8.

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Dicembre arrivò prima che Harold, preso com'era dal suo piccolo detenuto, avesse il tempo di accorgersi dello scorrere del tempo; il giungere del mese portò con sè, oltre che ad un cambiamento nel repertorio degli autoparlanti, che iniziarono a far suonare nel Lager canzoni natalizie tedesche per la marcia dei prigionieri, un improvviso aumento della tanto odiata neve - almeno da coloro che non potevano coprirsi - ed una riduzione delle ore di lavoro, perchè il buio ormai arrivava presto la sera, per andarsene tardi al mattino.

Questo, in poche parole, significava: più tempo per stare con Louis.

"Qual è la cosa che, in assoluto, ti manca di più?" osò chiedergli in una delle loro prime serate invernali.

Il ragazzo, rannicchiato fra le sue gambe con la testa poggiata contro un suo ginocchio, abbassò la tazza di the che teneva fra le mani e ne accarezzò il bordo con la punta del pollice, intanto che sul suo volto si dipingeva un'espressione di pensierosa concentrazione.

"Il mio pianoforte" rispose, un paio di attimi dopo.

La sua prima, istintiva, reazione fu quella di sgranare gli occhi.

"Aspetta, tu... tu suoni anche il pianoforte?" esclamò.

L'altro si fece scappare una risata imbarazzata.

"Beh, in realtà suono-" iniziò, ma l'ufficiale lo interruppe subito.

"Puoi risparmiarti: non che non m'interessi, davvero, ma sono certo di non conoscere neanche la metà di tutti gli strumenti che stai per elencare" spiegò "E sinceramente dopo mi sembrerebbe solo di prenderti in giro, facendoti i complimenti"

Il detenuto sorrise: la lingua incastrata fra i denti, il naso arricciato, gli occhi, ridotti a due fessure, circondati da tante piccole rughe e il volto illuminato da quell'espressione che, puntualmente, finiva per rubargli anima e cuore.

Dopodichè sussurrò un "Grazie" e, nascosto il viso nello spazio fra il collo e la spalla che era ormai diventato il suo, vi depositò un tenue e soffice bacio.

Le sue labbra erano umide, calde: lasciarono sulla sua pelle un'invisibile traccia che bruciò, lo scottò, accese ogni suo senso, infiammandolo.

Eppure, Harold rabbrividì.

Nel corso di quella notte, proprio mentre stava sognando il giardino di casa sua, fu svegliato da uno strano rumore di cui, inizialmente, attribuì l'origine al vento; rimase in ascolto, con gli occhi chiusi e la mente annebbiata dal sonno, fino a che non si rese conto che non si trattava affatto del capriccio della bufera di neve che stava infuriando fuori dalle finestre: quello non era un semplice rumore, ma un lamento.

Un disperato singhiozzare, proveniente dalla minuscola porzione di baracca aldilà della porta.

Gli occhi del soldato si spalancarono nell'oscurità alla stessa velocità con cui, fulmineo, il pensiero attraversava la sua mente: Louis.

Louis stava piangendo.

Schizzò in piedi, ogni traccia di sonno del tutto scomparsa, e corse nella stanza del ragazzo.

Lo trovò aggrovigliato nel lenzuolo, madido di sudore, i pugni serrati e stretti al petto, che si alzava ed abbassava al ritmo veloce ed irregolare del suo respiro angosciato; sul viso un'espressione tesa e sofferente si faceva portavoce del demone scuro che aveva attaccato il suo sonno: un incubo.

Si sedette sul bordo del letto, posò le mani sulle sue spalle e, cercando di essere il più delicato possibile, lo scosse.

"Lou, bambino" lo chiamò "Svegliati piccolo, è soltanto un incubo"

Lui mugugnò, aggrottando le sopracciglia e irrigidendosi maggiormente nella sua trappola di coperte e vestiti.
L'ufficiale, allora, spostò una mano su una delle sue guance bagnate.

"Louis" ripetè, più forte.

Scattò, gli afferrò le braccia e vi affondò dentro le unghie, tremando come una foglia, spaventato e stordito, sbarrò gli occhi e lo fissò; aveva le pupille dilatate, le iridi di un azzurro acquoso, chiarissimo e vacillante.

Harold sentiva le braccia pulsargli per il dolore, ma Louis era finalmente sveglio.

Gli sorrise.

"Ehi, tranquillo, è tutto okay: ci sono qua io"

Silenzio.

Passò un secondo, ne trascorsero due in un'esitante immobilità, poi il detenuto parve sbloccarsi e gli buttò le braccia al collo, per stringersi a lui e stringerlo a sè; lui lo avvolse di rimando e lo tenne così, contro il proprio petto, come a volerlo nascondere dal resto del mondo, proteggerlo da tutto quel dolore e quella crudeltà di cui ingiustamente era finito per diventare vittima, come se avesse potuto fargli da scudo e, contemporaneamente, restituirgli ciò che gli era stato preso, diventandolo lui stesso: una famiglia, una casa, un amante.

Una vita.

Ciò che Louis sognava, lui sarebbe stato.

Rimasero fermi, avvinghiati in quella posizione, senza dirsi una parola: gli accarezzava la schiena, le cosce, il collo, gli baciava la testa ed il volto, cancellando con le labbra ogni traccia del pianto, sfiorava con la punta del naso la sua mascella e giocava con le sue dita, intrecciandole alle proprie.

Il detenuto taceva.

Scorsero le ore, persero la cognizione del tempo: Louis non dava segno di voler parlare, ed Harold iniziò a credere che non lo avrebbe più fatto; maledì se stesso e quello stupido Lager, quell'assurdo sistema nazista e sì, la Germania che ne era l'artefice.

Verräter! Lo avrebbe accusato qualcuno.

Non gli importava, non più: tutto il suo mondo era finito ed iniziato in un paio di occhi blu.

Strinse il ragazzo con maggior vigore: era sopravvissuto a mesi di odio e silenzio, una vita intera non avrebbe potuto nuocergli se non in minima parte.

Ma alla fine, inaspettatamente e con suo grande sollievo, il giovane mormorò:

"Non lasciarmi"

Harold annuì e lo baciò.

Tutto, tutto ciò che Louis chiedeva, lui avrebbe fatto.

Dormirono insieme, quella notte, e quelle che seguirono, nel letto dell'ufficiale che era più largo e comodo; stretti, il ragazzo che gli si rannicchiava contro, e lui che lo avvolgeva completamente fra le braccia, condividevano il materasso, ed i sogni.
Poco prima della sveglia, poi, Louis abbandonava la fortezza sicura del suo abbraccio, si alzava e, dopo averlo baciato, tornava nel suo dormitorio per evitare che venissero scoperti.

Solo la luna, e lei soltanto, sarebbe stata testimone del loro amore proibito, nascosto ed abilmente custodito.
E Dio sapeva quanto il resto del mondo avrebbe invidiato il suo provilegio.

Ma di questo, loro, non si curavano affatto.

Come rose nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora