11.

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Quella domenica mattina, ad Auschwitz, erano stati uccisi 165 ebrei.

Non c'era stata nessuna Selektion, nessun preavviso e alcuna umanità: erano stati presi, per necessità di spazio, indifferentemente uomini, ragazzi, anziani, bambini.

Denudati di quel poco tessuto che copriva i loro corpi scheletrici, privati delle scarpe; nudi e così simili gli uni agli altri, erano poi stati spinti, trascinati fino all'estremità del campo, una massa tremante di fantasmi che andava ad accogliere, sta volta per sempre, il caldo abbraccio della morte.

I camini erano stati accesi, gli uomini avevano urlato.

Ma invano.

Solo uno, uno fra loro si era salvato, prima ancora che quell'orrenda carneficina avesse inizio: un bambino.

La voce, fra tutti quei prigionieri, si sparse tanto velocemente che persino il vento gelido non fu in grado di farla zittire.

Era stato salvato.

Un altro aveva preso il suo posto, decidendo volontariamente di condannarsi a quella tortura di cui, altrimenti, avrebbe solo visto i resti nella cenere e nel silenzio.

La voce arrivò ad Harold insieme alla realizzazione di quanto, per tutta la notte, non aveva avuto la forza di pensare.

Louis.

Il suo Louis.

Fu come annegare in un mare di spine.

Senza riuscire a muoversi, incapace di respirare, tradito dai suoi stessi organi che, ora, gli si sgretolavano dentro uno ad uno; dapprima si sentì pugnalato, ferito da migliaia di piccole lame che andarono a graffiargli la gola, che gli lacerarono i polmoni e tagliarono il cuore.

Poi, arrivò il dolore.

Iniziò proprio lì, nel petto, dove il suo cuore stava inutilmente lottando per continuare a battere anche adesso che era solo, e continuò nello stomaco, dentro le orecchie, paralizzandogli le gambe e avvolgendo quel che di vivo gli era rimasto, portandoselo via e lasciando, mano a mano, solo un enorme e disperato vuoto.

Stava sparendo.

Annaspò, chiuse gli occhi alla disperata, folle ricerca di un modo per tenersi, per non distruggersi, non lasciare che quel vuoto che andava via via crescendo in lui, divorandolo, lo annullasse del tutto: ma Louis, Louis non c'era più.

E lui non sapeva salvarsi, non era neanche in grado di esistere, senza il suo piccolo mondo a tenerlo in piedi.

Louis non c'era più: non gli era permesso avere nemmeno un corpo freddo, privo di vita, su cui concedersi di piangere.

Non gli avrebbe detto che lo amava e che era tutta la sua vita, non avrebbe potuto immergersi per un'ultima volta nelle meraviglie di quei suoi profondi occhi azzurri, non avrebbe potuto stringere a sè il suo minuscolo, gracile corpo, o accarezzarlo, o baciarlo almeno per dirgli addio.

Non aveva più niente, ora che il suo tutto era svanito, tanto velocemente e silenziosamente quanto era comparso: si era portato via ognuno di quei piccoli pezzi che era riuscito a far vivere in lui con i sorrisi e gli sguardi, con carezze, sussurri, baci e pelli bollenti.
Con quel suo odio che era stato, dopotutto, un semplice pretesto per amarlo.

E a lui, non restava altro che il silenzio.

Era, ed era sempre stato, il suo destino.

Morirono entrambi, quel giorno ad Auschwitz.

Louis, nel corpo, ed Harold, nell'anima.

Vissero per sempre, nell'ultimo battito del loro unico cuore.





Fine.

Come rose nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora