7.

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"Harold?" lo chiamò il ragazzo, un giorno in cui, come d'abitudine, si trovavano stesi vicini sul suo letto: Louis adorava stare così, fermo, ad accarezzargli i capelli mentre gli lasciava piccoli e tenui baci ovunque sul viso, e lui non aveva trovato nulla da ridire. "Posso farti una domanda?"

Aprì gli occhi e girò il viso per guardarlo, incuriosito.

"Certo, chiedi pure" acconsentì.

"Perchè ti sei arruolato?"

Inarcò le sopracciglia e, in un primo momento, si dimenticò persino di rispondere, tanto era rimasto sorpreso dall'inusualità della domanda: era la prima volta che gli chiedeva qualcosa di così personale.

Era una bella sensazione.

"E' stato mio padre a convincermi, in realtà" cominciò; il ragazzo si sistemò con il mento sul suo petto, e l'ufficiale gli passò un braccio attorno alle spalle. "Sognavo di andare a studiare in Inghilterra, ad Oxford, e di diventare un professore di lettere... ma si scoprì che il mio insegnante di allora era omosessuale, e venne licenziato. Così mio padre, pensando che fosse stato lui ad influenzarmi, mi disse che avrei potuto entrare nell'esercito, e diventare un uomo vero, o che avrei potuto diventare come 'quello', ma a quel punto non avrei più messo piede in casa sua"

Die Ehre zuallererst.

Sorrise amareggiato, mentre il peso di quei ricordi gli gravava sullo stomaco come un doloroso macigno di cui non sarebbe mai stato in grado di liberarsi - o almeno, non del tutto -.

La mano del ragazzo, accarezzandogli il fianco, ne aveva già cancellata una piccola parte.

"E tu invece?" chiese, distogliendo prontamente l'attenzione da sè stesso "Hai scritto la tua prima sinfonia a cinque anni, o hanno compiuto su di te qualche strano esperimento di laboratorio?"

L'altro ridacchiò.

"Non ci crederai, ma non ho parlato prima dei sette anni: i miei mi credevano muto. Non che non capissi, o non sapessi parlare, anzi, ma non volevo farlo e quindi non lo facevo"

"Ah, ma allora è proprio un'abitudine!" commentò lui.

Colto da un'ombra di colpevole imbarazzo, il detenuto nascose il viso, ora di un tenero color porpora, contro il suo petto; lui rise, lo strinse maggiormente a sè e gli lasciò un bacio sulla testa.

"Con te è stato diverso" lo sentì bofonchiare contro il tessuto della sua camicia.

"Perchè era la prima volta che vedevi un tedesco così bello, alto e gagliardo?"

Louis gli tirò uno schiaffetto sul braccio borbottando un "Vantard" in finto tono esasperato: l'ufficiale rise più forte.

"Perchè era la prima volta che vedevo un tedesco dagli occhi buoni" spiegò "E non credevo potesse essere vero, pensavo che fosse un trucco per invogliarmi a collaborare"

Sta volta, Harold non rispose e non fece alcun commento: lo guardò, in assoluto silenzio, per qualche secondo.

Poi gli alzò il viso con la punta di due dita, e lo baciò.

Voleva che capisse, doveva riuscire a farglielo capire: fra tutte le cose che conosceva, intuiva e prevedeva, quella, era una fra le cose che, da solo, non sarebbe stato in grado di sapere.

E invece, doveva sapere.

Harold ne sentiva il bisogno: e con tutto quel bisogno premette le labbra contro le sue, gliele fece schiudere, e cercò con la propria lingua il caldo contatto di quella del ragazzo.

Per essere davvero certo che avesse capito, dopo, glielo sussurrò.

"Non potrei mai, mai farti del male"

Come rose nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora