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Tornò nell'ufficio che era ormai mezzogiorno, e il tempo del pranzo si annunciava nell'aria sottoforma di deliziosi aromi provenienti dalle cucine degli Uffici, sommerse dalle più svariate prelibatezze; poco più in là, i Kapos trasportavano ai vari Kommandos le pentole traboccanti la zuppa acquosa ed insapore che avrebbero distribuito ai detenuti.

Il ragazzo lo attendeva, vigilato da una SS, appena fuori dalla stanza in cui - era certo - lo avevano torturato fino a quell'ultimo secondo; Harold lo guardò, lui gli tirò contro il suo gelido, azzurro silenzio: nei suoi confronti, nulla era cambiato.

Potevano andare.

L'uomo che era stato incaricato della distribuzione della razione che spettava al giovane detenuto si trovava già fuori dalla porta del Block 28 e aspettava, trepidante, la loro venuta; con la coda dell'occhio vide, mentre si dirigeva verso il lato destro dell'edificio, che aveva abbassato la testa al suo passaggio, per poi ghignare infido in direzione del ragazzo quando lui era sparito dietro l'angolo.

Non proseguì oltre: fermo, tese l'orecchio e si mise in ascolto.

"Temo che sia finita, bel faccino" sputò il Kapo in un inglese burbero e sgarbato "Ma potrei darti un terzo del mio pane se vieni dentro con me"

All'ufficiale si gelò il sangue nelle vene, e fu sul punto di uscire allo scoperto per intervenire, quando la voce fine del ragazzo lo bloccò.

"Hai le piaghe sotto ai piedi, si vede dal modo in cui zoppichi: ti conviene vendere il tuo pane schifoso a qualcuno che può darti qualche pezzo di stoffa in più, invece di perdere il tuo stupido tempo con me. Imbècil."

L'uomo lo mandò al diavolo, ma non insistette, e nel giro di una manciata di secondi, intorno al blocco regnò di nuovo il silenzio assoluto.

Il soldato entrò nel proprio appartamento.

Vi aleggiava un insolito profumo di carne che gli ricordò che quella mattina aveva saltato la colazione, e a conferma dell'infallibilità dei suoi sensi, trovò sul tavolo della cucina un vassoio contenente quello che, a rigor di logica, doveva essere il suo pranzo: pollo grigliato, un mix di verdure speziate, una pagnotta di pane bianco, del budino al caramello e, immancabile, una mela rossa.
Il suo stomaco ne reclamò il possesso con un tenue brontolio, e deciso a soddisfare quel bisogno al più presto, dopo essersi tolto la giacca si avvicinò al tavolo arrotolandosi le maniche della camicia attorno ai gomiti.

E si sarebbe realmente gustato il suo pasto, se solo un altro pensiero, attraversandogli fulmineo la mente, non lo avesse costretto a fermarsi: il ragazzo, era a digiuno da almeno un giorno.

"Verdammt!" imprecò a bassa voce.

Maledetti sensi di colpa, fottuto cuore.

Alzandosi dalla sedia prese con sè il vassoio ancora intatto, attraversò prima la cucina, poi la sua camera da letto, per arrivare alla porta che lo separava dal buco in cui l'altro era stato costretto a vivere; c'era un'unica maniglia, e si trovava a sua disposizione, per cui gli fu sufficiente abbassarla e varcare la soglia che dava su tutto quello che non aveva mai pensato di poter desiderare.

Odio.

Il minuscolo dormitorio era gelato, immerso nella penombra e nel silenzio: il ragazzo sedeva sul letto, le spalle aderenti al muro ed i piedi che penzolavano fuori dal materasso, nel vuoto; non appena lo vide entrare scattò in piedi, si allontanò da lui il più possibile e poi lo guardò, l'argento dei suoi occhi che si era fatto ancora più pungente, mentre il resto delle sue iridi si colorava di un sentimento nuovo, ma che l'ufficiale interpretò all'istante.
Era paura, la paura mista alla circospezione che s'impossessava degli animali quando si vedevano minacciati all'interno della propria tana.

Come rose nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora