poggia sulla mia e me la accarezza dolcemente.
A volte penso che sappia tanto di me, che riesca a capire i miei pensieri, che riesca a capirmi senza il bisogno che io apra bocca.
E per me questa è una sicurezza. Perché non sono mai stata capace di mettere a nudo le mie debolezze, ma lui sembra riuscire a farne un punto di forza per entrambi.
La moto rallenta prima di fermarsi del tutto sul lungomare.
Scendo e appena Andreas mi toglie il casco corro giù in spiaggia.
Mi tolgo le scarpe e le lascio a metà strada mentre corro sulla sabbia.
Corro e corro ancora. La spiaggia non mi è mai sembrata così estesa, ed il mare mai così vicino.
Mentre corro sento le lacrime rigarmi il volto ma questa volta non lo sento quel macigno sul cuore che mi faceva singhiozzare.
Questa volta sono tranquilla, sono serena.
Sono felice.
Ho quasi paura a dirlo.
Finalmente sulla riva l'acqua mi bagna i piedi.
Resto ferma un po' a fissarla e a sentire il freddo salirmi dai piedi e diffondersi in tutto il corpo. Non mi dà fastidio.
Vedo l'ombra di Andreas avvicinarsi dietro di me.
Mi giro, mi sta sorridendo.
Io scoppio a ridere. Rido forte.
Rido tanto mentre le lacrime mi bagnano ancora il viso.
Non riesco a credere di essere qui.
Per un momento, riesco a dimenticare tutto.
Chi sono, da dove vengo, le persone che hanno fatto parte della mia vita, quello che mi hanno fatto, quello che ho fatto io.
Non mi importa più di nulla.
Ci siamo solo io, Andreas e il mare.
Ed è l'unica cosa importante per me adesso.
È una cosa troppo grande e bella da esprimere a parole.
Grazie Dio.

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