C'erano una volta una fata del Sole e una fata della Luna, le quali si libravano armoniose nell'aria tra il giorno e la notte, incontrandosi nello spazio di un secondo solamente all'alba e al tramonto, quando il lieve bagliore del firmamento lasciava il posto a tersi cieli azzurri. Segretamente però, nei loro cuori albergava un profondo desiderio di conoscere i propri opposti elementi.
Tutto era iniziato con una genuina e quasi fanciullesca curiosità, e nessuna delle due vi aveva eccessivamente badato. Col passare del tempo però, quell'ingenuo voler comprendere, era divenuto torbido senso d'invidia. L'una desiderava infatti il candido pallore che rendeva nivea e perfetta la figura ammantata di blu e argento dell'oscura compagna dalle iridi di ghiaccio e i capelli sottili come filamenti di nere notti e algidi luccichii di stelle, viceversa l'altra voleva per sé il bronzeo della pelle, l'oro fuso degli occhi e il fuoco scarlatto delle indomabili ciocche che guizzavano attorno al viso a forma di cuore della fata del Sole, sempre piena di energia, sempre vestita dei caldi colori dell'estate, come l'arancio più vivido o il giallo più brillante.
La strada percorsa dalle due stava divenendo perciò sempre più pericolosa, poiché dall'invidia verso il prossimo, che già di per sé era un sentimento malevolo e doloroso, il passo a provare odio verso il proprio stesso essere era fin troppo breve.
Non vi sono alternative quando si brama qualcosa con ogni fibra di cui si è composti senza riuscire ad ottenerla: o si finisce con l'incolpare se stessi di un irreale fallimento, oppure chi possiede quel qualcosa, ed in entrambi i casi il risultato è l'accrescere di un veleno subdolo che avanza indisturbato, inquinando l'animo sin nel suo più piccolo, libero anfratto, distruggendo quanto di buono alberga in ogni esistenza.
Per timore che ogni equilibrio venisse spezzato, e che le due fate perdessero la loro speciale essenza in quella silenziosa faida, intervenne allora una terza creatura, la cui magia poteva funzionare solo in un particolare giorno. Hatsuhinode era il suo nome, dama della Prima Alba dell'anno.
Nella terra in cui risiedevano quegli spiriti della natura infatti, esisteva la credenza che ogni cosa fatta il primo giorno dell'anno fosse speciale, qualcosa che meritasse rituali specifici, incontri e festeggiamenti. E proprio grazie a queste pratiche umane, l'energia di Hatsuhinode cresceva a dismisura in quel primo giorno di ogni nuovo anno, quell'unico giorno in cui lei poteva uscire dal proprio sonno incantato per portare amore e gioia nel mondo, volando da un angolo all'altro del globo.
Quell'anno in particolare però, la dolce fata dai colori dell'aurora, donò tutta se stessa esclusivamente alle due compagne perse nella nebbia dell'insoddisfazione e del tormento interiore.
La sua magia scese come luminescente manto su Luna e Sole, ed il desiderio di entrambe venne realizzato.
« Per un anno a partire da oggi, i vostri ruoli saranno invertiti. Per un anno a partire da oggi camminerete l'una nelle scarpe dell'altra, proverete l'una le sensazioni dell'altra, a meno che l'odio che vi sta distruggendo lentamente non si plachi prima che il mio tempo non sia nuovamente sopraggiunto. Se comprenderete, se tornerete ad amare, il mio incanto sarà sciolto prima del mio ritorno. Se al contrario nulla sarà cambiato... se nulla sarà cambiato sarà la Regina di tutte noi a decidere della vostra sorte. Traete insegnamento e tesoro da questo mio dono, tornate ad onorare il nostro essere e gli elementi da cui siamo nate, prima che sia troppo tardi. Prima che abbiate dimenticato del tutto voi stesse. Prima che la nostra Regina divenga condanna, dove io sono stata solo consigliera.»
Con quelle calme, ma determinate parole, Hatsuhinode prese congedo dalle sue sorelle, tornando al proprio sonno proprio mentre queste abbracciavano finalmente quella possibilità tanto a lungo agognata: cambiare, indossare diverse vesti, abbracciare differenti orizzonti.
