Verità sintetiche

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Sull'amore ti vendono un'infinità di verità preconfezionate. Un sacco di leggende metropolitane, storie tramandate di generazione in generazione.
Sono come le gomme da masticare al supermercato che vengono posizionate accanto alla cassa. Stanziate lì, inermi, incredibilmente tentatrici. Alla fine non sai bene il perchè, ma in quel preciso istante ti sembrano un'assoluta necessità e finisci per prenderle. È un meccanismo di sottomissione intenzionale al quale ci pieghiamo senza dignità.
E anche di queste verità sintetiche, ce ne sono di tutti i gusti.
Prima delle quali: la fine di un amore è devastante, è come un lutto. Ti intimoriscono, lo raffigurano come un demonio malefico che ti divorerà, ti spezzera, ti smembrerà, ti frantumerà in mille pezzi.

Ho visto persone morire per amore. Scegliere di non alzarsi più dal letto, smettere di sorridere, di ridere, di vivere. Divenire deperiti e sciupati, con il cuore non più in grado di gestire un minimo rapporto umano. Neppure in modo informale, sterile.

- Salve, desidera? Ha bisogno di qualcosa? -

Silenzio.
Il buio.
Le conversazioni sembrano ostacoli insormontabili, le persone sono nemici, la loro gentilezza è falsità, non si ha più la voce per pronunciare le parole. Si disimpara la comunicazione.

Io invece non ho sofferto.
Lo dico con una punta di cinismo e una di orgoglio. La mia era una sconfitta, ma nulla mi impediva di sentirmi gioisa e ilare. Non volevo pensare.
Mi sono addormentata una sera e ho pensato:

- Da domani rinasco. -

Il mattino seguente era tutto più accattivante. Avevo voglia di uscire, ridere, divertirmi, passare un pomeriggio intero in biblioteca. Non dovevo chiamare nessuno, avvisare nessuno, interpellare nessuno. Ero solo io. Non c'era un limite di tempo. Nessuno che mi imponesse la sua presenza.
Per un lungo periodo mi sono sentita bella, forte, sicura di me. Ero inarrestabile.

Poi ho percepito qualche scaglia di vetro ancora conficcata nel petto. Mi portavo dietro tutto il male che mi avevi fatto, era come un gigantesco mostro sopra la schiena. Non mi mancavi, non soffrivo, ma ero sanguinante, morivo di dolore nei momenti di vuoto. Sentivo ancora il tuo veleno corrodermi l'anima. Avevo solo il tuo veleno in corpo. Nessuna traccia di te.

Quando ha iniziato a subentrare la tristezza in modo incredibilmente più invasivo, ci sono state attenzioni nobili che mi hanno fatta sentire cullata. Mi hanno salvata. Mi sono detta:

- Vivo per gli amori come questi -

Il vino versato delicatamente nel bicchiere intervallato da un
- Cin cin - e un abitudinario scontro.

I sorrisi audaci, il modo morbido di sfiorarti e afferrarti, la voce flebile, come per non scalfirti.
Chi sceglie di passare la serata con te a fare continue - pause sigaretta - anche se non fuma, il divorarti con gli occhi.
C'è qualcosa di estremamente piacevole e soave nelle persone di seta che mi lascia addosso soltanto armonia.

Tuttavia, non mi lasciavo afferrare. Ero dispersiva, scivolavo via dalle mani di chiunque, ero sfuggente.
Non ero pronta per nessun amore. Terrorizzata, non perdevo occasione per volarmene via. Mi rintanavo nel mio nido protettivo, di parole e sogni.

Mi odiavo per questo mio spirito codardo.

Poi da un certo punto in poi, mi sono risposta che andava bene così.
Ogni giorno mi trascinavo fuori dal letto sfiduciata e gli sguardi addosso a me mi sembravano pura ipocrisia, avevo un filtro di innocenza applicato sul miei occhi, impossible da ignorare. Nessuno mi avrebbe mai più strappato l'anima dal petto, con nessuno mi sarei più prestata al gioco del possesso, ero di marmo.
Gelida. Impenetrabile.
Ho iniziato poi, lentamente, a perdonarmi questo atteggiamento arido. Mi ripetevo:

- Va bene, va bene tutto. Ogni cosa a suo tempo. Va bene che tu ti senta timorosa a tenere la mano ad una persona nuova, che tu non te la senta di sperperare baci, che tu abbia un sussulto una volta constatato il fatto che si tratta di un odore diverso, che tu non sia affettuosa, che i tuoi gesti siano casuali e privi di armonia, che tu esca senza trucco. Va bene tutto e te lo devi perdonare, va bene una brioches in più, due ore in meno di sonno per restare sotto casa con un grande amico a parlare. E va bene anche se a parlare sei solo tu, risultando quasi robotica, perchè chi ti ama capisce sempre e non perdi la tua fama di buona ascoltatrice. Va bene che tu arrossisca quando ti dicono che hai gli occhi belli, che tu non sappia più come comportarti e che tu fugga via. Va bene che tu abbia tante ferite aperte malgrado tu non lo dia a vedere, perchè hai già fatto miracoli e hai spostato l'universo.
Quindi, conceditelo.
Quando ti sale quell'oscura tristezza che ti strangola la gola prima di incontrarti con un'amica, rallenta il passo, fermati per qualche secondo, strizza gli occhi e respira intensamente.
Riprendi a camminare solo quando tutto è passato.
Concediti di non essere pronta per un amore, un rapporto effimero o qualsivoglia situazione ti capiti di avere la possibilità di vivere. Perchè è sana la voglia di amare, ma non va bene la ricerca assidua dell'amore. -

E piano piano capivo che dovevo estrapolare solo il bello, conservare solo quelle sensazioni che mi lasciavano addosso, la sensazione di essere preziosa e di dover essere adagiata su lenzuola di seta.
Qualcuno aveva avuto l'accortezza di notarlo, ed era proprio quella raffinatezza a farmi sperare in un amore meritevole.
Spiragli di amore che assorbivo. Parole di amore che origliavo. Contrastavano il veleno, mi facevano sentire leggera, in punta di piedi su un palcoscenico che era stato allestito solo per me.

Ho imparato a sopravvivere così.

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