Pugni violenti nello stomaco

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Non capisco come si possa privare una persona dei suoi effetti personali dopo dieci mesi dalla conclusione di un rapporto. Con quale presunzione. Arroganza.
Privare della propria identità, denudarla dei suoi averi, un tentativo di proclamare una vittoria che non ha nome. Come se non bastasse: il ricatto del dialogo. No, non ho parole da regalarti. No, non mi tirerai di nuovo pugni nello stomaco, non mi scuoterai da testa a piedi infarinandomi di malvagità, non avrai questo lusso, né l'occasione di parlarmi. Non lascerò che ci sia nemmeno la minima possibilità che tu possa intaccare la mia serenità. Hai solo veleno da insidiarmi sotto la pelle, ne ho ancora innumerevoli scorte. La più recente di quest'estate. Me lo hai fornito pur essendomi distante. Me lo hai spedito come in una cartolina.

Come quando è stato fatto il mio nome, per caso, ad uno sconosciuto che non ha potuto trattenersi dal dire che gli era noto, che era stato protagonista dei tuoi discorsi per mesi. E due settimane dopo hai preso sotto mano un viaggio che avevamo fatto insieme, il primo che ti è capitato, stesso hotel, stesso volo, stesso itinerario. E lo hai replicato con una figura da compagnia, perdona la sfrontatezza, ma in altri modi non posso definirla.
Conosco i tuoi discorsi sull'unicità della persona e le tue convinzioni sul momento irripetibile, so quanto ci credi e quanto sei geloso dei ricordi, della loro purezza, la tua ossessione sull'unicità era frequentemente motivo di lite. È stato solo un dispetto, una cattiveria. Uno sputo in faccia. Un'umiliazione. Un pugno nello stomaco.

- Non posso cancellare. Allora inquino. -

Mi ha frantumata. Ho fatto lo stesso sogno per un mese intero, quando dormivo. Ho perso il conto dei pasti che ho saltato. Non riuscivo a credere che mi avessi nullificata. Hai sabotato quello che doveva essere il mio viaggio immersivo nella natura e lo hai fatto diventare un inferno di incubi a luci spente. Alla fine sono tornata a casa.

Hai fatto con lei persino le tappe non previste alle quali avevo accennato io. Quelle che non siamo riusciti a fare per mancanza di tempo. È stata una ridicola simulazione. Lei era la controfigura. Magari migliore.
Ha i capelli più lunghi di quanto li avessi io quando mi hai conosciuta. Il suo corpo è acerbo e non ha forme generose come le mie, fisicamente e intellettualmente mi sento una donna, non mi sono comparata, non la ho invidiata, non la ho odiata.

Sappi solo che non è me. Non lo sarà.

Non ti auguro nulla di spiacevole: solo che lei un giorno apra un tuo cassetto e ritrovi la mia biancheria. Nient'altro. Sarebbero le tua patetiche menzogne balbettate a smascherarti.
Vittima della tua stessa cattiveria.

Sai, l'ho vista. Stavo lavorando un giorno e ho visto avvicinarsi proprio quel viso. Mi ha guardata come quando osservi distrattamente e poi ti rigiri bruscamente perchè hai notato qualcosa che conosci, che vuoi mettere a fuoco.

- È lei. -

Sono io.
Sono lei.

Non sembra mi veda come una minaccia, raramente sono etichettata come tale da quelle che vengono dopo di me, non interferisco nelle loro vite, non mostro gli artigli e sono innocua.

Ogni tanto setaccia la mia immagine e i suoi derivati, come a tenermi d'occhio. A controllarmi.
Non è me che dovrebbe temere, non è di me che dovrebbe avere paura.

Sappi che non chiederò mai più a nessun uomo pareri riguardanti il mio aspetto, il mio abbigliamento, la mia persona. La scelta sarà sempre e solo mia e lui si adeguerà al mio gusto. Non permetterò a nessuno di imporsi sul mio piacere e sulle mie scelte. Di dirmi che una gonna è troppo corta, che una maglia è troppo scollata senza essere interpellato, o che viceversa, non sono abbastanza volgare per i suoi gusti.

Gli risponderò:

- Comprati una bambola gonfiabile. -

Ho esultato quando mi sono sentita libera di scegliere, dopo che ne ne sono andata, sì, la manipolazione fa anche questo: esultare per la possibilità di scelta.

- Oggi indosso una gonna corta rossa e mi sento bella. -

Mi hai tolto persino la spontaneità di parlare con tua madre, che mi butta parole addosso e domande neanche troppo comode, con un piede sulla soglia. Le rispondo che no, non sono stata con nessun altro e che mi preservo.
Le frequentazioni non sono mancate, ma non ho concretizzato nulla, mi rendevo conto di non farcela e di non desiderarlo in quel momento. Spesso avrei voluto urlare. Ho annegato tentativi di baci nelle mie parole annacquate, sono fuggita per regalare qualche bacio solo a chi lo meritava davvero. Si contano sulla dita di una mano, queste persone. Neppure. Baci miracolati.

Non so quanto ci vorrà. Ho ancora troppo dolore da smantellare.

Chissà quanti uomini dovranno ancora pagare il prezzo dei tuoi errori madornali, mi mortifica il pensiero. Ricevo solo delicatezza e lusinghe, tento di rapportarmi con loro ma non mi esce nulla di diverso da un atteggiamento amichevole, non mi ricordo più come si fa. Spero che accada solo nel modo più morbido possibile e che io mi ritrovi all'interno senza dovermi continuamente interrogare sullo stato del mio dolore.

Mi viene in mente una persona, di dolce compagnia, che quando siamo in macchina spesso si gira arricchendo il mio nome di diminutivi, è infinitamente delicato e io estremamente timorosa. Queste persone lo meriterebbero un passo avanti. Un atto di coraggio. Mi detesto.

Mi sento intera e completa, ma mi tremano le ginocchia e la mia mente si annebbia quando incontro persone riconducibili a te. Non compro determinati alimenti che consumavamo insieme, ho lasciato a metà trecento serie iniziate insieme a te, senza più riprenderle. Ci sono cose che ho lasciato intonse. Devo ancora digerire dolore.

Non ce la faccio.

Sento di essere ancora così lontana dal traguardo.

Il dolore mi pizzica come i maglioni di lana dura irlandese che indosso.

Ti ho vomitato addosso un addio e tale rimarrà.

Non mi riavrai.

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