Da quel giorno in poi, almeno inizialmente, fu tutto una festa per quella novità tanto voluta e mai davvero creduta possibile.
Inizialmente fu tutto bellezza e allegria: la fata del Sole danzava e giocava a nascondino tra le tenebre, vestita di solo chiarore lunare, mentre la fata della Luna si beava del calore e della vivida luce del giorno, qualcosa che mai aveva provato prima, poiché nella sua lunga e quieta esistenza non era mai apparso qualcosa di così pulsante e intenso.
Perciò sì, inizialmente fu solo la pace, la curiosità venne saziata e l'invidia domata.
Con il passare del tempo tuttavia, una nuova consapevolezza, un nuovo pensiero sfiorò le menti delle due fate complementari.
Esse continuavano ad incrociarsi quando l'astro più grande del firmamento lasciava il posto al pallido e più piccolo satellite e viceversa, ed erano graziose e posate l'una nelle vesti dell'altra, apparentemente felici. Eppure... eppure qualcosa le rendeva ancora, nel loro intimo, insoddisfatte. C'era quel qualcosa che proseguiva nel suo non funzionare.
O meglio, era l'assenza di qualcosa a renderle insofferenti in maniera incomprensibile.
Per quanto fosse bello il fulgore del sole, per quanto caldo ed accogliente risultasse, la fata della Luna, sotto i suoi raggi, cantava da sola.
E per quanto affascinante fosse il manto della notte, per quanta magia possedesse il luccichio delle stelle, in quell'oscurità la fata del Sole trovava solo il riflesso del proprio volto.
Nessuna delle due possedeva qualcosa in più dell'altra, non era mai esistito nulla che valesse la pena di essere invidiato. Al contrario condividevano il medesimo, forse anche crudele destino: erano nate insieme benché fossero differenti nell'essenza, e quello era stato l'unico momento del loro esistere in cui avevano conosciuto la condivisione con un'altra creatura. Loro erano sole in quel cielo di cui erano custodi.
Ciò che sino a quel momento avevano invidiato non era stata che una sciocca idea contorta e sbagliata, che non corrispondeva affatto al vero, e che anzi nascondeva una realtà ben più misera.
Una volta presa coscienza di questo terribile assunto perciò, una dolorosa mestizia le pervase. Le due fate piansero tutte le loro lacrime, e furono giorni e notti di pioggia, e furono giorni e notti privi di qualsiasi luce.
Entrambe pregarono Hatsuhinode con tutte le loro forze, la supplicarono di tornare anche se ancora non era il suo momento, si appellarono a quella sorella tanto potente, desiderando ardentemente un vero e proprio miracolo.
Tuttavia quello non era il tempo della Prima Alba, e lei non venne mai.
Come la fata maggiore aveva annunciato però, una volta compreso l'errore fatto, le due tornarono ognuna nelle proprie vesti, e ciò fu quanto accadde. Nulla di più e nulla di meno.
Ma quel ritorno alle origini non cancellava quanto provato dalle magiche creature, spezzate nel cuore dalla solitudine che finalmente avevano compreso, a cui finalmente avevano dato nome. L'avevano sempre posseduta, ma mai riconosciuta come tale.
Ora invece era dinnanzi ai loro occhi non più ciechi.
Passarono allora altri mesi: mesi stanchi, mesi amari, mesi grigi.
Passarono nel silenzio, in penosi sguardi rubati tra di un'alba ed un tramonto, passarono in lacrimevoli canti.
Ma nonostante tutto quel dolore, anche se lentamente, il tempo passò, e così giunse la Prima Alba dell'anno, ed ovviamente con essa arrivò la bella Hastuhinode.
Disperate le fate del Sole e della Luna si gettarono immediatamente ai piedi della maggiore, le strinsero la lunga veste candida e la implorarono di fare qualcosa per loro, scusandosi dal profondo del cuore per la loro disonorevole stupidità.
Davanti ad una tale scena, davanti ad un tale accorato chiedere, l'animo della magica creatura si tinse di rammarico e compassione, e tuttavia, per quanto potente fosse, nemmeno lei poteva fare qualcosa per mutare quella situazione. Nemmeno la Regina di tutte loro avrebbe potuto in effetti. Nessuno poteva cambiare il passaggio dal giorno alla notte con le sue precise regole, poiché il loro compito era vivere come guardiane della natura, proteggerla.
