Cuore di Pietra

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Eravamo un popolo diverso noi, fatto di impenetrabile roccia, fatto di quel materiale non adatto a contenere il pulsante cuore della vita. Freddi mostri dall'aspetto severo e minaccioso, quasi animale, che dall'alto di cattedrali e palazzi osservavano quel genere umano che eravamo stati chiamati a proteggere, quando la notte calava e le tenebre rendevano i nostri corpi solitamente rigidi ed austeri, figure fatte di carne, ossa, muscoli e sangue.
Ci chiamavano Gargoyle, e a quel tempo non possedevamo alcun altro nome per definirci individualmente come esseri senzienti.Non sapevamo chi ci avesse creati, non sapevamo a chi rivolgere le nostre preghiere, non sapevamo il perché di quella nostra natura mutevole e al tempo stesso immota. Tutto ciò che ci era stato concesso di conoscere era la nostra ragione di esistere: proteggere e servire quel popolo brulicante che abitava villaggi e città, e che aveva bisogno di noi.E quegli umani all'inizio erano così deboli, così privi di armi per difendersi dalle creature che popolavano la notte, come persino da loro stessi... Si affidavano alla Divina Provvidenza di quel Dio che per loro era calda consolazione, e si facevano trascinare dallo scorrere degli eventi come pedine su di una scacchiera invisibile, parlando di Fato, parlando di Destino avverso o benevolo a seconda dei casi, di angeli e di Paradiso. Nonostante possedessero il dono del libero arbitrio, preferivano affidarsi ad una forza più grande di loro.
Un po' già a quell'epoca mi chiedevo se quello stesso Dio da loro invocato a gran voce, non potessi chiamarlo Padre a mia volta, come facevano loro. Ma era solo una fugace idea, che spariva come nata, ogni volta, al canto della civetta che mi chiamava a risorgere dalla pietra di cui ero fatto, così da poter assolvere al mio compito atavico.
Il passare del tempo tuttavia, aveva mutato tante cose, forse anche troppe. Il genere umano si era evoluto e non credeva più negli eroi, così come all'esistenza di un mondo invisibile alla semplice vista. Le nostre fila finirono con l'assottigliarsi sempre di più, e pochi di noi rimasero a popolare la Terra, a differenza di quella razza che invece sempre più proliferava e progrediva.Anime erranti, prive di uno scopo, prive di una patria, ecco cosa rimaneva di noi grandi custodi di roccia.
Ed anche allora, dal nostro creatore, non si era levato alcun conforto o alcuna indicazione. Sarebbe bastato un segno qualsiasi, una via da seguire, ma nulla.
Dovemmo trovare da soli le risposte alle nostre domande, e di certo non vi era certezza che quelle fossero state quelle corrette. Ma che altro ci restava da fare se non provare ad adattarci? Noi che con i nostri corpi indistruttibili, avevamo bisogno di qualcosa di esterno a noi stessi per poter cambiare, come acqua che lenta penetra, corrode, libera e smussa le asperità.Alcuni dei pochi Gargoyle rimasti persero del tutto la fede nel nostro compito, persero loro stessi, e fummo costretti a quel punto a batterci tra fratelli e sorelle, affinché i nostri segreti non venissero a galla ed i nostri principi traditi, estinguendoci così, quasi del tutto.
Mantenersi sulla retta via però, era difficile per tutti, anche per il più fedele ed integerrimo di noi.Ci eravamo evoluti alla fine, anche e soprattutto nel pensiero, assieme ai nostri protetti, ma a quale prezzo? Le nostre braccia di pietra non avevano più bisogno del bacio della luna per trasformarsi, ma era la nostra volontà a permetterci di camminare anche alla luce del sole, come uomini e come donne comuni.
Che cos'era però la volontà? Come riuscivamo ad esercitarla? Perché così all'improvviso?
 Alla fine avevamo iniziato quasi per forza a mescolarci a loro, a quegli umani tanto diversi ma poi tanto simili. Avevamo iniziato a provare le gioie della normalità, della vita, come il piacere di un pasto caldo nello stomaco ed il tocco gentile di polpastrelli sulla morbidezza di pelli prive di ruvide grinze, così come il freddo del vento sulle guance arrossate o l'umido delle gocce di pioggia tra i capelli.Avevamo imparato a vivere e scegliere per noi stessi in qualche modo, pur non sapendo come.
Ricordo come se fosse oggi la prima volta che avevo assaggiato una semplice zuppa di patate. Il suo sapore non mi aveva colpito particolarmente per la bontà, ma per la consistenza, e per il fatto stesso di aver sentito quel brodo tiepido scorrermi lungo la gola, donandomi una strana sensazione, che solo dopo molti secoli imparai a catalogare come "conforto".
Fu in quel periodo di conoscenza del nostro nuovo potenziale che incontrai Naevia.
Capii che era una di noi dal modo in cui si appollaiava nei posti più alti ed impensati, anche in forma umana, destando a volte curiosità, ma riuscendo a passare inosservata per la maggior parte del tempo, almeno per coloro che non sapevano dove guardare e cosa cercare.Lei era una di coloro che faticavano ad abituarsi alla nostra nuova condizione. Il fervore della battaglia in lei non si era mai sopito, e nutriva in sé ancora il bisogno di combattere, servire e proteggere. O forse anche solo combattere, lei che era nata guerriera, e guerriera pensava di dover perire, qualora la morte fosse davvero sopraggiunta.Non era impensabile vederla andare di proposito a caccia di qualche creatura del buio, uscita dalla retta via. E vi era da dire che in effetti le prede non mancavano da quel punto di vista, purtroppo o per fortuna. Le strade pullulavano di creature leggendarie, che non sempre rispettavano chi era diverso o più debole di loro.
