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Ci vollero altre due settimane perchè quel silenzio di ghiaccio, finalmente, si sciogliesse.

Harold stava raccontando della volta in cui, anni prima, quando ancora era un soldato semplice, durante una missione aveva corso in lungo e in largo per le vie di Marsiglia alla ricerca della casa del padre di Edmond Dantès, rischiando di essere scoperto e punito dal suo comandante.

"Adesso non ricordo con precisione a quale numero si trovasse, ma ci passai davanti due o tre volte, prima di rendermi conto di averla trovata" concluse ridacchiando, mentre sistemava in un cassetto le posate che aveva rubato dalle cucine, per risparmiare al detenuto il dover puntualmente aspettare che lui terminasse di mangiare la sua metà di pasto.

Era girato di spalle, e in un primo momento credette di essersi sbagliato.

Un "quindici" si era infatti levato nell'aria in un timoroso sussurro, ma non era potuto di certo arrivare da Louis, seduto a tavola; si girò, come per controllare che con loro non ci fosse nessun altro, e intanto che ispezionava la stanza, lo sguardo gli cadde involontariamente sulla piccola figura del detenuto: guardava la superficie di legno di fronte a lui, ed un lieve rossore, quasi colpevole, aveva acceso le sue guance più del solito.

Allora capì, ed il suo cuore scoppiò: lo sentì esplodere in un battito frenetico ed emozionato che, nelle più allegre melodie, cantava "Louis ha parlato!".

Impose a se stesso il massimo contegno.

"Sì, giusto, è al numero quindici"concordò.

Il ragazzo alzò gli angoli della bocca in un primo sorriso incerto.

"Lo hai letto?" chiese subito dopo, quasi per essere certo che fosse successo realmente, per paura che potesse tornare a chiudersi nella sua gabbia di ghiaccio, per semplice e bisognoso desiderio di sentirlo parlare e non farlo smettere.

"Sì, certo" gli rispose.

Ebbero così inizio le loro conversazioni: d'apprima occasionali, poi sempre più frequenti e ricercate.

Parlavano, per quel poco tempo che i ritmi del Lager concedeva loro, di quello che accadeva, di quello che pensavano sarebbe successo in futuro, delle loro tradizioni e dei loro rispettivi paesi, di passioni, passatempi, soprattutto di libri. Nessuno dei due accennava al proprio vissuto, o alle proprie famiglie; l'argomento "politica" era un taboo, ma qualsiasi altra materia era ben accetta.

Gli argomenti non si esaurivano mai: facevano in modo che non accadesse, e quando le ore di luce iniziarono a sembrare poche, insufficienti, entrambi furono lieti di usufruire di quelle notturne.

E la porta che li seprava smise di essere chiusa, tranne che al mattino, quando Louis doveva presentarsi all'appello.

Dei cambiamenti nell'indole del ragazzo, Harold non si accorse che di quei risultati superficiali ed evidenti che anche un cieco avrebbe potuto cogliere: non lo guardava più con odio, gli parlava, accettava la sua vicinanza e sorrideva; forse per paura di illudersi e rimanere poi ferito in modo terminale, forse per mancanza di fiducia in se stesso, l'ufficiale celò alla propria speranza e al proprio cuore quei cambiamenti che riguardavano, invece, il modo in cui il ragazzo aveva iniziato a guardarlo, a stargli vicino, a cercarlo.

Furono necessari Dumas, un letto ed un'abbondante dose di spirito iniziativo per far sì che lui capisse che, quell'accenno di verde che si era aggiunto all'oceano dei suoi occhi, era fatto degli stessi sentimenti che, tempo prima, avevano aggiunto un tocco di azzurro al verde smeraldo dei propri.

Erano seduti sul materasso fra le coperte sfatte, lui con le ginocchia piegate, le braccia stese sopra a queste e la testa appoggiata contro il muro mentre, ad occhi chiusi, ascoltava il ragazzo, seduto a gambe incrociate al suo fianco, intento a citare a memoria un passo de "Il conte di Montecristo", diventato ormai il loro Galeotto.

Come rose nella neveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora