Il principe, il soldato e la fenice

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I suoi capelli rilucevano come fiamma viva mentre spavaldo macinava metri e metri tra le infinite e verdeggianti colline irlandesi, deciso a raggiungere le terre di Faerie prima dell'imbrunire. Le sotterrane grotte distaccate dallo spazio e dal tempo, di notte amavano cambiare il loro punto d'accesso, facendo impazzire coloro che non erano al loro interno prima del tramonto, e Dracon non desiderava esserne vittima.
La scarlatta cicatrice non deturpava il suo viso, ma ne rendeva semmai più esotici i tratti, lì dove la pelle si scuriva attorno all'occhio destro, risaltando il verde intenso dell'iride ancora più luminosa sotto i raggi del sole pomeridiano. Molte donne si domandavano se quella cicatrice che partiva dalla fronte si interrompesse all'altezza della scapola o se invece continuasse per tutto il resto del suo armonico corpo scolpito. Era un guerriero del resto, ed anche questo lo rendeva molto ambito a corte: il capitano della guardia reale, il Drago, quello più forte, quello che aveva vinto tutte le mortali sfide che gli avevano permesso di raggiungere il rango che ora occupava, quello che aveva incanalato la lava nelle proprie vene, inghiottendo vulcani per divenire dirompente potere zampillante. Non vi era un solo Unseelie che non fosse attratto da lui, principe compreso. Principe che lo aveva richiamato a corte per l'ennesima volta, costringendolo a rientrare in anticipo dalla sua missione di ricognizione.
Il principe Spade era l'opposto del capo della guardia reale: alto ed aitante anche lui, come lo erano tutti i Sidhe, pallido come la luna calante stagliata nel cielo di mezzanotte, con occhi neri come l'onice e lunghi capelli della stessa sfumatura corvina. Li portava sciolti e lisci sulle spalle come tutti i discendenti della dea Danu, e camminava sempre per i giardini di rose della corte oscura ornato solo di un paio di pantaloni di stoffa marroncini che gli arrivavano al ginocchio, in bella vista i suoi tatuaggi, tra cui la fenice nera sull'ampia schiena, simbolo della sua casata. Spade era l'erede al trono della corte Unseelie e la sua fissazione più grande al momento era quella di sorpassare i membri della corte luminosa, i Seelie, suo cugino Demions in particolar modo.
Fin dall'alba dei tempi le due corti si erano date battaglia silenziosa, mai con armi e sangue nonostante gli eserciti di cui disponevano, ma con giochi di potere e sfoggi di sfarzo, mantenendo poi davanti al resto del popolo fatato una facciata di cordiale collaborazione. Inganno e apparenza erano il loro tessuto sociale, sebbene l'unica regola della loro discendenza fosse quella di non poter mentire. Ma quella in fondo era un'altra storia.

