Ritorno in California

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"E mentre qualcuno ti perde
Qualcun altro ti ritrova."

RACHEL

Erano passate circa due settimane dal mio risveglio, e quattro giorni dal mio ritorno a casa.

Casa. California.

Il posto in cui ero nata e cresciuta, prima di girare il mondo. Mi sembrava che fosse passata un'eternità, eppure restava comunque casa mia.

Non ricordavo cosa ci facessi a Washington, mi era stato detto di aver iniziato il College proprio lì, ma non riuscivo a ricordare, però ricordavo che dicevo sempre di volere cambiare aria e costruirmi una vita, ero stanca di seguire i miei genitori. Questo lo ricordo, poi nient'altro.

I miei avevano insistito tanto per farmi tornare in California, il medico aveva detto che dovevo stare a contatto con persone a me care per far in modo che i ricordi potessero tornare più facilmente, ma io sentivo che la loro voglia di stare con me nascondeva qualcosa sotto. Chiesero un trasferimento immediato di College, tra qualche giorno avrei ripreso a studiare, mancava ormai poco e avrei finito il primo anno.

Il mio corpo era ancora debole, ma giorno per giorno riprendevo le mie forze. Mi sentivo, però, come se mi avessero tolto una parte di me. Sentivo un vuoto dentro, non riuscivo a capire a cosa fosse dovuto, mi sforzavo di ricordare ma ogni volta che lo facevo il risultato era solo un forte mal di testa.

Le uniche immagini impresse nella mia mente risalivano proprio a quattro giorni fa, quando andai a preparare i miei bagagli. Una ragazza, Camille, mi fissava in silenzio e con le lacrime agli occhi, io mi sentii parecchio in imbarazzo. Appena finii di prendere la mia roba andai verso la porta, lei mi bloccò un braccio e facendomi girare mi strinse forte a sè.

"Ti ricorderai di tutti noi, Rachel, e tornerai presto... io ti aspetterò." Sussurrò tra le lacrime, per poi lasciarmi andare.

In quel momento sentii qualcosa dentro, una sensazione strana, tutto in me mi urlava di restare. Qualcosa mi diceva che era quello il mio posto, qualcosa... ma chissà cosa.

Per il momento non riuscivo a trovare la forza di tornare lì, non avevo abbastanza motivi per farlo.

"Tesoro ho finito di sistemare la tua stanza finalmente, ci sono fin troppe cose là dentro, prima o poi dovrai togliere gli oggetti superflui." Spuntò mia madre in salone, sedendosi sulla poltrona accanto a me.

"Prima o poi, forse." Risposi ridendo, sapendo che non l'avrei mai fatto, di conseguenza sbuffò.

Sentimmo provenire della musica dal seminterrato e dei pugni, dovevano sicuramente essere  Tyler e Jared.

Mia madre alzò gli occhi al cielo, pronta a sgridarli.

"Ora mi sentiranno, e tuo padre deve smetterla di comprargli sacchi da box, ne abbiamo piena la casa!" Si lamentò, rossa in viso.

Scese giù, ed io restai ferma sul divano pronta a sentire la sua voce furiosa, proprio quando staccò la musica.

"È quasi ora di pranzo, Tyler non puoi fare tutto questo baccano ogni volta che Jared passa a trovarci! I vicini prima o poi si lamenteranno, e io non voglio che pensino che non sappia insegnare l'educazione ai miei figli! Jared, anche tu, non dai il giusto esempio a tuo fratello. Diamine!" Concluse, sbattendo forte la porta.

In lontananza sentii le risate dei miei fratelli, non riuscivano mai a prenderla sul serio, d'altronde si ritrovava una vocina talmente piccola e dolce che era impossibile prenderla tanto sul serio.

"Sono tornato amore." Disse mio padre, dirigendosi verso mia madre e lasciandole un leggero bacio sulle labbra.

"Va' a rimproverare i tuoi figli Ashton, sul serio. Non possono mettere la musica a tutto volume e fare sempre a botte. Non potevano praticare un altro sport?! Tipo... tipo il nuoto?!?!" Chiese sbuffando, facendo ghignare perfino mio padre.

"Hai sposato un campione di box, ti aspettavi che gli insegnassi semplicemente a battere le mani? E ora, se permetti, vado a metterli K.O." Le scombinò i capelli e scese giù ridendo.

Mio padre sapeva essere davvero un bambino quando voleva e mia madre ne era ormai rassegnata.

Invidiavo il loro amore così perfetto, sembrava quell'amore che leggevi nei libri, che ti faceva sognare e credere davvero che esistesse. Io non ci credevo, ma osservando loro una piccola speranza mi restava sempre dentro.

"Vado a fare una passeggiata." Annunciai, prima di chiudere la porta.

Iniziai a camminare e come ai vecchi tempi arrivai al parco, sedendomi su una panchina.

Mi sembrava di non fare passeggiate da una vita, che mi era successo in questi mesi? Dio, Rachel, ricorda... ricorda... niente.

Persa tra i miei pensieri, mi arrivò una palla da basket dritta in faccia. Alzai il viso e vidi in lontananza un ragazzo avvicinarsi.

"Scusami, davvero, sono mortificato..." disse velocemente, grattandosi la testa.

"Oh, va tutto bene tranquillo." Risposi, restituendogli la palla.

"Che figura, ehm, io sono Cody." Disse poi, sorridendomi.

Aveva dei denti così bianchi e perfetti da sembrare quasi finti. Mi fermai ad osservarlo meglio, aveva i capelli rasati e castani, proprio come gli occhi. Un fisico asciutto ed alto, nessun particolare strano, nessun piercing, niente di niente.

"Quindi? Accetti?" Chiese, facendomi tornare alla realtà.

"Oh scusa, cosa dovrei accettare?" Chiesi, non avendolo ascoltato.

"Una semplice uscita, per farmi perdonare. Ti va?" Propose.

Un'uscita... beh, non lo conoscevo nemmeno, mi aveva solamente colpita con una palla da basket. E se voleva farmi del male?

Oh andiamo Rachel, è un bel ragazzo, un'uscita che sarà mai... sì, forse potrei uscirci. Mi limitai ad annuire.

"Perfetto, ci vediamo domani alle 7 p.m proprio qui..." si fermò, forse voleva sapere il mio nome.

"Rachel. Mi chiamo Rachel." Dissi fissandolo.

"A domani, Rachel." Sorrise, per poi andar via.

Avrò fatto bene ad accettare l'invito di un perfetto sconosciuto? Beh, l'avrei scoperto domani.

Forse era l'inizio di una nuova vita dopo il mio risveglio dal coma.

Come Back To MeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora