Luce

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Ancora non riesco a capacitarmi di come sia accaduto, ero fermamente convinta di avere sottomano la situazione e riuscire a governare gli eventi. Ero equilibrata, emotivamente stabile. Mi giostravo suppergiù in quell'eccesso di opportunità che mi si spalancavano davanti.

Vittima consapevole di audacia e curiosità, improvvisamente un giorno mi ritrovai in un vortice di emozioni sconnesse e contrastanti, senza capirne il senso, la logica, la direzione.

Tu sei stato sempre lì, in penombra.
Io ero troppo presa da me stessa e dai miei dolori ardenti, troppo impegnata ad aggiustare quel poco che rimaneva del mio cuore, concentrata sui miei obiettivi e sulle mie rivincite quotidiane. In continuo esercizio, in continua tensione. Giocavo ad essere una superdonna. Mi spingevo al limite, mi sgretolavo e prosciugavo tutte le mie energie, a volte mi raccoglievo in timidi pianti contenuti nell'angolo della stanza, tanto abusavo delle mie forze.

Poi smisi di autodistruggermi.

Avevo fornito sufficienti dimostrazioni a me stessa e agli altri.

Successe che, un giorno, finalmente presa una tregua da questa vita ingovernabile, smisi di vederti di sfuggita e senza contorni delineati, iniziai a guardarti. A metterti a fuoco, ad osservarti. A cercarti, a seguirti con gli occhi, a tracciare i tuoi percorsi.
Merito di un contesto strano, che mi permise di studiarti a fondo e metodicamente.

Eri una fotografia animata.

Il fratello del mio più caro amico, che tornava dal lavoro stanco all'una di notte, fumava una sigaretta in cucina con latte e cereali e si catapultava nel letto.

Questo sapevo di te.

Null'altro.

Ma venni rapita dai tuoi movimenti, morbidi e armoniosi. Con le dita immaginavo di dover disegnare in aria le tue mani, i tuoi avambracci, i tuoi polsi, ero stregata dalle tue movenze, da tanta poesia in un uomo.

- Deve essere dolcissimo - pensavo.

Fingevo sempre di avere appetito. Sete. Bisogno di fumare. Per guardarti muovere ancora nella mia direzione.

- Ti va un caffè? -
- Sì, grazie! Ne sentivo proprio il bisogno, sai.. La stanchezza si accusa dopo un po' -

Non era vero niente.

Parole pescate a caso in un cestino di vocaboli. Parole di circostanza.

Volevo solo moltiplicare i minuti insieme.
Quei piccoli momenti con te nei quale ci ritrovavamo a parlare di sogni, velleità, passioni, felicità rarefatte, a recensire film, libri, a raccontarci la giornata trascorsa, a ridacchiare per la voce rauca di un individuo poco raccomandabile con il quale avevi interagito.

Hai sempre avuto un talento per le imitazioni. Dici qualche frase buffa, poi enfatizzi con il tono di voce, gli cambi intensità e profondità e muovi le mani di conseguenza.

Mi parlavi con il sorriso e gli occhi dilatati.

- Forse c'è speranza - pensavo.

Ridevo. Ridevo.
Ridevo ancora.
Di gusto.

Per la prima volta sentivi il suono della mia risata senza interruzioni.

Sei il migliore cantastorie mai esistito. Questo lo penso tuttora.

Si stava tessendo un filo tra di noi, anche se fingevamo di non accorgercene.

- ... Incredibile davvero? Ah ah, ancora rido al pensiero.. -

Ti freni un istante. Guardi l'ora.

- È tardi, scusa, domani lavoro. Meglio che vada a dormire.. -

-..Verrei con te.. -

-...Buonanotte.. - e un parente lontano di un sorriso.

Sola.

Mi copro le mani di vergogna. È stato il mio corpo a sputare fuori quella frase, non ha attraversato il mio pensiero.

Con te persino il mio corpo prende vita. Non riesco a dominarlo. Ho paura.

Finalmente un giorno, senza malizia e con un tono innocente, angelico, di quelli che hai solo tu, mi chiedesti di fare colazione.

Ebbi una sensazione strana, mi costringevo a non avere aspettative ma eravamo così complici e complementari che sarebbe stato uno spreco.

- Uno spreco di energia positiva - Mi ripetevo.

Ma rinnegavo ogni .
Rinnegavo il pensiero.

Come rinneghi, tuttavia, un pensiero che ti ha invaso la mente. Ero pervasa.

Nulla di che. Non successe nulla di che.

- Forse mi sta bene così - mi dissi.

Una sera, uscii con un ragazzo conosciuto a lavoro per un "appuntamento", (se vogliamo definire con questo termine un banale incontro tra due persone di sesso opposto), ed ebbi la risposta. Incredibile quanto possano diventare sterili gli incontri, ero nauseata da tanta mediocrità. Ridevo, cercavo di essere socievole, di compagnia.
Ma dentro di me urlavo.

- Ma che sto facendo? -

Ero altrove.
Assente. Impenetrabile.
Guardavo le mie collant a fiori pensando ad un tuo sguardo sulle mie gambe.
Lui non aveva il mio interesse né la mia attenzione.

Inventai una scusa poco credibile e corsi via. Presi bus e metro in piena notte con la scusa di salutare il mio amico, che caso voleva fosse anche tuo fratello.

In casa non c'eri.

Avevo solo una voglia immensa di vederti e trascorrere quei dieci minuti quotidiani insieme.
In quel momento tra l'adrenalina e l'agitazione dell'attenderti senza poter esplicitare nulla capii che era maturato qualcosa dentro di me.

Alle due e un quarto sentimmo aprire la porta.

Quella sera avvertii tutto l'imbarazzo addosso, mi sembrava che ogni mio movimento fosse decifrabile. Non era più un gioco di seduzione, era il mio essere ridicola e goffa davanti alla tua presenza che mi faceva imporporare le guance.

Parole. Sorrisi. Tu.

Prendemmo un altro caffè insieme (caffeina che convenzionalmente definisco così, ma è in realtà sempre un cappuccino) un'altra mattina di fine Ottobre.

Ma quella volta fu diverso. Quella volta non andai a lavoro proprio soddisfatta.
Decidemmo passare insieme la pausa pranzo.
Io ero affamata di baci.

Ti portai in libreria, presi dagli scaffali appositamente i miei due libri preferiti.
Cassa, bancomat.

- Grazie, buona giornata! -
- A lei! -

Tornai amareggiata.
- Oggi non era lo stesso anche senza baci, non lo era proprio. Non potevo farne a meno. Non potevi essere un amico. Oggi volevo un bacio. - pensavo.

Perchè mi dicevo:

- Se questo non è un principio di relazione, non lo è niente. -

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