11 - Primo sangue

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Tortuga 1665

Ci sono prime volte che una persona affronterà nella propria vita, e le emozioni devastanti che ne conseguiranno, restando irreversibilmente impresse come l'inchiostro sulla carta, una cicatrice profonda, un tatuaggio sulla pelle. La pece pastosa sbiadirà alle intemperie, sfocando e confondendo le parole che ha impresso sull'epidermide, o su un foglio che il tempo ingiallisce, senza cancellare però, mai ciò che ha assorbito. E come libro e pece, insieme resteranno uniti, senza bruciare, eterni sopra o dentro ognuno di noi.

La prima volta di un padre, quando udirà il pianto di un figlio appena nato, e la sensazione che non ci sia struggimento più bello che le orecchie possano udire.

La prima volta che si riceve un complimento, una disgustosa moina da parte di un uomo, di un pirata, o peggio ancora da un bucaniere. Il cuore che palpita di lusinghe, di attenzioni, che non sapranno mai se avranno il mieloso sapore della verità o l'amaro di un veleno fatto di menzogna. Parole per conquistare, per usare e per distruggere.

La prima volta che si pesca, l'orgoglio di aver preso un pesce, anche bello grosso.

La prima volta che si riceve uno schiaffo, il dolore che diviene più forte quando è la mano di un padre a infliggerlo. Una vergogna profonda, l'umiliazione che sprofonda il petto, quando invece sono i calci e gli sputi di un gruppo di scapestrati col cervello di scimmia e le braccia di un gorilla.

La prima volta di un bacio, umido e spiacevole. La prima volta di un rapporto fisico, crudo e doloroso.

La prima volta di un'abbandono.

Tutto questo lo vidi con il mio unico occhio, osservando chi mi circondava. Stando presente ad alcune scene che ho appena citato, come un viaggiatore che approda su un'isola deserta, come un giudice che condanna, o semplicemente come un'estranea solitaria.

Forse nessuno mi ascolterà, nessuno udirà mai l'eco invisibile dei miei pensieri astratti e confusi. A nessuno interesserà il rimembrare dei miei ricordi, che sfociano così velocemente da non riuscire a fermarli, restando per sempre sepolti dietro al mio unico occhio. E nelle mani che mi tremano, insensibili e leggere come se non fossero le mie, stringo un coltello, come se fosse l'unica roccia a cui aggrapparmi, nel mezzo di un oceano fatto di pece.

L'odore metallico del sangue fresco, vivo, che lo incrosta, mi inebria la mente e lo stomaco.

E il pianto di colui che ho salvato, mi rende immobile.

Era arrivato anche il mio momento.

Non una squallida moina, non un bacio dall'alito disgustoso, non una carezza che avrei evitato come un tizzone rovente. No. Questo lo lascio alle femmine ingenue.

A me toccò qualcosa che mi avrebbe segnato per sempre.

Ricordo ancora il dolore che era scaturito in me come una fiamma ardente, quando mio padre morì. Avrei fatto di tutto per trattenere ciò che in me gridava di uscire, avevo provato a contenerlo, a sopprimerlo. Ma non ci riuscì. Quella notte liberai il mostro che sono, o perlomeno, la mostruosità che tengo imprigionata in una gabbia fatta di radici di ferro. In quell'istante capì che quella rabbia, fatta di deformazione e sembianza, faceva parte di me. Aveva sempre fatto parte di me. Anche se non saprei dire da quanto tempo. Forse da sempre. Come le braccia, le gambe, l'occhio e la cicatrice sul mio volto.
Anche se non lo ammettevo, e forse, non lo ammetterò mai. Così sperando, che non possa più prendere vita.

Non trovai sollievo nel liberarmene, anzi, provai una profonda sofferenza. Come se l'odio avesse preso il pieno possesso del mio corpo e della mia mente. Come se non esistesse altro pensiero, se non quello di odiare, di calpestare la terra e sentirla ardente, di piangere lacrime bollenti, di uccidere chiunque mi avessi trovato d'avanti. Di uccidere qualcuno che non conoscevo, ma che sentivo di aver conosciuto.

Artemisia E La Maledizione Della LunaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora