CAPITOLO 11: Vulnerabile

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Sola. Fisso un punto imprecisato davanti a me, persa. Il vuoto si estende nella mia anima. Non mi resta più nulla. Il tepore del sole non riscalda le mie membra gelide. Lo spirare del vento, il cinguettare degli uccellini dovrebbe farmi sentire viva, mentre tutto ciò che risalta è la mia immobilità. I miei capelli si librano assecondando la brezza e vi passo una mano distrattamente. Seduta sui gradini del portico, ammiro il mondo andare avanti, le macchine sfrecciano sull'asfalto come le nuvole si rincorrono in cielo, a tratti nascondendo il sole. Come a nascondino. Ma io non gioco più. Annientata, ecco come mi sento. Non ci sono lacrime, non c'è dolore. Solo il vuoto. Non c'è paura, non c'è rabbia. Solo il vuoto. O forse è solo il mix di tutte queste sensazioni, troppo grande per farne prevalere una sola. L'unica certezza che ho è che non ho certezze. Alla deriva senza un'ancora a cui aggrapparmi. Sebbene io stessa sia stata il mio porto sicuro per anni, come appiglio per ogni tipo di avversità, negli ultimi giorni mi sono resa conto di essere troppo a pezzi per risalire la corrente, scivolando così sempre più a fondo. Il respiro si spezza. Il pezzo di carta che tengo in mano, o meglio, che stringo avidamente e disperatamente è stato la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Una farfalla si posa sulla mia gamba. Così leggera e colorata, innocua, ma così straordinariamente bella, e ... fragile. La sua tenera vita si spezzerà in breve tempo. Non voglio finire come lei. Eppure cullata dal vento si libra in aria e invidio la sua libertà. La libertà ha un caro prezzo, che in questo momento pagherei volentieri. Così sarei libera dall'oppressione che mi attanaglia il petto. Libera dal terrore che mi risucchia in un vortice di gelo artico. Libera da ogni pensiero che turbina nella mia testa. Perchè mentre fuori si palesa la mia immobilità, dentro brucio sopraffatta da mille emozioni diverse. Un vortice nero che se ne frega delle conseguenze, delle macerie che lascerà sul suo cammino. Il mio cuore è rotto. Cos'è un corpo senza cuore? E la mia anima? Quella per fortuna è intatta, ma le ho concesso un giorno di ferie, in fondo in questi anni deve averne accumulate parecchie ed è ora che le riscatti. Ho ceduto solo perchè avevo la certezza di potermelo permettere. La solitudine non è mai stata mia nemica. Sono rimasta salda così a lungo che non appena Drew ha portato Chloe a fare una gita e Joe è partito con la sua specie di ragazza, non mi sono più sentita in dovere verso nessuno,se non con me stessa. Non so da quanto abbia cominciato a piovere, ma la tettoia non mi protegge affatto, e rivoli d'acqua mi scorrono addosso. Il cielo piange lacrime che a me sono precluse, che il mio corpo rifiuta ormai di versare. I fari di un'auto mi accecano, ma non mi smuovo. Una figura attraversa rapida il vialetto, di peso mi prende in braccio e mi porta dentro. Mi sono estraniata per così tanto tempo che la sua voce mi arriva ovattata. << Sei congelata. >> Conosco quella persona, la sua voce calda e preoccupata mi stà richiamando alla realtà. Finisco sotto il getto bollente della doccia, eppure sembra insufficiente a scaldarmi. <<Payton! Payton, guardami. >> Il mio sguardo vacuo si posa su due iridi uguali alle mie. << Cazzo! >> La figura sfocata davanti a me si mette le mani tra i capelli riccioli, agitato. Solo una persona in famiglia aveva ereditato quegli occhi. << Joe >> biascico, incredula nel riconoscere la mia stessa voce. Sento la testa pesante e vuota. Si affretta a coprirmi con un accappatoio e mi attira a se stringendomi. << Sono qui, Pay. Io resto. Sempre.>> E le lacrime che per tutto quel tempo avevo scacciato sgorgano all'improvviso. Mi aggrappo a lui con le poche forze che mi rimangono. Lui mi culla senza fare domande e mi accompagna nel lettone. Si stende accanto a me, non lasciandomi mai andare. Perchè lui c'è e ci sarà sempre. Mi sveglio in piena notte, urlando,madida di sudore. Joe salta su di scatto afferrandomi per le spalle, ma lo scanso e vado a guardare in ogni camera, non trovando nessuno. Sono sola. Mia abbandono sul pavimento della cucina singhiozzando. La busta che avevo scarto quella mattina giace sul tavolo ricordandomi quanto è accaduto. << Pay >> Joe mi si accovaccia davanti stringendomi forte. << Mi stai spaventando. >> La voce gli trema, ma almeno per stavolta tocca a lui essere forte. Perchè io proprio non ce la faccio. Non so come pronunciare quelle parole. << John ... è disperso >> Lo vedo sbiancare improvvisamente. Solo dieci giorni fa lo avevamo accompagnato a New Orleans, lo avevamo abbracciato carichi di orgoglio per quel che si era impegnato a fare e carichi di amore e speranza. Sento ancora la sua voce che mi culla ricordandomi che lui tornerà sempre da noi. Sapere che questo mese non giungerà la sua lettera, sapere che lui è in pericolo e non poter far niente. Impotenti. L'ansia mi attanaglia lo stomaco, ma Joe  in un attimo riacquista il controllo capendo che se in due ci lasciamo andare non riusciremo ad andare avanti a lungo. Si alza e prepara un bicchiere a testa di acqua, limone e zuchero: rimedio di famiglia (o meglio di nonna Tyana) contro ogni male. <<John sa cavarsela, tornerà. Lo fa sempre. Ce lo ha promesso. >>Dice più a se stesso. << Payton non ti ho mai vista così, devi reagire. >> Si inginocchia davanti a me non perdendo mai il contatto visivo. << Non ce la faccio. >> riesco a confessare, mentre un'altra ondata di lacrime irrompe dai miei occhi.<< John sa cavarsela >> ripete cercando di convincermi.Lo vedo deglutire faticosamente, so che ha paura. Il legame fra gemelli è qualcosa che va oltre al semplice rapporto fraterno. <<Non ce la faccio >> ripeto in affanno. << Si che ce la fai. Ce la fai sempre >> Mi incita << Smettila! >> urlo sovrastando perfino i tuoni del temporale. << Sono esausta Joe. Io ... io >> Buio. Cado nell'oblio prima ancora di riuscire a parlare. Perchè a volte si è semplicemente stanchi di essere forti, soprattutto quando lo si è stati per troppo tempo.

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