Alterarla, pertanto, sarebbe stato un sacrilegio.
Come fare allora? Come lenire quella profonda e palpabile sofferenza, che quasi si respirava e si toccava?
Le sue sorelle sarebbero rimaste per sempre intrappolate in quella malinconia se non avesse almeno tentato di fare qualcosa.
Hatsuhinode pensò dunque. Pensò e ripensò ancora, ma nulla sembrò poter divenire soluzione al problema creatosi.
Così fu di nuovo tempo per lei di tornare al suo sonno annuale, e le fate del Sole e della Luna furono costrette a passare nuove stagioni di tristezza in quel loro essere simili, completamento l'una dell'altra, ma impossibilitate a sfiorarsi davvero.
L'unica certezza per loro, l'unica magra consolazione, era che il tempo, per quanto claudicante, non smetteva di passare. Esso scorreva e portava via, scorreva e portava via, e con esso l'attesa per il nuovo risveglio di Hatsuhinode diminuiva.
Finalmente quindi, dopo l'ennesimo autunno e l'ennesimo inverno, fu di nuovo il tempo della Prima Alba, e questa volta la fata maggiore era tornata con una soluzione.
« In questo giorno io sancisco che esisterà un tempo in cui Luna e Sole potranno danzare assieme nel cielo. Sarà un tempo breve, sarà un tempo limitato nello spazio, ma esisterà. Gli uomini la chiameranno Eclissi, e quello sarà il tempo in cui voi due, sorelle, potrete abbracciarvi e stare insieme, come la vostra nascita congiunta reclama nel sangue che in voi scorre e batte. Da oggi in poi stabilisco dunque che così sarà: nel giorno vi sarà un po' di notte, e nella notte vi sarà un po' di giorno, e di questo dono voi fare tesoro e ne trarrete forza per quando sarete lontane e la solitudine vi ferirà di nuovo, minacciando di annientare i vostri amorevoli cuori. Il rimembrare l'eclissi sarà il vostro sorriso quando la mancanza sarà troppo vasta e soffocante. Lo so, non è molto, ma è pur sempre qualcosa che prima non avevate, e che d'ora in poi potrete possedere. Qualcosa che sarà soltanto vostro. Questa è la mia benedizione per voi mie amate sorelle, che l'armonia torni di nuovo ad adornare le vostre anime ed i vostri bei volti. »
Con quelle parole, con quel miracolo dolce e al contempo amaro, Hatsuhinode si congedò da loro, e solo dopo poche ore da quell'accomiatarsi, vi fu come giurato, la prima eclissi di luna.
Finalmente le due sorelle poterono abbracciarsi, percepirsi, e sorridere di un unico sorriso. Rimasero così fino a che fu loro concesso, fino a che l'unico secondo non fu scaduto, e quando si separarono lo fecero con la promessa di non dimenticare mai quel momento,sino al prossimo a venire.
Ed allora tornarono ad essere giorni allegri, giorni di danze forsennate e di irrefrenabile luce.
Quando la tristezza avrebbe fatto ritorno, grazie a quel ricordo le due fate l'avrebbero combattuta e vinta, quando la solitudine avrebbe nuovamente bussato alle porte dei loro cuori, loro l'avrebbero cacciata via come si fa con un ospite indesiderato.
Così sarebbe stato sempre nell'alternarsi di alba e tramonto, nell'alternarsi di stagioni, di maree e venti, così sino ad ogni nuova eclissi.
Non vi sarebbe stata più invidia, non vi sarebbe stato più dolore, non vi sarebbe più stato silenzio.
Così era sempre stato nell'armonia del Creato, e così sarebbe stato per sempre
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Racconti pubblicati con Historica Edizioni
Ficción GeneralIn questo spazio voglio raccogliere i racconti con cui ho partecipato ai vari concorsi indetti dalla casa editrice Historica Edizioni, e che hanno avuto la fortuna di essere pubblicati in un'antologia cartacea, anche se in realtà per ora sono soltan...