Il principe Spade si chinò in avanti per cogliere una delle rose blu che adornavano la parete di pietra e sorrise annusandone la fragranza, anche se tale espressione non era dovuta al candido fiore, bensì all'assenza totale di rumore di passi che invece avrebbe dovuto udire. Ciò che aveva fatto capire al Sidhe di non essere più solo era stato l'inconfondibile aroma di zolfo e ferro che i Draghi portavano addosso.
 «Il tuo olezzo è talmente forte che mi chiedo come tu faccia ad uccidere silenziosamente ed efficacemente i nostri nemici.»
Strafottente come il suo lignaggio gli aveva insegnato, il corvino si rivolse al capo delle guardie finalmente giunto.
«Le vostre soavi parole sono sempre una carezza per le mie orecchie, maestà.»
Ironia trasudava nel tono del militare, l'unico abbastanza incosciente da rispondere a quel modo ad uno dei reali. Se al posto del principe si fosse trovato il re, Dracon sarebbe stato decapitato lì sul momento. Tuttavia l'erede al trono aveva una vera e propria fissazione per il rosso capitano, e tanto bastava a salvargli il capo. Per il momento.
 Ad ogni modo fu una smorfia quella che solcò il suo viso d'alabastro, mentre con lo sguardo seguiva la fisionomia del comandante, il cui corpo era fasciato di cuoio bordeaux. Oltre le ampie spalle si sporgeva l'elsa della sua spada, una lama dall'impugnatura possente e dal potere distruttivo, che tuttavia era solo una piccolezza in confronto alla forza che Dracon poteva far esplodere nella sua vera forma, ovvero quella della creatura alata e sputa fuoco che gli umani temevano con ogni fibra del loro essere mortale.
Quella era un'altra differenza in realtà tra Unseelie e Seelie: i primi utilizzavano nel loro esercito draghi ed in generale creature legate al fuoco e alla terra, mentre i secondi facevano capo a creature legate all'acqua e al vento, benché gli stessi sidhe possedessero il potere della natura. «Ti ho fatto chiamare per affidarti una missione, non per udire la tua lingua tagliente.»
«Ero già in missione, vostra altezza.»
Gli fece notare ancora con irriverenza il rosso, ottenendo in risposta un'altra occhiata infastidita. «Questa è più importante!»
Certo come no, ci scommetteva il drago che fosse una cosa importante...
«Allora ditemi vostra grazia, sono tutto orecchi.»
Stava esagerando con il sarcasmo anche per il suo solito, ed infatti Spade con un movimento fulmineo gli afferrò la gola, per poi abbatterlo al suolo con un tonfo, sedendosi infine sul comandante delle guardie con un espressione tanto furente da deturpargli il bel viso squadrato e spruzzato di delicate efelidi. Ennesima dimostrazione che i sidhe avrebbero potuto difendersi senza esercito qualora lo avessero desiderato.
 «Non esagerare con lo sfidare la tua buona stella, Dracon. Amo il tuo viso, ma esso può essere cancellato e l'amore può vedere la sua fine. Ci sono un sacco di uomini ed un sacco di donne che ambiscono ad essere miei prediletti. Non costringermi a scegliere davvero uno di loro.»
Vi era minaccia negli occhi del principe, le sue iridi erano passate dalla pura ossidiana all'ardente coloro della lava bollente.
«Chiesto scusa, Maestà.»
Dracon deglutì e si decise a fare il bravo. Quanto detestava essere schiavo di quel bambino viziato! Tuttavia quello era il suo destino. I draghi non potevano avere un loro regno, la loro avarizia li rendeva incapaci al governo, e vivere tra i mortali per il rosso era impensabile. Era pur sempre un animale leggendario imbrigliato in un corpo dalle fattezze umane.
«Molto bene.»
Commentò Spade compiaciuto, senza togliersi da sopra il suo capitano. Amava in fondo quella posizione.
«Ora ti esporrò la mia richiesta: ebbene desidero una fenice.»
Una... che? No. Questo era folle persino per la solita pazzia del principe.
«Vostra Grazia... vi prego di essere ragionevole. Le fenici sono creature imparziali. Non hanno mai desiderato schierarsi né con i Seelie né con gli Unseelie. Vivono disperse per il mondo, senza contatti con nessuno del popolo fatato... come posso trovare una fenice e portarla a voi?» Obiezione più che ragionevole. Spade però non si sarebbe arreso alla ragionevolezza, non gli era stato insegnato nulla del genere.
«Mio cugino è riuscito a mettere le mani su una chimera! Se lui può avere una chimera, io posso avere una fenice!»
E rieccoci ai capricci. Dracon avrebbe potuto scommetterci le sue ali fiammanti.
La voglia di prendere a pugni il bel principe era forte in lui, tanto che le mani gli prudevano intensamente ed i suoi denti si erano parzialmente allungati come se fosse in procinto di trasformarsi, lui che aveva un controllo perfetto sulla magia che lo mostrava più umano che belva del cielo.
 «Vi troverò una fenice se è questo che desiderate, mio Principe.»
Rispose digrignando le zanne. Tutto pur di levarsi dai piedi. Perlomeno se fosse stato impegnato in quella ricerca assurda avrebbe avuto una scusa per stare a lungo lontano da lui. Non tutti i mali venivano per nuocere...
«Lo sapevo che avrei potuto contare su di te, Dracon. Vedi perché sei il mio preferito?»
Trillò oramai tutto contento il principe. Gli esseri fatati potevano soffrire di bipolarismo? Probabilmente si.

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