In forma di Gargoyle Naevia era più o meno uguale a ciascuno di noi nell'aspetto, ma nelle sue spoglie di mortale aveva ondulati capelli castani, occhi altrettanto caldi e scuri, ed un viso spigoloso e affilato. Il suo corpo flessuoso era adatto alla guerra, teso di muscoli, seppur piuttosto snello e slanciato. Non perdeva di grazia nemmeno quando fendeva l'aria con la sua temibile ed inseparabile mazza chiodata, solitamente preceduta dal suo coraggioso grido belligerante, fatto di quella voce dura, tanto quanto lo era il suo corpo durante uno scontro.Quando non era impegnata però, a saziare quel suo bisogno un po' deviato di giustizia, appariva quasi pigra e svogliata.
Quello era il lato che più mi incuriosiva di lei, poiché sapevo che dietro quelle iridi nocciola apparentemente tanto annoiate, si nascondevano mille domande e tormenti, speculari ai miei.
I nostri cuori non erano più fatti di pietra: amavano, stridevano, desideravano e talune volte addirittura urlavano, rischiando di lacerarsi sotto un sentire più forte e improvviso degli altri.Solo che non eravamo abituati a mostrarlo o ad esprimerlo, e nemmeno sapevamo come fare, quali parole utilizzare.
Era difficile provare tutte quelle emozioni, ma non sapere come, dove e in che modo farle confluire, o anche solo appunto, come chiamarle o riconoscerle.
 Standole accanto avevo compreso però per esempio, che quando si acciambellava come un gatto dormiente era triste e si sentiva sola. Quando si appollaiava su qualche tetto a contemplare la luna calante, al contrario, aveva bisogno di pensare e starsene per conto proprio, poiché probabilmente era presa da qualche tumulto interiore. Ed ancora quando mangiava dei dolci era arrabbiata, quando ascoltava la musica era rilassata, e quando canticchiava era felice.Nessuno di questi sentimenti mi era mai stato espresso ad alta voce, ma io lo sapevo che era così come intuivo.Come sapevo per certo che ad un certo punto se ne sarebbe andata, proprio come aveva fatto una notte d'inverno, tra la neve e la brezza che annunciava l'arrivo del Natale.Si era fatta scudo di quelle ali retrattili di cui disponevamo, ed era andata via senza dire una parola, libera da qualsiasi legame con il mondo, ma terribilmente schiava di se stessa.Dato che ormai non vi era più nulla da combattere in quella città in cui eravamo stanziati, ne aveva semplicemente scelto un' altra in cui dimorare, una dove il male, o ciò che noi credevamo fosse tale, ancora la facesse da padrone. Una dea della battaglia come lei non poteva fare altrimenti. Questa almeno era la spiegazione che mi ero dato per quella sparizione improvvisa, per poterla in qualche modo accettare.
Da quel giorno comunque, non ho più pensato a lei, in quanto per qualche strana ragione, soprattutto all'inizio, farlo mi faceva male, di un male sconosciuto che non mi piaceva provare.Non ho più pensato a lei, almeno fino ad oggi.Una cosa sola mi aveva raccontato Naevia di sua spontanea volontà,ovvero il suo Giorno del Risveglio.
 Non parliamo di nascita noi, dato che non è tradizionale il nostro venire al mondo, ed è davvero più simile ad uno svegliarsi improvviso, con una nuova coscienza di sé e nuovi sensi per esprimerla.
Naevia si era dunque risvegliata così, in una fredda notte del 1123, ed i suoi occhi si erano aperti su di una fervente Parigi, piena di quel potenziale che l'avrebbe resa nei secoli famosa e rinomata avanguardia, seppur a quell'epoca fosse assai acerba. Mi aveva parlato con grande nostalgia di quella Cattedrale che imponente si ergeva su quell'agglomerato di case, che ogni anno veniva arricchita di un dettaglio in più. Mi aveva parlato con orgoglio di quel luogo da cui e su cui aveva vegliato per quasi quattro secoli, prima di decidere con rammarico di andare via, poiché non c'era più nulla per lei in quella terra.
Perciò sì, oggi il volto di Naevia mi è balenato nella testa con una nitidezza impressionante, che mi disarma come non mai.E mi pare quasi di poterlo udire il suo grido disperato levarsi nel vento con rabbia e disperazione, mentre guardo quelle fiamme divorare quel luogo sacro, sopravvissuto a rivoluzioni e calamità. So che anche i suoi begli occhi nocciola sono incastrati come i miei a quelle immagini. Forse è proprio lì tra la folla, che viene tenuta lontana dalla polizia e i vigili del fuoco, impossibilitata a spegnere quell'incendio, da cui forse preferirebbe farsi divorare piuttosto che rimanere lì a fare da inutile spettatrice.Ma ancora una volta può solo osservare impotente. Possiamo solo osservare impotenti tutti, noi che oggi siamo rimasti immortali, ma privi di qualsiasi altro potere, possibilità o scopo.
Eravamo nati per proteggere e servire, eppure ormai, non possiamo fare altro che guardare l'umanità in declino, mentre con le sue stesse mani si distrugge e distrugge tutto ciò che ha attorno a sé.
Ed anche se ho imparato a piangere da secoli oramai, oggi è solo il mio cuore di pietra a continuare a sanguinare.

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