Hitobashira

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Morire per un bene superiore? Atsushi lo aveva scelto da solo.
Morire in quel modo atroce? No, quel dettaglio non era stato inserito nei piani. Tuttavia la paura che gli aveva gelato il sangue nelle vene non era stata la più brutta delle sensazioni, e nemmeno la più duratura. Non aveva avuto modo di torturarlo a lungo, poiché il suo cervello aveva iniziato a smettere di funzionare correttamente per via dell'assenza d'ossigeno. Subito dopo era arrivato il senso di soffocamento causato dalla terra e il cemento che cominciavano a riempirgli i polmoni e le narici, ed ancora, la percezione di un nauseabondo odore che forse proveniva dai suoi stessi abiti.
La paura... la paura lo aveva fatto divenire un bambino incontinente, altro che guerriero, altro che coraggioso uomo al servizio del Paese.
Le braccia in fine, in un ultimo disperato tentativo, si erano mosse in avanti in un gesto automatico, come a volersi in qualche modo riparare dalla colata che gli era crollata addosso. Il pilastro che sarebbe divenuto la sua casa per l'eternità però, era troppo stretto, ed i movimenti del giovane erano stati ostacolati, marmorizzandolo in una posa scomoda e innaturale. Gli occhi serrati per l'orrore erano stati solo un inutile tentativo di non guardare in faccia l'inevitabile. Non poteva scappare in alcun modo, ed in quella trappola si era infilato per sua stessa volontà.
Da ultimo, il peso che gli aveva compresso il petto aveva fatto accelerare disperatamente il suo battito cardiaco, prima di spezzarglielo del tutto, per sempre.
Ogni respiro gli era stato negato, e il ragazzo se n'era andato così, in un urlo senza voce, nella maniera più spaventosa possibile. Una lenta agonia, vivida come un incubo. Sepolto vivo?
No, la realtà era qualcosa di ancora più tremendo.

- 80 anni dopo -

Keiko si sentiva costantemente osservata, dovunque si girasse in quell'appartamento: ogni volta che voltava le spalle alle pareti tinte di un anonimo bianco sporco, ogni volta che scendeva i cinque piani di scale di quella vecchia palazzina senza ascensore, ed ogni volta che lasciando il portone dietro di sé si fermava ad osservare le colonne dal gusto occidentale che facevano quasi da guardia all'edificio. Era una sensazione difficile da spiegare a parole, soprattutto se non si voleva passare per qualcuno con le rotelle fuori posto. Eppure lei sapeva che era tutto vero, che non era una suggestione della propria mente.
Non credeva nel paranormale la giovane tirocinante di medicina dai capelli corvini e gli occhi scuri come ogni tipico abitante del Sol Levante, tutt'altro. Ella possedeva una rara intelligenza analitica ed un amore per la scienza tali da farle credere solo a ciò che vedeva.
Ciononostante, da quando si era trasferita in quella casa con il suo novello sposo, aveva cominciato a percepire quell'inquietudine persistente, quasi come se vi fossero degli occhi puntanti incessantemente su di lei, nascosti all'interno dei muri, delle finestre, dei pavimenti.



«O stai diventando paranoica, oppure hai un fantasma che ti gira intorno!»
Così esordì Shuichi, un compagno di corso che quel giorno con lei era impegnato in un'esercitazione su dei tessuti morti, come se il discorso appena affrontato non fosse di per sé sufficientemente macabro.
«Sono tutto fuorché paranoica, te lo posso garantire. C'è qualcosa di strano in quell'edificio...» «Quella palazzina è fortunata, altro che! Ma lo sai che è citata su un sacco di siti internet e libri? E' uno dei pochi edifici di Tokyo ad essere sopravvissuto alla seconda guerra mondiale e perfino ad un terremoto. Quando l'intera periferia è stata rasa al suolo, quella casa è rimasta in piedi! L'unica cosa sana in mezzo a macerie infinite!»
Il tono del compagno era fin troppo alto e concitato, ed aveva attirato numerosi sguardi su entrambi, per questo Keiko si affrettò a zittirlo con l'ausilio del dito indice, prima di guardarsi intorno circospetta e tornare a bisbigliare:
«Fortunato non lo metto in dubbio. Ma converrai con me che è strano.»
«Si ma anche se fosse strano lo è in maniera positiva! Insomma non è mica un palazzo maledetto, io mi sentirei al sicuro più che in un bunker antiatomico!»
Il piccolo battibecco proseguì dunque così, con quelle posizioni contrapposte che si alternavano senza che nessuno prevalesse sull'altro. C'era sicuramente da ammettere che Shuichi era molto meno concreto della compagna di corso. Amava le leggende metropolitane, i miti, i racconti dell'orrore ed anche le storie prive di fondamento che tanto andavano di moda su internet, pertanto con i turbamenti di Keiko andava sostanzialmente a nozze. Forse proprio per questo la giovane donna era riuscita a confidarsi con lui, sebbene non possedessero un rapporto così profondo da scambiarsi confidenze personali. Anzi, senza alcun forse: se era riuscita ad esternare quel problema tanto apertamente era solo perché aveva avuto la certezza che sarebbe stata ascoltata senza essere giudicata. Casomai assecondata proprio come stava accadendo.
La loro purtroppo era una società chiusa, classista e perbenista, e bastava poco, troppo poco per farsi una cattiva reputazione. Questo lei temeva molto più di possibili case infestate, il giudizio altrui. Il giudizio altrui mentre cercava di costruirsi una brillante carriera.
No. Decisamente di tutto aveva bisogno la tirocinante, meno che di una cattiva pubblicità.

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