CAPITOLO I

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18 novembre

Sono riuscito ad entrare nella vecchia casa dove furono trovati i corpi senza vita dei nostri nonni. A distanza di trent'anni la casa è rimasta la stessa, o almeno all'esterno. Il tempo sembra essersi fermato. Ho trovato il vecchio libro di nostro nonno Jacob sotto travi e sassi nel cortile della casa, ci sono scritti dei nomi e un accenno allo sterminio della nostra casata: Milha, siamo entrambi in pericolo. L'obiettivo di questi uomini è di ucciderci tutti ed ora che hanno fatto fuori anche i nostri genitori non si disturberanno certo ad eliminare anche noi. A venti miglia dalla casa sorge la vecchia abitazione dei nostri nonni che non è mai stata esplorata da nessuno dopo la loro morte; alle otto di sera del venti di questo mese mi recherò lì con la speranza di trovare le armi che nonno ci insegnò a maneggiare anni fa, darò un'occhiata in giro e troverò il modo per fartele recapitare.
Se riesci, prova a raggiungermi, ma fa' attenzione; se non riceverai mie notizie entro cinque giorni, accertati in prima persona che non mi sia accaduto nulla. Nemmeno io credo di rendermi conto della gravità della situazione. Stammi bene.

-Kemal

All'alba del diciannove novembre Milha parte al galoppo portando con sé la lettera ricevuta dal fratello; per arrivare a destinazione ha bisogno di quasi ventiquattro ore. Indossa un mantello verde bosco con un cappuccio che le copriva metà volto, in spalla portava una bisaccia con un astuccio contenente tre coltelli da lancio, una sacca d'acqua e qualche tozzo di pane.
Giunta nella casa dei nonni nota che il verde prato ormai scomparso per la noncuranza ospita facili prede per gli uccelli e le belle piante di un tempo sono ormai ridotte a ramoscelli sparsi qua e là e il grande albero sul retro giace spogliato di ogni foglia, persino della più piccola: la natura si sta riprendendo tutto. Quasi tutte le tegole del tetto sono sparse per il campo e i muri mostrano evidenti crepe.
Non è così che Milha la ricordava.
Nel frattempo si sono fatte le cinque circa della mattina del dì seguente, Milha procede alla ricerca del paio di pugnali che il nonno lasciò dopo la sua morte assieme ad una vecchia spada: le ricerche continuano, vane, fino a sera. Niente di niente. Trascorre molte ore tra passi stanchi e inutili ricerche, il sole comincia ad abbassarsi nascondendosi all'orizzonte e l'oscurità della sera sopraggiunge, così, esausta, si rannicchia in un angolo, portando giù con sé sofferenza e tremolii dovuti alle basse temperature. Tutto a un tratto, un cigolio e una serie di scricchiolii si susseguono lentamente; la ragazza scatta sull'attenti afferrando uno dei coltelli nella bisaccia, tenendo lo sguardo fisso verso l'entrata della casa.
Si ferma.
Molti sono i pensieri che le affiorano la mente, dal più al meno surreale e non sa distinguere quale possa essere il più agghiacciante. Ma dopo questi pensieri confusi che si rincorrono l'un l'altro nella sua testa, si accorge che i molesti suoni sono cessati, così esce dalla stanza attraverso quello che era lo spazio dedicato alla porta d'ingresso della stanza e guarda giù: lì, dove un tempo c'era il bianco pavimento della camera da letto dei nonni, non vi è più niente ed è dunque possibile avere un' ampia visione della porta d'ingresso: resta intenta a scorgere la porta muoversi, ma no, non c'è più una porta.
Solo allora capisce di essere stata un'ingenua a dare per scontato che provenisse tutto da lì.
Ad un tratto ode dei passi sempre più vicini e non sa se voltarsi, restare ferma o tentare un salto sino al piano terra e mentre l'agitazione la sopraffà, in un nano secondo si trova immobilizzata a terra con il volto rivolto verso il basso e un braccio piegato dietro la schiena. "L'ultima cosa che mi sarei aspettato era di trovare qualcuno addentrarsi in un vecchio edificio senza un motivo apparente." puntualizza una voce decisa, familiare alle orecchie della ragazza.
"Oh be', l'ultima cosa che io mi sarei aspettata sarebbe stato di essere placcata da mio fratello dopo un paio di righe in cui mi supplica di raggiungerlo." spiega.

"Milha."

"Sembri sorpreso di vedermi, che cosa ti succede?"

"Non dovresti essere qui." la rimprovera il fratello.

La ragazza si alza da terra per guardarlo in faccia come se stesse cercando di scorgere anche la minima smorfia. "Cortese come sempre, ma ti perdono."
"Io. Io non mi perdonerei se ti accadesse qualcosa." spiega furioso "Testarda come nostra madre sei."

"Non sono io ad aver pregato mia sorella di raggiungermi qui. A proposito, non è mica un buon posto dove incontrarsi, non trovi?"

Il cuore del ragazzo comincia a battere all'impazzata. "Di che cosa stai parlando?"

"Guarda tu stesso." Milha gli mostra una lettera dentro ad una busta, un po' stropicciata, e continua. "Non ti dice nulla?"

"Dovevo immaginarlo."

"Immaginare cosa Kemal? Così mi spaventi." sussurra impaurita la sorella, come se temesse ci fosse il colpevole dello spavento del fratello ad origliare.

"La busta contenente la mia lettera non è questa. Sulla mia c'era scritta l'iniziale del mio nome sul lato posteriore . Su questa non c'è nulla." spiega con voce tremante. "Il contenuto della lettera poi... Non è la lettera che ti ho mandato e non credo nemmeno sia stato uno sbaglio da parte del mio fidato messaggero Yusel. Anche perché non avrebbe avuto motivo di aggiungere false parole. Qualcuno ha voluto far sì che ti presentassi qui, Milha. Vattene ora! Vattene!" esclama.

Pochi istanti dopo il grido del ragazzo, si ode un pesante galoppo, poi un altro e subito dopo un altro ancora. Kemal osserva che provengono ognuno da una direzione diversa, così si rivolge alla sorella con senso di arresa. "Milha, non c'è più tempo, seguimi."

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